I federali dell’FBI, lo staff responsabile per la sicurezza della sede del Congresso, le forze della polizia locale. Addirittura il DHS, il Department of Homeland Security, la Sicurezza Interna. Un enorme dispiegamento di forze dell’ordine di tutti i livelli; questa volta, con una scelta di tempo ferrea, anche cento uomini della Guardia Nazionale, ma armati di soli manganelli autorizzati dal Segretario alla Difesa, Lloyd Austin.
Tutto questo a Washington D.C. che tè ornata a blindarsi a difesa del Campidoglio, sede del Congresso, dove sono tornati a farsi vedere i muri di filo spinato, le transenne e le recinzioni alte due metri e mezzo, come dopo l’attacco di nove mesi fa.
Per evitare di ripetere gli errori del passato.
La fibrillazione, durata per tutta la settimana, è stata innescata dall’indizione di una manifestazione, poi rivelatasi un flop: il raduno programmato a Capitol Hill – “Justice for J6” – a sostegno degli imputati in attesa del processo per l’assalto alla sede del Congresso avvenuta il 6 gennaio scorso e prevista per mezzogiorno ora locale (le 18 in Italia) di sabato 18 settembre.
Quanto e se si tradurrà in un boomerang per l’ex presidente Trump e per tutta la destra suprematista lo vedremo nei prossimi mesi.
Many’s the time I’ve been mistaken
And many times confused
Yes, and often felt forsaken
And certainly misused
But I’m all right, I’m all right…
Molte sono le volte che mi sono sbagliato
E molte volte mi sono ritrovato disorientato
e spesso mi sono sentito abbandonato
e sicuramente maltrattato
Ma va bene, tutto bene…
(Paul Simon, da American tune)
Fase uno: riscaldamento
L’intelligence USA nelle scorse settimane ha intercettato numerosi messaggi in rete da parte di gruppi nazionalisti e neonazi estremamente bellicosi, ai quali si sono aggiunte le decine di chat online monitorate dall’FBI, in cui si fantasticava di un “nuovo assalto al Congresso”, di “rapire un parlamentare”, di “prendere di mira chiese liberali e centri ebraici. Tutto lasciava pensare a qualcosa organizzato in grande stile. O così voleva lasciar credere.
Alla fine la montagna ha partorito il topolino: non è stato identificato alcun “piano specifico o credibile associato con l’evento” e la manifestazione si è svolta senza registrare incidenti né scontri e con una presenza in piazza ridicola: 400 partecipanti circa (la piazza era stata richiesta per 700 a significare che le aspettative non erano certo migliori) a fronte di migliaia di esponenti delle forze dell’ordine.
Il raduno “Justice for J6” è stato organizzato per esprimere solidarietà alle circa 600 persone incriminate per l’assalto a Capitol Hill, quando la folla – incitata da Donald Trump – irruppe al Congresso nel tentativo di bloccare la certificazione della vittoria presidenziale di Joe Biden (evento che portò al secondo impeachment dell’ex presidente).
Molte di quelle persone sono ancora in carcere e la retorica dell’alt-right americana li vuol far passare per prigionieri politici: “Ingiustamente perseguitati”.
Attorno al Campidoglio, dunque, già da giovedì sono stati eretti di nuovo gli sbarramenti di metallo apparsi anche a gennaio per proteggere l’insediamento di Biden: a contrassegnare una sorta di zona rossa invalicabile. Il timore di nuovi incidenti era forte. In realtà in città sono arrivate meno di mille persone. E neanche tanto bellicose.
I locali del Congresso comunque, per prudenza, sono stati comunque lasciati vuoti; con il presidente già partito per trascorrere il weekend nella sua casa al mare nel Delaware, mentre Camera e Senato non sarebbero stati in sessione.
La preoccupazione, semmai, come dichiarato da Tom Manger responsabile capo della Polizia di Capitol Hill alla corrispondente per la ABC News, Rachel Scott, era di scontri con gli attivisti antifa che in altre zone della città avevano organizzato alcune contromanifestazioni.
A ben vedere però il timore che le cose sarebbero potute sfuggire di mano, ha singolarmente turbato pure The Donald.
