nuestra america
L’UNIONE EUROPEA regala un impianto di desalinizzazione all’occupazione israeliana
Mentre Israele e la comunità continuano ad imporre pesanti restrizioni economiche ai palestinesi in Cis Giordania e a Gaza, Israele riceve 120 milioni euro dalla Banca europea di investimenti per la costruzione di un impianto di desalinizzazione ad Ashod . Come sempre nella Palestina occupata la giustizia ed il suo contrario camminano una in faccia all’altro. La popolazione di Gaza vive tuttora sotto l’embargo imposto da Israele e sostenuto dalla comunità internazionale e non ha diritto ad importare tecnologia e meno che mai desalinatori, mentre l’UE non trova di meglio da fare che regalare fondi per un desalinatore ad un paese occupante che per di più produce disastri ambientali. In seguito all’intenso sfruttamento delle risorse idriche effettuato per decenni dai coloni israeliani Gaza ha le falde acquifere infiltrate dall’acqua salmastra . Nonostante lo stillicidio di crimini, d’ingiustizie, di risoluzioni calpestate, anziché ricevere sanzioni l’occupazione israeliana, riceve compensi e premi ad ogni tappa . E’ come se la comunità “internazionale”, o meglio gli USA e l’UE staccassero un assegno al manutentore del progetto coloniale al raggiungimento di una determinata milestone .
Se ci sono dei fondi per l’acqua chi più dell’assetata terra di Palestina ne avrebbe diritto ?
La divisione dell’acqua secondo i principi che ispirano la democrazia sionista lasciano ai palestinesi 100 metri cubi d’acqua a cranio, mentre ad un israeliano per preminenza sociale ne spettano tra i 400 ed i 1500. Nonostante l’economia palestinese sia ancora fortemente agricola e l’agricoltura israeliana tocca solo il 2% del PIL, nelle terre dei nativi palestinesi arriva solo 5 % di
acqua contro il 70% che spetta ai figli delle colonie .
La Banca di investimenti europea ha siglato il contratto con la Banca Hapoalim, che poi prestera' i fondi alla Ashdod Desalination Ltd, una controllata di Mekrot Development and Enterprise Ltd.. Qui l’arbitrio ride in faccia ai palestinesi, e già perché l’accesso all’acqua viene per loro deciso appunto dalla società idrica Mekrot. Sempre questa combriccola di tagliagole in giacca e cravatta rivende a prezzo maggiorato ai palestinesi l’acqua pompata via dalle loro terre sotto occupazione israeliana. Giustamente un evangelico sudafricano nel film “Hebron This is may land “ sentenziava inorridito questo è peggio dell’apartheid degli Afrikaner !
Lo scempio della giustizia sembra essere l’attività preferita degli amministratori israeliani, infatti non solo hanno pompato acqua salata dal Lago di Tiberiade dentro il Giordano inquinandolo ai palestinesi, ma poi hanno presentato il progetto per farsi finanziare dall’Unione Europea l’impianto di desalinizzazione di Ashdod !
Ashod una cittadina portuale di 200 mila anime, rifugio della marina militare israeliana dopo l’arrembaggio alla Freedom Flottilla, è sorta sulle ceneri del villaggio Palestinese di Isdud (سدود) distretto di Gaza, raso al suolo ed etnicamente ripulito 23.052 giorni fa dalle milizie sioniste .
Che perle di orrore è capace di regalare la piccola colonia israeliana in appena 70 anni di storia.
L’acqua è un elemento della pulizia etnica, togliere l’acqua, la terra, il lavoro per costringere i palestinesi ad andarsene.
Un ultima ma efficace annotazione ce la regala l’articolista di ANSA med ……. “L'arrivo di questa nuova struttura avra' un impatto diretto sulla vita quotidiana dei cittadini: la miscela di acqua dissalata con quella fresca potabile del sistema di approvigionamento nazionale migliorera' la qualita' dell'acqua fornita ai consumatori, riducendo la durezza e la concentrazione di sali, nitrati e boro” …..per quanti ancora negano la natura egemonica dell’Unione Europea e la sua osmosi con il progetto coloniale e suprematista del sionismo .
A cura del Forum Palestina
(ANSAmed)
(sintesi di un resoconto del prof. Danilo Zolo della conferenza sull’’acqua a Ramallah,maggio 2005)
http://www.palestineremembered.com
Il vero asse del Male
La strategia americana di ritorno in Asia orientale annunciata negli scorsi mesi da Hillary Clinton e sulla quale ci siamo soffermati in un recente articolo, oltre ad essere stata analizzata in quanto tale, ovvero come riposizionamento asiatico delle priorità statunitensi, suscita una riflessione da parte nostra di più ampio respiro.
Se vista infatti nell'ambito delle vicende decennali dall'undici settembre 2001, o ventennali dal crollo dell'Unione Sovietica, essa delinea l'ultimo tassello di una strategia americana volta non solo ad un riposizionamento tattico dopo le esperienze di guerra in Iraq e Afghanistan, ma completa una strategia alla quale probabilmente gli Usa lavorano da più di vent'anni.
Il controllo del continente euroasiatico ne sembra l'obiettivo non dichiarato.
Ebbene l'idea che la guerra al terrorismo islamico, le guerre in Libia e la destabilizzazione della Siria, l'aumento della pressione su Iran e Corea del Nord, nonché l'attuale riposizionamento americano in chiave anticinese nel continente asiatico, siano pezzi sostanzialmente separati di una strategia guidata solamente da esigenze regionali non appare credibile ai nostri occhi. Da qui tuttavia non discenderebbe automaticamente il contrario, ovvero che siano parte di una strategia definita in un periodo di tempo che comprende al suo interno le amministrazioni di Bush padre, Clinton, Bush Junior e di Obama, e di cui la guerra al terrorismo islamico è stata sostanzialmente un elemento di distrazione ideologica.
