Sintesi traduttiva dell'analisi di He Zude e Fang Wei, tratta dal Quotidiano della Gioventù cinese.
"L'aumento delle truppe indiane al confine non porterà da nessuna parte”
15/11/2011
Secondo il Times of India del 2 novembre L'India aumenterà le truppe nelle aree di confine con la Cina vicine al Tibet di 100.000 unità, dalle attuali quarantamila dislocate nella regione.
Il governo indiano ha già approvato un piano di riarmo da 13 miliardi di dollari, nel paese che è il più grande importatore di armi del mondo.
Il tasso di crescita delle spese militari indiane è stato tra il 7 e l'8 percento per più di un decennio, proprio mentre quest'anno la crescita economica ha toccato il punto più basso da sei anni a questa parte.
Dato che mantenere una crescita degli armamenti in un clima di situazione economica al ribasso è sempre più difficile, per giustificarle l'India ha bisogno di creare un clima di maggiore tensione nel quale si iscrive l'aumento di truppe e le continue recenti esercitazioni militari con i paesi confinanti con la Cina, verso la quale mostra chiari segnali di una strategia di contenimento.
Gli Stati Uniti hanno bisogno dell'India per contenere la Cina, e l'India spera che flettendo i muscoli si assicurerà il supporto americano.
D'altronde l'azione di aumentare le truppe al confine, da sempre una mossa sensibile che mette in allarme i paesi vicini, non solo danneggierà gli interessi indiani, ma in epoca di guerra moderna e armi di precisione, mette le stesse in condizione di essere eliminate più facilmente.
Tuttavia 13 miliardi di dollari sono una cifra davvero consistente per l'India, e non è ancora chiaro se i costi di mantenimento per una tale operazione saranno garantiti.
Fonte: Quotidiano della Gioventù cinese, ripreso dal Quotidiano del Popolo Online.
http://english.peopledaily.com.cn/102774/7644826.html
Traduzione a cura della Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti.
Sintesi traduttiva dell'analisi di fase di Zhang Weiwei, professore alla Scuola di Diplomazia e Relazioni Internazionali di Ginevra, in passato traduttore per Deng Xiaoping
Written by nuestra america
15/11/2011
"Il modello cinese può assorbire il meglio dell'Occidente, e scartare il resto"
Mentre la crisi morde l'Europa e si teme l'allargamento della"primavera greca" fino a paventare un'imminente collasso dell'Unione Europea, gli ulteriori successi economici della Cina portano a credere che sarà solo questione di tempo prima che il modello cinese venga attentamente esaminato dalla comunità internazionale.
Quando parliamo di “modello”nella terminologia economica, non lo intendiamo come qualcosa di statico ed esportabile.
Tuttavia se avessimo adottato i modelli occidentali, anziché esplorare una nostra via, il paese sarebbe già potuto andare in pezzi.
Gli ammiratori del modello occidentale sono in difficoltà: nonostante il nostro non sia senza problemi, al momento quello occidentale sta fallendo miseramente.
Nella formulazione del nostro modello dobbiamo porre attenzione anche alla nostro retroterra culturale confuciano-menciano nella teoria di governo: combinare principi menciani come l'ascolto dei bisogni del popolo e la nomina di funzionari composti da individui capaci, con il sistema democratico di elezioni di massa, per evitare tutta una serie di problemi.
Non vogliamo importare dall'Occidente un sistema in cui il pubblico è contro il governo, ma vogliamo enfatizzare una relazione interattiva tra i due.
Inoltre non abbiamo scelto un'economia di mercato pura, ma una combinazione di economia centralizzata per servire gli interessi pubblici da una parte e il libero mercato dall'altra.
La natura mista della nostra economia ha bisogno di più tempo per essere digerita dalla società, ma i risultati stanno shoccando il mondo.
La popolazione della Cina è maggiore di quella della UE, degli Stati Uniti, del Giappone e della Russia messe assieme.
Negli ultimi 30 anni abbiamo ridotto la povertà, evitato la crisi asiatica del 1997 e evitato il peggio della crisi del 2008.
Ciò dimostra la giustezza e l'efficacia delle politiche e del modello cinesi, e alla luce della crisi economica globale possiamo solo aspettarci che l'interesse per il nostri successi economici diventerà più intenso e che il nostro modello verrà riconosciuto e studiato nel prossimo futuro.
Fonte:
Ripreso nella sezione Opinioni del Quotidiano del Popolo
http://english.peopledaily.com.cn/90780/7646226.html
Traduzione a cura della Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti.
Cina e industria verde: bilancio positivo delle ricadute occupazionali e settoriali, traduzione di un estratto dell'articolo di Li Jing.
Written by nuestra america
China Daily, 16/11/2011
"Creazione di posti di lavoro nelle industrie verdi"
Entro il 2015 potremmo perdere 950.000 posti di lavoro nelle industrie intensive e inquinanti, ma guadagnarne 10 milioni nel settore verde.
Il Consiglio cinese di Cooperazione Internazionale sull'Ambiente e lo Sviluppo suggerisce che da qui al 2015 il paese spenda 5.770 miliardi di yuan (909 miliardi di dollari) per migliorare l'efficienza energetica e proteggere l'ambiente.
Chiudere le industrie più inquinanti potrebbe costare 950.000 posti di lavoro ed un output economico di 100 miliardi di yuan entro il 2015, ma in cambio il paese potrebbe risparmiare 1.430 miliardi di yuan di spesa energetica.