Da un lato infatti ha continuato a ripetere di essere solidale con chi “è stato arrestato ingiustamente mentre protestava contro le elezioni truccate” (secondo quella “Big Lie”, il solito disco rotto della “grande bugia”, come l’hanno già ribattezzata da tempo i giornali americani, per cui sarebbe lui il vero vincitore delle elezioni).
Dall’altro ha espresso preoccupazione per una “trappola nei confronti dei Repubblicani”: se non andranno in massa diranno che è per mancanza di spirito. Se ci sarà gente li chiameranno violenti”. Questo sembra segnare l’attuale crisi all’interno del partito.
I tanti parlamentari del GOP (1) che pure hanno parlato in favore dei rivoltosi, non hanno partecipato nemmeno alla marcia, ma infine hanno ignorato la piazza; l’invito anzi era a non ostentare simboli trumpiani o repubblicani per non politicizzare oltre l’evento.
Con buona pace del fatto che a organizzare la marcia era stato proprio un gruppo no-profit “Look Ahead America”, guidato da un ex membro dello staff elettorale del tycoon, Matt Braynard.
L’associazione per bocca del suo “leader” è “dedicata a difendere i patrioti americani che sono stati dimenticati dal governo“, vuole porre all’attenzione dell’opinione pubblica “l’incremento degli abusi nei confronti dei prigionieri politici non-violenti” e chiede “un equo trattamento per i manifestanti accusati di essere coinvolti nell’assalto, più di 600 di cui circa 60 sono ancora detenuti e perseguitati politicamente”.
Tra le imputazioni più serie per decine di loro c’è quella di “cospirazione allo scopo di organizzare gli attacchi al Campidoglio volti a bloccare il Congresso dalla validazione del voto del Collegio Elettorale delle elezioni presidenziali 2020”.
Per il Dipartimento di Giustizia e gli stessi giudici gli imputati sono colpevoli di insurrezione in uguale misura, sia che abbiano partecipato ai violenti scontri con le forze dell’ordine, sia che abbiano “solo” avuto un ruolo di leadership nel pianificare la rivolta.
Secondo la Polizia Federale molti degli estremisti detenuti sono membri o associati di milizie armate o gruppi antigovernativi organizzati. In realtà soltanto nove imputati sono collegati ai Proud Boys e tre agli Oath Keepers, gruppi già ampiamente segnalati dal nostro giornale.
Riflessione a margine
Sulla manifestazione pesava anche l’ombra del nuovo libro di Bob Woodward, il giornalista investigativo celebre per aver svelato lo scandalo Watergate. Nel suo “Peril”, in libreria da martedì, ma già ampiamente anticipato dalla stampa americana, si dice infatti che due giorni dopo l’attacco al Congresso, il generale del comando unificato Mark Milley, preoccupato dallo stato mentale di Trump, chiamò la controparte cinese per assicurare che gli Stati Uniti non stavano pianificando alcun attacco (e allo sdegno dei repubblicani che già lo chiamano “traditore” il generale proprio oggi risponde: “Parlare coi cinesi fa parte dei miei compiti”).
Ora la Commissione parlamentare incaricata di indagare proprio sui fatti del 6 gennaio 2021, chiede chiarimenti in proposito: qual’ era lo stato mentale di Trump quando “ordinò” l’assalto?
Fase due: raffreddamento
Nello stesso periodo, soprattutto nell’ultima settimana a ridosso del raduno, molti gruppi dell’estrema destra e delle milizie armate che realmente organizzarono la rivolta del 6 gennaio, hanno ritrattato le proprie posizioni avvertendo i propri militanti di evitare a tutti i costi la manifestazione arrivando a sostenere addirittura che fosse una trappola.
L’ex Presidente Donald Trump, partecipando alla discussione e rilasciando una dichiarazione in supporto degli imputati, lo ha chiamato un “setup“, un teatrino organizzato, messo su a bella posta,
Ma sembra di ricordare che era stata l’intelligence a diffondere la notizia che milizie armate “storiche” come Proud Boys e Oath Keepers sarebbero intervenute.
I responsabili delle organizzazioni hanno infine declinato consigliando ai propri supporters di non partecipare assolutamente.
