Cronaca di una morte annunciata. Vasapollo: la crisi la pagheranno i poveri. Confindustria detta legge

Written by  Nazareno Galiè

Assumersi la proprie responsabilità significa dare ai lavoratori, ai piccoli imprenditori, commercianti e artigiani gli strumenti necessari per sopportare e superare questa crisi. Servono risposte concrete. L’agenda della politica del governo, non può essere quella di Confindustria e Confcommercio perché le classi subalterne usciranno stremate da questa situazione”.

“Siamo di fronte alla cronaca di una morte annunciata, quella del mondo del lavoro, decretata in nome dei profitti e delle rendite, con la complicità del governo prono ai poteri forti. Mentre il sistema bancario, gli industriali e i grandi commercianti piangono per la venuta meno di determinati guadagni, il lavoro schiavile e il capolarato la fanno da padrone. Se questo è il modello da cui prendere esempio per uscire dallo stallo, solo la lotta dei subalterni, degli ultimi e degli sfruttati potrà garantire il rispetto della costituzione. Qualcuno vuole socializzare le perdite, ma tenersi i profitti e la ricchezza sociale prodotta dai lavoratori”. “Le nostre proposte sono la nazionalizzazione dei settori strategici, del sistema bancario, la lotta all’evasione e un reddito universale, come ha chiesto anche Papa Francesco, e meno lavoro a parità di salario, una proposta che ieri è stata fatta anche da Avvenire, il giornale dei vescovi”.

    Sono parole nette quelle di Luciano Vasapollo, economista di fama internazionale e direttore, insieme a Rita Martufi, del CESTES, il centro studi dell’USB. Il FarodiRoma ha deciso di ascoltarlo su quanto sta succedendo in questo momento, essenziale per le sorti del paese. “La crisi economica”, infatti, “non può che approfondirsi e le scelte che ha fatto il governo”, ha spiegato Vasapollo, “provengono dall’agenda degli industriali e non vanno nella direzione della giustizia sociale”. Quello che doveva essere implementato, ha aggiunto Vasapollo, “è un programma di investimenti pubblici al fine di garantire le condizioni di vita dei lavoratori”. “Si deve ripartire nazionalizzando le banche, facendo rientrare lo stato nella sfera economica attraverso la programmazione, tramite un nuovo IRI e un nuovo ruolo occupatore e interventista per lo stato”, “Sono tante le proposte che come CESTES abbiamo messo sul tavolo, da una rinnovata politica per la casa, a una tassazione delle rendite azionarie, al rifinanziamento del comparto pubblico tramite una lotta senza quartiere all’evasione fiscale”. “La rarefazione del lavoro, dovuta all’assenza degli investimenti e alla speculazione finanziaria, a sua volta causata dalla caduta tendenziale del saggio profitto, unico indicatore che muove l’economia capitalista, richiede, inoltre, un salario universale o un reddito di base per tutti”.

    La grande recessione del 2007-2011, finita con la crisi del debito sovrano, è stata fatta pagare interamente ai subalterni, agli ultimi e agli sfruttati; è stata aumentata l’età pensionabile, si sono ridotti i diritti e le tutele; si è visto un aumento della precarietà con l’introduzione di forme instabili e discontinue di lavoro. Un altro dato su cui riflettere, ha ribadito Vasapollo, sono anche i tagli e i disinvestimenti nel comparto sanitario e della ricerca, che ha lasciato il paese impreparato dinanzi all’esplosione di questa pandemia. Oggi le risposte che sta dando il governo seguono la stessa direzione. Gli interessi che vengono tutelati sono sempre gli stessi; quelli dell’industria e del grande capitale privato a scapito delle classi subalterne e dei ceti medi che, ha aggiunto l’economista, rischiano di scomparire. Si profila la fine del piccolo e medio capitale a favore dei grandi monopoli e delle grandi multinazionali. Mentre tanta gente non arriva più alla fine del mese, c’è chi continua ad arricchirsi, tramite la speculazione. Il programma di Confindustria, fatto proprio dal governo, mette a repentaglio la coesione sociale. È il momento di ripartire dai lavoratori. Se il governo non li ascolta, solo con una rinnovata conflittualità e attraverso le lotte sarà possibile far rispettare la costituzione.

    Infatti, quello che si sarebbe dovuta fare – ha spiegato Vasapollo – era una forte iniezione di liquidità che andasse a beneficio di tutti i lavoratori e dei piccoli imprenditori, degli artigiani e dei piccoli commercianti, i quali avrebbero così avuto la possibilità di sopravvivere alla serrata del sistema produttivo, giustamente decretata dal governo al fine di frenare l’epidemia. Invece, i soldi saranno dati sempre agli stessi, alle banche e alle frazioni egemoni del capitale, approfondendo disuguaglianze e malessere sociale. Inoltre, i piccoli provvedimenti che sono stati presi dal governo Conte – il mini welfare dei miserabili, i seicento euro, la cassa integrazione – non solo sono insufficienti, ma tardano ancora ad essere effettivi. La crisi del conoravirus dimostrerà, ancora una volta ma in maniera più profonda, le ingiustizie e le iniquità che il capitalismo produce. Lo stato, come ha dimostrato in passato, ha tutti gli strumenti per ripartire da una maggiore e più giusta ridistribuzione della ricchezza sociale.