Inoltre, la crescita del settore verde potrebbe aumentare la crescita del Pil di 8.080 miliardi di yuan e creare più di 10.58 milioni di posti di lavoro entro il 2015, riporta il consiglio nella sua sessione annuale di Pechino che si sta tenendo in questi giorni.
Secondo Li Ganjie, vice ministro per la protezione ambientale, il settore industriale in Cina è ancora la maggiore causa di inquinamento, e quindi il settore verde è la chiave della trasformazione ecologica del paese.
Tuttavia, data la struttura produttiva del paese, per il 2020 in Cina vi saranno ancora gravi problemi ambientali e la situazione è descritta ancora come "grave"dalla vicepresidente dello stesso consiglio, Margaret Biggs.
Il report del consiglio chiede urgentemente che il governo a tutti i livelli si liberi dall'ossessione della crescita del Pil, riduca l'interferenza nel mercato, ed approfondisca la riforma fiscale e dei prezzi nel settore per incoraggiare l'industria verde.
Il report sostiene che il governo non dovrebbe guardare ciecamente alla crescita del Pil e colpire i protezionismi regionali e locali che impediscono lo sviluppo del settore dell'industria verde.
Più precisamente, le autorità locali dovrebbero smetterla di prendere piene decisioni per i progetti di investimento, una ragione per cui spesso industrie sostenute dai governi locali ignorano i regolamenti ambientali, e non proteggere queste industrie solo per le entrate fiscali che esse genererano.
Li Jing
Fonte:
http://europe.chinadaily.com.cn/china/2011-11/16/content_14105279.htm
Traduzione a cura della commissione internazionale della Rete dei Comunisti.
Interessante e istruttivo “botta e risposta” sulle origini e le conseguenze della crisi fra un cittadino tedesco e uno greco ,sul settimanale tedesco Stern.
Written by nuestra america
Alcuni mesi fa è stata pubblicata dal settimanale tedesco Stern una lettera aperta agli amici greci, di un cittadino tedesco Walter Wuellenweber. Il tedesco apriva la discussione precisando che la Germania dopo aver salvato le banche adesso deve pure salvare la Grecia, mentre i greci invece di contribuire fanno sciopero.
Il tedesco ha precisato ai cari amici greci che dal 1981 apparteniamo tutti alla stessa famiglia, ma che mentre la Germania ha contribuito per far fronte alla crisi più di ogni altro paese al fondo di stabilità, sborsando circa 200 miliardi di euro, la Grecia ha ricevuto circa 100 miliardi di tale importo, cioè più di ogni altro paese della Unione Europea. E che, quindi, questa amicizia si sta facendo un po' troppo costosa.
La teutonica reprimenda prosegue ricordando come non solo fin dall’introduzione dell’euro la Grecia non è mai riuscita a soddisfare i criteri di stabilità, ma che i greci hanno sperperato ingenti somme in beni di consumo, non hanno pagato le tasse, si sono opposti a qualsiasi misura per ridurre la spesa pubblica, insomma hanno fatto la bella vita per troppo tempo.
Insomma, continua il tedesco, nonostante i greci sono quelli che ci hanno mostrato la via della democrazia, della filosofia e anche dell’economia nazionale, oggi ci mostrano la strada sbagliata.
La settimana successiva, Stern ha pubblicato una lettera aperta di Georgios Psomas, dipendente pubblico greco. Il cittadino greco ha cominciato col precisare che appartenendo tutti alla stessa famiglia non si capisce perché il suo stipendio di dipendente pubblico greco è di 1.000 euro mentre quello di un omologo tedesco è due, tre volte tanto.
E riguardo al costo eccessivo pagato dai tedeschi per coltivare questa ”amicizia”, ha ricordato i molti privilegi di cui gode il popolo tedesco in terra ellenica. Di come, grazie anche a cospicue tangenti versate dalle aziende tedesche ai politici greci, il popolo ellenico è tra i maggiori importatori dentro la UE, di beni di consumo prodotti in Germania. E lo stesso dicasi per l’importazione di tecnologia, armi, infrastrutture (due autostrade e due grandi aeroporti internazionali), telecomunicazioni, automobili ecc.
Infine visto che non bastano il duo Merkel-Sarkozy e la troika (UE,BCE,FMI) a promuovere la colonizzazione economica della Grecia e dell’Europa mediterranea, ma ci si mettono anche i singoli cittadini tedeschi a bacchettare i lavoratori e ad indicarli come i responsabili della crisi del “debito sovrano”, l’impiegato greco conclude la sua lettera ricordando che sono più di 50 anni che la Germania si ostina a non pagare il debito per i danni incommensurabili prodotti nella seconda guerra mondiale.
Il debito viene indicato in: 3,5 miliardi di dollari di prestito forzoso imposto alla Grecia dal terzo Reich durante l’intero periodo di occupazione e di 7,1 miliardi di dollari per la distruzione di interi villaggi, strade, ponti, ferrovie e porti che hanno prodotto la Wehrmacht e la Luftwaffe.
Per quanto ci riguarda esprimiamo simpatia e solidarietà al lavoratore greco e a ribadiamo la volontà di unire i lavoratori italiani, greci ed europei nella battaglia per il non pagamento del debito, e che semmai comincino i tedeschi a pagare il loro.
A cura della Commissione Internazionale della Rete dei Coministi