Le chat line dell’estrema destra, comprese quelle su Telegram, sono sembrate molto, troppo disciplinate, sebbene qualcuno come Ron Wakins, ex amministratore di “8chan” e, secondo voci di corridoio, dietro alle teorie complottiste del gruppo QAnon, sia arrivato ad ipotizzare che dietro il raduno ci fosse proprio l’FBI magari per poter schedare i partecipanti.
All’inizio della settimana scorsa persino Roger Stone, agente operativo di lungo corso del GOP, ha consigliato a tutti i Trumpiani di fede storica di “stare alla larga dalla manifestazione”. “E’ solo una sceneggiata, non conosco una singola persona nel movimento MAGA (2) che ha intenzione di parteciparvi” e ha dichiarato “patrioti, state alla larga da Washington!”
Jared Holt, un ricercatore esperto di movimenti radicali per il Laboratorio digitale di ricerca forense dell’Atlantic Council (3) ha recentemente scritto sul suo sito che il raduno puzzava molto di “fregatura”: “Sono altamente scettico sulla possibilità che qualsiasi militante si muova senza una specifica indicazione condivisa sulle piattaforme utilizzate più frequentemente da questi gruppi”.
Le sue valutazioni sono state suffragate anche da un portavoce del Southern Poverty Law Center
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“Grande è la confusione sotto al cielo” per citare il Grande Timoniere. “e quindi la situazione è eccellente”.
Ci si chiede perché tanto e tale riguardo per qualcosa che era prevedibile finisse in un flop; chi pesca nel torbido e chi intorbidisce le acque.
Soprattutto per chi la situazione è eccellente, quando si alimenta qualcosa che è sembrato essere una finzione.
Non dimentichiamo quali metodi infami “dovette” usare J. Edgar Hoover per riuscire a piegare in qualche modo il Black Panther Party. Il metodo che usa il Potere per dividere chi lo minaccia e per auto conservarsi.
Resta l’avvertimento lanciato dalla Polizia in forza a Capitol Hill e la decisione dell’amministrazione Biden di mobilitare anche risorse extra.
La preoccupazione a ben nove mesi dall’assalto del 6 gennaio è ancora nell’aria; tuttavia i movimenti Trumpiani non sembrano godere di ottima salute. L’invito è a vigilare mentre si avvicinano le elezioni di midterm.
1. Grand Old Party, il Partito Repubblicano
2. acronimo per Make America Great Again, il movimento dei “patrioti” seguaci dell’ex presidente Donald Trump
3. L’Atlantic Council è un think tank americano con sede a Washington, D.C. il cui scopo è “Promuovere la leadership americana e promuovere accordi internazionali basati sul ruolo centrale della comunità atlantica nell’affrontare le sfide del XXI secolo”
4. Il Southern Poverty Law Center (SPLC) è un’organizzazione legale americana senza fini di lucro, impegnata nella tutela dei diritti delle persone, riconosciuta a livello internazionale per i suoi programmi di educazione alla tolleranza e le sue vittorie legali contro gruppi razzisti e per l’impegno nell’individuazione dei gruppi d’odio, ovvero di quei gruppi che propagandano idee di odio razziale o religioso.
Cina accelera produzione ed export del vaccino verso i Paesi poveri
Written by Redazione ContropianoC“è chi pensa solo al business e si ritrova strangolato dalle multinazionli di Big Pharma, che rmai mettono il vaccino anti-Covid-19 all“asta tra i paesi ricchi. Mentre quelli poveri possono crepare senza problemi.
E chi fa egemonia planetaria seguendo il criterio opposto: fornire il vaccino a chi serve ma non può pagarselo. Poi vedremo come fare accordi migliori in altro campo…
L“Occidente neoliberista si sta suicidando con le proprie mani, e ci sembra una buona cosa. La Cina riempie i vuoti e si mostra meno avida.
Cina accelera produzione ed export del vaccino verso i Paesi poveri
Pechino conta di produrre due miliardi di dosi entro la fine del 2021 e punta a raddoppiare la cifra alla fine del prossimo anno
La Cina punta ad accelerare la produzione e le esportazioni di vaccini contro il Covid-19, soprattutto ai Paesi in via di sviluppo.
Pechino conta di produrre due miliardi di dosi entro la fine del 2021 e punta a raddoppiare la cifra alla fine del prossimo anno, coprendo il 40% della domanda mondiale di vaccini, secondo quanto dichiarato in una recente intervista al tabloid Global Times da Feng Doujia, presidente della China Vaccine Industry Association.