    “Un altro tema inquietante, è stato il ritardo con cui il governo ha chiuso le fabbriche e l’apparato produttivo del nord. Purtroppo, è stato evidenziato come il numero dei contagi e, dunque, delle morti, sia stato maggiore la dove si è continuato a lavorare, anche dopo l’istituzione del lockdown. Confindustria e Confcommercio hanno spinto perché il comparto produttivo rimanesse aperto”, ha spiegato Vasapollo. Ciononostante, non si è imparato nulla dall’esperienza, un altro elemento che dimostra come siano i profitti a guidare le scelte e le politiche che poi vengono imposte al governo. Ieri sera, nonostante la prudenza annunciata, le categorie imprenditoriali hanno fatto un’indebita pressione affinché si riaprissero tutte quelle attività che avrebbero dovuto aspettare giugno. “Nonostante i proclami, il governo rimane succube dei poteri forti; non si può continuare a mettere la salute e la vita dietro all’economia”, ha ribadito Vasapollo, proprio perché questa è la lezione che il virus c’avrebbe dovuto insegnare.

    Tuttavia, Confindustria, ha aggiunto Vasapollo, non retrocede su nulla e ha detto di “non voler piegare la testa”. Proposte non solo ragionevolissime, ha ribadito l’economista, ma anche sacrosante, come il mantenimento del salario pieno anche se con un orario minore di lavoro, necessario per evitare che il contagio riparta, sono state rifiutate dagli industriali. E il governo si è sbrigato ad accantonare qualsiasi idea di reddito universale, richiesto anche dal Papa, il quale ha avvertito più volte del pericolo rappresentato dagli usurai. “A questo proposito, ha aggiunto Vasapollo, ieri, anche il giornale dei vescovi, l’Avvenire, ha titolato “lavorare tutti, meno”, sottolineando la necessità di fuoriuscire dai paradigmi economicisti dell’ordoliberismo, cui Confindustria, per ovvie ragione, ma anche il governo rimangono aggrappati. IL CESTES e i sindacati conflittuali chiedono da sempre il pieno salario con il rispetto della salute dei lavoratori. Adesso, si deve avere il coraggio di dire “salario pieno, lavoro zero”.

    Anche sulla fase due, su cui tanto si è decantato, Vasapollo ha voluto ribadire alcuni concetti: “riaprire senza avere la reale certezza che la pandemia sia finita, mette a repentaglio la salute di tutti e soprattutto la sicurezza dei lavoratori. Anche prima del corononavirus, questo paese aveva un numero altissimo di morti sul lavoro. Dunque, se prima era difficile garantire a tutti condizioni di lavoro sicure, è utopico e profondamente sbagliato pensare che le imprese italiane siano in grado adesso di mantenere sia il ben che minimo distanziamento sociale che le mascherine, con tutte le attrezzature necessarie, ai lavoratori”. Vasapollo ha aggiunto come il senso di responsabilità non debba essere confuso con la capitolazione di fronte alle richieste degli industriali e del capitale privato; bisogna garantire i diritti sociali e le premesse per cui gli umili e gli sfruttati possano ripartire. Si è ascoltata molta retorica sul fatto che nessuno debba rimanere indietro, tuttavia, dopo le iniziali promesse, il governo retrocede su tutta la linea. ”Questo è il governo di Confindustria, anche le richieste più ragionevoli vengono scartate. Persone che lavoravano da casa sono state costrette a rientrare in ufficio solo per soddisfare le pretese dei padroni. Le mascherine non ci sono e se ci sono non vengono cambiate regolarmente, così come gli esperti e il comitato scientifico raccomandano. C’è tanta retorica sull’unità e la coesione, ma il popolo rischia di uscirne con le gambe spezzate, mentre le rendite e il capitale parassitario vengono garantiti, anche a costo di fare nuovo debito. Esempio lampante di come l’austerità serva solo per qualcuno: vogliono far pagare il prezzo della crisi agli ultimi e agli sfruttati”.

   Vasapollo ha fatto notare come le grandi aziende, rappresentate da Confindustria, chiedano sì un intervento pubblico ma, tuttavia, come sempre, per i propri interessi, per i profitti dei padroni. Anche questa volta, ha sottolineato Vasapollo, l’obiettivo è quello di socializzare il costo delle perdite e mantenere alto il rendimento del grande capitale privato. Dunque, gli industriali vogliono che lo stato entri nelle loro aziende, iniettando liquidità, che sarebbe potuta essere altresì investita per la spesa sociale o data direttamente ai lavoratori, affinché essi potessero continuare a consumare e a sopravvivere, ma Confindustria non vuole che poi lo stato controlli o diriga la produzione. Secondo gli industriali, lo stato, ossia la collettività, dovrebbe garantire i profitti, ha aggiunto Vasapollo, facendo ricadere i costi sul lavoro, sulla scuola e sulla sanità, come se non si fosse imparato niente dalla lezione che il virus ha dato. “Confindustria ha avuto la pretesa di dire che i soldi a raffica non funzionano, che si deve uscire dalla logica assistenziale, quando in realtà chiedono loro l’intervento del pubblico per mantenere in piedi profitti e privilegi”. “Ci vuole una bella faccia tosta”. “Anche il dibattito sul reddito universale è allucinante; vogliono nuovi schiavi, facendo lavorare la terra a persone pagate con voucher o piccoli oboli. Non si vogliono, inoltre, nemmeno regolarizzare i migranti, perché così i caporali perderebbero il loro potere. L’Italia rischia di retrocedere – non come dice il governo al tempo del primo dopo guerra, quando le lotte e la politica progressista indirizzavano il paese verso il miracolo economico – ma direttamente al feudalesimo”