Feng ha confermato le cifre della produzione di vaccini dei due maggiori gruppi farmaceutici cinesi, Sinovac e Sinopharm, che hanno stimato una produzione di almeno un miliardo di dosi a testa, entro la fine del 2021. In totale, ha aggiunto il dirigente cinese, sono diciotto le industrie del settore che stanno lavorando per espandere la capacità di produzione.
I vaccini di Sinovac e Sinopharm sono i più utilizzati nella campagna di vaccinazione in Cina, che a oggi conta oltre 40 milioni di dosi somministrate, soprattutto a personale di fasce considerate a rischio.
La “diplomazia del vaccino” – come spesso viene definito l’uso del vaccino da parte della Cina con l’obiettivo di guadagnare influenza all’estero – è da tempo sotto osservazione, ma il numero di Paesi attratti dall’offerta cinese sembra in crescita: comprende anche il Sud America, dove 12 Paesi hanno già ricevuto o sono in attesa di ricevere le prime dosi.
Il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Wang Wenbin, ha confermato che la Cina sta fornendo assistenza sui vaccini contro il Covid-19 a 53 Paesi, la maggiore parte dei quali sono Paesi in via di sviluppo, e che la Cina sta esportando i propri vaccini in 27 Paesi, tra cui Serbia e Ungheria.
“Ci auguriamo che tutti si uniscano e diano il proprio contributo”, ha aggiunto il portavoce, “per sostenere in particolare i Paesi in via di sviluppo a superare la pandemia”.
* da AGI – Agenzia di stampa
Elezioni presidenziali in Ecuador: trame, fake news e montaggi giudiziari per innescare un golpe (T. Pérez)
Written by Tatiana PerezIl copione è quello già sperimentato un anno e mezzo fa in Bolivia, l’oligarchia possidente dell’Ecuador trova sponda nell’Osa per innescare un colpo di stato. È così che si svolge la campagna per la prima magistratura della nazione andina. L’atmosfera rarefatta che ha avvolto il primo turno sta ora peggiorando, in vista del ballottaggio previsto per il prossimo 11 aprile.
Nella prima votazione, 16 candidati erano in lizza per la Presidenza, di cui 15 apertamente contro uno. Quello è l’economista Andrés Arauz, che in corsa per la vicepresidenza con il giornalista Carlos Rabascall, è stato il più votato, come avvertivano tutti i sondaggi elettorali.
Perché Arauz? Semplice. Il giovane politico rappresenta la rivoluzione dei cittadini, che sotto Rafael Correa ha governato il paese per dieci anni con un’ideologia politica progressista, anti-neoliberista e integrazionista. In quel decennio, 2007-2017, l’allora presidente Correa ha avanzato un ambizioso piano di ripresa sociale ed economica attraverso il cosiddetto piano “Buen Vivir”, che con l’arrivo dell’attuale presidente, Lenin Moreno, è stato smantellato, sebbene nella campagna elettorale avesse promesso la continuità.
I potenti nemici di quel cambio di governo nazionale, chiamato anche socialismo del XXI secolo, sono i principali avversari di Arauz, alcuni con la stessa faccia e altri con maschere che li nascondono. E in un fatto più che paradossale, due di loro si incontrano quando dovrebbero affrontarsi per puro buon senso, tenendo conto che si battono per il passaggio al secondo turno presidenziale.
È quello che succede con il banchiere Guillermo Lasso (Creo) e il leader indigeno Yaku Pérez (Pachakutik). Mentre Andrés Arauz è molto più avanti di loro, Lasso e Pérez si distanziano per una manciata di voti in quello che gli esperti chiamano un pareggio tecnico.
Ecco perché l’incertezza è protagonista. È passata più di una settimana dalle elezioni – 7 febbraio – e il Consiglio nazionale elettorale continua ancora a contare i minuti con “notizie”, cioè con incongruenze, per arrivare al 100% dei voti.
Questo scenario sinuoso è stato sfruttato sin dalla campagna di Pérez per cercare di installare la narrativa della frode nel voto, davanti ai media e tra i vari movimenti che compongono l’organizzazione indigena che rappresenta (Pachakutik).
Dopo aver denunciato la frode, Pérez ha chiesto al CNE di ricontare i voti totali della provincia di Guayas e del 50% delle altre 16 province. Sebbene manchi di legalità, l’autorità elettorale ha accolto la richiesta, così come il suo diretto contendente, Guillermo Lasso, che 24 ore dopo ha fatto un passo indietro.
Su Twiter, Lasso ha detto questa domenica, 14 febbraio: “Oggi ho presentato una lettera a @DianaAtamaint, presidente del CNE sul processo di riconteggio dei voti concordato venerdì 12″ e ha allegato un documento in cui riconosce che la trattativa non ha base giuridica e che per andare avanti ci deve essere il consenso di tutti i candidati del primo turno.
Alcune ore dopo Pérez ha risposto anche tramite Twitter, dove ha scritto “Signor Lasso, lei non è lo stesso del 2017, perché negli ultimi 4 anni ha co-governato con il peggior governo, quello di Moreno. Ecco perché non ha possibilità di successo se arriva al secondo turno”. E in una parte del testo scritto ha aggiunto: “Perché fai marcia indietro nel conteggio dei voti? Cosa avete fatto tu e il CNE che non vuoi che l’Ecuador sappia?”
Così, l’accordo che ha avuto l’approvazione della screditata Organizzazione degli Stati americani e che indubbiamente escogita un piano per “sconfiggere” il Correísmo, subisce una battuta d’arresto prima di essere messo in pratica.
Ma mentre gli occhi sono puntati su questa complessa rete di verbali, percentuali e dichiarazioni contraddittorie, si sta imponendo un’altra pericolosa strategia per bandire la candidatura di Andrés Arauz e ha il sostegno del governo della vicina Colombia.
Nel migliore stile di Lawfare o guerra legale già nota in America Latina contro governi e leader progressisti, la campagna della rivoluzione dei cittadini è accusata di aver ricevuto finanziamenti dal gruppo ribelle colombiano ELN.
La prova è un video, evidentemente contraffatto, e una presunta informazione estratta dal computer di un leader di un blocco di questa guerriglia che opera nel dipartimento di Chocó e che è stato assassinato dall’esercito.
Era prima un titolo in una rivista colombiana di estrema destra, e poi una visita a sorpresa del procuratore generale colombiano alla sua controparte ecuadoriana a Quito, la capitale del paese, per rendere l’informazione legale. Questa visita di Francisco Barbosa ha scatenato gli allarmi di leader e organizzazioni della regione. E non solo per la storia della Colombia in termini di assemblaggi con computer sequestrati, ma anche per il suo chiaro intervento negli affari interni di un altro paese.
In una dichiarazione pubblicata su Twitter, l’ex presidente della Colombia Ernesto Samper ha descritto i presunti legami di Arauz con l’ELN come infamia e ha aggiunto: “Fanno parte di un gioco sporco che viene orchestrato dalla Colombia dai settori radicali della destra in entrambi i paesi. interferire nel secondo turno delle elezioni presidenziali ecuadoriane ”.
Nel frattempo, il gruppo di Puebla, che comprende presidenti, ex presidenti, membri del Congresso e leader progressisti della regione, ha rilasciato una dichiarazione in cui condanna l’evento. In una parte del documento si afferma: “Di fronte a questo tentato colpo di stato contro la democrazia in Ecuador, rifiutiamo l’uso dei media e dell’apparato giudiziario per piegare la volontà popolare del popolo ecuadoriano e chiediamo a tutte le forze impegnate per la pace , alla democrazia e all’autodeterminazione dei popoli, per garantire un processo pulito, libero dalla violenza ”.
In mezzo a questo scenario avverso, la candidatura Arauz-Rabascall si prepara per iniziare la nuova campagna elettorale, questa volta per la vittoria definitiva. L’11 aprile nelle mani del popolo ecuadoriano è il futuro di una nazione martoriata.