   Vasapollo ha, infatti, spiegato come le cose che si devono fare vanno nella direzione opposta a quella caldeggiata da Confindustria; ossia la nazionalizzazione dei settori strategici, con il fine di orientare la produzione per soddisfare i bisogni dei lavoratori e uscire dalla crisi, garantendo le condizioni di vita di tutti. La nazionalizzazione delle banche, con il credito dato a tutte le categorie bisognose e non ai grandi industriali. Una nuova politica di edilizia pubblica e popolare e tutta una serie di investimenti in grado di far ripartire l’economia, promuovendo lo sviluppo economico e sociale del paese, a scapito della rendita parassitaria. Queste richieste, ha voluto sottolineare Vasapollo, non sono affatto estremistiche ma sono il programma scritto nella Costituzione. Un’altra pretesa insostenibile, ridicola, ha ribadito il docente di economia, è l’idea che gli industriali vogliano degli indennizzi per essere rimasti chiusi e non prestiti, ovvero pretendono che gli vengano dati soldi senza dare nulla in cambio, non impegnandosi però a non licenziare e a non aggravare il costo sociale della crisi. “Non si pensa ai piccoli commercianti, agli artigiani, ai piccoli imprenditori, ma al profitto di grandi aziende”. Un rinnovato ruolo interventista da parte dello stato, con una politica di investimenti pubblici e orientamento del sistema produttivo verso il soddisfacimento dei bisogni collettivi e dei subalterni è quanto richiede il CESTES.

   Un’ultima riflessione, Vasapollo l’ha fatta sull’Europa. L’economista ha bocciato l’atteggiamento del governo, remissivo davanti agli industriali ma anche davanti al blocco degli stati del nord Europa, Germania in testa. Si sarebbe dovuto fare ricorso alla monetizzazione del debito, battendo moneta per garantire le condizioni di sopravvivenza - di questo stiamo parlando ha sottolineato Vasapollo - di tutto il corpo sociale, invece si è ceduto alla logica della troika, aumentando il debito ad un livello insostenibile (per le agenzie di rating) e aprendo le porte a nuovi programmi di risanamento, ossia di massacro sociale.

   Due parole, infine, Vasapollo l’ha volute spendere sulla sentenza della Corte Costituzionale tedesca, con sede a Karlsruhe, che il 5 maggio si è espressa sulla costituzionalità delle politiche di alleggerimento quantitativo della BCE. Nonostante i giudici abbiano ritenuto legittimo il Quantitative Easing, essi hanno, d’altro canto, stabilito il diritto, per la Germania, di stabilire le politiche economiche comunitarie, de jure oltre che de facto, verrebbe da dire. Infatti, la Corte stabilirà, con un ulteriore dispositivo, se il QE sia stato utilizzato senza ledere gli interessi economici di Berlino. “È evidente”, ha spiegato Vasapollo, “come la Germania voglia riproporsi sullo scenario globale come una grande potenza economica, nonostante anch’essa patisca la crisi sistemica del capitalismo. La recente sentenza dei giudici di Karlsruhe, figlia della cultura ordoliberista, istituzionalizza tale pretesa, riproponendo Berlino sulla scena del conflitto interimperialista”. Secondo Vasapollo, che ha offerto una riflessione importante su tale punto, infatti, la Germania non vuole più avere solo un peso economico, ma vuole porsi anche come competitor nel nuovo mondo multipolare, che sta emergendo dalla crisi degli USA, proponendosi, nell’alveo della UE, come interlocutore unico, condizionando anche la Russia e la Cina”.

    Il governo è schiacciato, da un lato dall’imperialismo europeo, rispetto al quale l’Italia come gli altri paesi del Sud Europa è in una posizione di dipendenza, dall’altro dalle pretese degli industriali, che preparano il conto della crisi da far pagare solo ai lavoratori e ai ceti subalterni. Da questa situazione, se non cambierà l’atteggiamento del governo, se ne potrà uscire solo attraverso una rinnovata conflittualità e tramite una strenua difesa dei diritti sostanziali. Le opposizioni, ha concluso Vasapollo, Salvini e Meloni, sicuramente non hanno niente da offrire e le loro ricette economiche sarebbero ancora, ove possibile, più padronali di quelle del governo Conte. Per queste ragioni, solo attraverso la riattivazione della lotta di classe e della conflittualità sociale, sarà possibile far rispettare il dettato costituzionale, ha concluso Vasapollo.

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