La campagna di disinformazione su Cuba, per farla crollare. Vasapollo e Martufi: una galassia mediatica per colpire l’autodeterminazione
Written by il Faro di Rioma“Chi consuma le notizie pubblicate dai media sovversivi potrebbe arrivare a credere che Cuba sia un Paese che sta crollando. Tuttavia, è una nazione che vive una realtà ben diversa”. Lo sottolinea Granma che pubblica una analisi sulla rete di media che tenta di legittimare la visione egemonica degli Stati Uniti riguardo alla democrazia e alla libertà a Cuba. Con la loro strategia annessionista, intossicano costantemente i social network con informazioni travisate su quasi tutto ciò che accade sull’isola. Sono classificati come “indipendenti o alternativi”, ma è curioso che tutti coloro che gestiscono CiberCuba, ADN Cuba, Cubans por el Mundo, Cubita Now, Cubanet, Periodismo de Barrio, El Toque, El Estornudo e YucaByte. Si tratta di testate che per la maggior parte risiedano all’estero, soprattutto negli Stati Uniti, e le loro strategie di comunicazione sono la formula riconducibile al disegno politico che predomina in USA.
“C’era un contatto con funzionari incaricati di assistere alla stampa nel Dipartimento di Stato, avevo un appuntamento privato con il funzionario statale Priscila Hernández”, ha confidato Maykel González, del sito sovversivo Tremenda Nota.
Il rapporto della Commissione per l’Assistenza a una Cuba Libera, del giugno 2004, registra le principali linee sovversive contro le Grandi Antille, tra le quali si annovera la promozione di strategie di disinformazione. Da allora, tutte le amministrazioni dopo il presidente George W. Bush hanno adattato il loro design mediatico a ciascun contesto.
Il Dipartimento di Stato, l’Agenzia americana per lo sviluppo internazionale (USAID) e il National Endowment for Democracy (NED) di quella nazione, finanziano questa macchina mediatica che ha beneficiato degli oltre 500 milioni di dollari che la Casa Bianca ha destinato negli ultimi 20 anni per la sovversione a Cuba.
Per ricevere rapidamente i finanziamenti, molte di queste pubblicazioni digitali controrivoluzionarie sono state registrate in altri paesi come organizzazioni non governative (ONG). È il caso dei siti di El Toque, attraverso il collettivo More, con sede in Polonia, e di El Estornudo, creato a Cuba, e successivamente legalizzato in Messico come ONG.
Carlos Manuel Álvarez, direttore di El Estornudo, è arrivato a Cuba il 24 novembre per partecipare al programma mediatico di San Isidro. Abraham Jiménez Enoa, che ha partecipato a quello stesso sito, ha detto che non sa quanto sia il finanziamento totale del “mezzo”, perché tutto è creato dall’esterno. «I collaboratori che fanno la carica di rivista per lavoro, con uno stipendio fisso di 400 CUC. Fino a quando non me ne sono andato, El Estornudo è stato finanziato dalla NED e dalla Open Society ”, ha detto Jiménez Enoa.
Questi media che si definiscono alternativi e indipendenti, ma si squalificano quando viene rivelato da dove proviene il loro sostentamento, anche se a volte cercano di distogliere l’attenzione dall’origine del denaro.
Il ricercatore del Center for Hemispheric and United States Studies, Yazmín Vázquez Ortiz, ha spiegato che il finanziamento, la formazione e l’assistenza tecnica sono i pilastri dai quali si sfruttano le condizioni che esistono nelle società che possono essere oggetto di intervento. movimenti di resistenza che possono favorire il cambiamento che l’America vuole.
Coloro che dirigono e collaborano in questi spazi lo fanno attraverso organizzazioni con sede negli Stati Uniti, in Europa o in America Latina.
La vicedirettrice dello stesso Centro, Olga Rosa González Martín, ha sottolineato che operando come organizzazione privata, ricevono fondi privati, può essere da qualsiasi individuo, da qualsiasi società a livello internazionale, il che rende più difficile collegare un entità con un governo specifico e con gli obiettivi di politica estera di questo in un dato paese.
Il Peace and War Journalism Institute, Factual, Different Latitudes, Swedish Human Rights Foundation, Hypermedia Editorial, Diario de Cuba, Cubanet, Sergio Arboleda University e molti altri, funzionano come appaltatori di questi progetti di stampa mercenaria.
José Jasán, del sito sovversivo El Toque, ha precisato che “la cosa più accettabile per ‘la compagnia’ è che quando un gruppo di cubani va a ricevere un addestramento, dà loro l’opportunità di pagarli direttamente”.
Elaine Díaz Rodríguez, del Periodismo de Barrio, ha detto che si sono rivolti alla cooperazione internazionale. “All’inizio è stato finanziato con i risparmi che ho potuto portare a Cuba con la borsa di studio, e in seguito siamo riusciti a fare un progetto pilota con la Fondazione svedese per i diritti umani. Abbiamo raggiunto un’alleanza con l’ambasciata norvegese, attraverso la quale siamo qui “, ha detto.
In questo design si distingue dal NED, il cubano americano Aimel Ríos Wong. In qualità di Responsabile del Programma Cuba, distribuisce i fondi approvati per smantellare i paradigmi ideologici e culturali dall’esterno e dall’interno dell’isola.
Maykel González, dal sito sovversivo Tremenda Nota, ha commentato che Ríos Wong lo ha chiamato, sono usciti per “fare una passeggiata a Washington”, e lo ha riconosciuto come qualcuno che è stato presente, che ha costantemente dialogato con attori, sia da giornalismo e della società civile.
“Stiamo lavorando con circa 7.000 dollari USA per un trimestre, da cui pianifichiamo il lavoro, e ci viene assegnato da tutte le tariffe che dobbiamo pagare”, ha detto Maykel González.
Come strategia, selezionano i loro futuri leader, li addestrano, premiano, finanziano, stimolano, rendono visibili, riuniscono, responsabilizzano, guidano e danno loro spazi e posizioni.
«Quello che dicono è: no, ma nessuno mi dice cosa devo scrivere, nessuno mi dice qual è la linea editoriale della mia pagina o degli articoli che scrivo. Non devono dirtelo, hai già assunto quella linea, ricevi il finanziamento, perché hai già detto quelle cose, e sai che se non le dici e non segui quella linea antigovernativa, non riceverai il finanziamento “, ha detto Javier Gómez Sánchez, specialista in media audiovisivi.
Con il progredire dell’informatizzazione del paese, ha sottolineato Gómez Sánchez, le persone hanno avuto un maggiore accesso a Internet e questa guerra è andata aumentando e organizzando, perché la sua possibilità di raggiungere determinati settori con questo tipo di manipolazione mediatica della popolazione ha è aumentato.
Il dottor Ernesto Estévez, membro dell’Accademia delle scienze cubana, ha ricordato che questo fenomeno è qualcosa che funziona da molti anni, con l’obiettivo di invertire la rivoluzione cubana, di fare una restaurazione capitalista.
Fonti pubbliche dello stesso governo americano mostrano l’aumento di questi fondi negli ultimi anni, proprio quando lo Stato cubano avanza nelle trasformazioni del nuovo modello economico e sociale, conferma un appello dell’Ufficio per la democrazia, i diritti umani e il lavoro del Dipartimento di Stato americano a finanziare proposte relative ai diritti civili e politici a Cuba, tra le provocazioni articolate nei giorni scorsi.
Insieme all’imposizione di misure economiche restrittive e al complesso scenario epidemiologico del COVID-19, la stampa nemica si è messa in fila per screditare la gestione del governo cubano e delegittimare il sistema sociale.
«Ha a che fare con la fabbricazione di matrici di opinione, che hanno due caratteristiche essenziali: in primo luogo che sono create per gestire il malcontento esistente, relativo a determinate questioni, e indirizzarle contro il governo, il socialismo e il sistema politico; e secondo, cercare di promuovere il pensiero liberale a Cuba, basato sul liberalismo, che è l’ideologia del capitalismo”, ha detto la psicologa Karima Oliva Bello.
Nel quadro comunicativo sono presenti i cosiddetti influencer con tendenze ipercritiche, creati per generare empatia e tendenze ideologiche in migliaia di follower, attraverso i social network.
I progetti di stampa nemica, in questo scenario, sono identificati come strumenti del governo degli Stati Uniti nella sua strategia di guerra non convenzionale contro le Grandi Antille.
Luciano Vasapollo e Rita Martufi della Rete in difesa dell’umanità commentano questa denuncia.
https://www.farodiroma.it/la-campagna-di-disinformazione-su-cuba-per-farla-crollare-vasapollo-e-martufi-una-galassia-mediatica-per-colpire-lautodeterminazione/