Se tuttavia guardiamo ai passi compiuti dagli statunitensi in questi anni il quadro appare più chiaro: tali guerre sono state scatenate contro due paesi di un asse del male che al di là dei soli paesi inclusi dagli americani nella sua definizione formale - Iran, Iraq, Corea del Nord, comprende nella realtà un'area territoriale senza soluzione di continuità che include oltre a questi paesi la Cina, la Russia, la Siria e il Libano, che si sviluppa dalle coste del Mediterraneo a quelle del Pacifico.
E' questo il vero asse del male per gli americani.
Si tratta di un blocco di paesi e di sistemi economico-sociali e politico-culturali profondamente diversi tra loro che pur non rappresentando un'area omogenea, occupa una posizione che gli consente di mettere una seria ipoteca sul progetto americano di controllo dell'Eurasia, basato sull' impiando di petromonarchie/borghesie compradore sul modello saudita.
Le guerre scatenate in seguito appaiono un tentativo di erodere questo blocco a partire dall'aggressione dei suoi anelli più deboli, e la strategia va avanti almeno dai tempi della prima guerra del Golfo.
La guerra in Iraq ha impiantato un cuneo militare statunitense tra la Siria e l'Iran, danneggiando i collegamenti con la Siria e accerchiandola completamente, e quella in Afghanistan ha stabilito truppe e basi americane a Occidente del confine iraniano, con l'obiettivo di circondare l'Iran da est e da ovest e di stabilire un punto da cui controllare le zone ex sovietiche dell'Asia centrale.
Nonostante gli alti costi materiali e le morti tra le truppe di occupazione occidentale, queste guerre hanno infatti raggiunto almeno alcuni dei loro obiettivi: hanno sostituito due regimi anti americani con regimi fantoccio composti da borghesie compradore asservite agli interessi degli Usa, occupato territori strategici per il controllo del petrolio in Medioriente e del gas in Asia, e interrotto la continuità di un blocco che avrebbe potuto anche solo potenzialmente, costituire un ostacolo ai progetti americani di controllo del continente.
La crisi economica capitalista è insieme prodotto e causa di accelerazione di tale disegno, e probabilmente attaccare gli anelli deboli della catena, compresa anche la Libia, o il Sudan – vedi vicenda del Darfur e finanziamenti ai gruppi cristiani del Sud del paese fino all'indipendenza, oltre ad Iraq ed Afghanistan, ha come obiettivo finale il contenimento della crescita cinese, in parte dipendente dalle esportazioni di materie prime dalla regione. E' anche in questo senso che va letta la forte spinta interna alla rivoluzione dell'industria verde ecocompatibile della Cina, come modo per tentare di affrancarsi dalle importazioni petrolifere di cui gli americani controllano le fonti, ma si tratta di un processo che richiederà ancora molto tempo per essere realizzato.
Mentre i venti di guerra che spirano in tutto il mondo, Asia compresa, con il recente aumento di pressione sulla Corea del Nord tramite esercitazioni militari e la possibile creazione di una Nato dell'Asia Orientale come teorizzato da anni da alcuni think tank americani, ci dicono che questa strategia è già in pieno dispiegamento.
Stiamo assistendo ad una guerra mondiale asimmetrica o ad una nuova guerra fredda, di cui la crisi economica ha messo in evidenza e fatto saltare i nervi scoperti? Il ricompattamento tra Usa e India – che fa passare in secondo piano il momento caldo delle relazioni Usa Pakistan seguito agli attacchi americani contro le postazioni dell'esercito pakistano, e il tentativo di riallineare perfino la Birmania-Myanmar all'asse occidentale – vedi visita della Clinton, sono tutti elementi di questa preoccupante strategia che fa il pari con la costruzione di nuove basi Usa in Australia, il rinnovo della cooperazione militare con le Filippine, oltreché le citate esercitazioni militari con la Corea del Sud e il via libera al riarmo del Giappone.
L'obiettivo è quello di mettere a frutto le ricchezze naturali e la manodopera di questi paesi nel tentativo di uscire dalla crisi economica capitalistica mondiale, il cui presupposto è il rovesciamento interno di tali regimi sul modello delle rivoluzioni colorate, e nel caso dei paesi più piccoli e più vulnerabili, sul modello libico-afghano di appoggio militare ad una guerra civile incoraggiata da pressioni esterne.
Il gruppo di paesi cui facciamo riferimento ha da anni intessuto relazioni anche con i paesi del continente africano e dell'America Latina, il che ne ha accresciuto la pericolosità agli occhi degli strateghi dell'Occidente, basti pensare ad i rapporti tra Cina ed Iran e Cuba, Venezuela, Ecuador, Congo, Zimbabwe, il citato Sudan ed altri. In particolare l'aumento delle esportazioni africane di materie prime verso il paese fabbrica del mondo ha messo in allarme le cancellerie occidentali e i prestiti cinesi ai paesi Africani hanno fortemente ridimensionato ruolo di pressione del Fondo Monetario Internazionale nel continente.
Il ruolo della Russia e dei Brics in questo senso non è poi secondario: il progetto americano mira a erodere il network economico e commerciale di questi paesi con i paesi dell'America Latina, dell'Africa e del Medioriente, in modo da indebolirli e, nel caso di Russia e Cina, preparare un assalto finale ai loro regimi economici e politici.
In particolare nei confronti della Cina, il riposizionamento strategico americano in Australia consentirebbe in un futuro non molto lontano agli americani, di tentare un blocco dello stretto di Malacca, che unitamente alla chiusura della finestra birmana sull'oceano indiano potrebbe paralizzare i traffici di materie prime e merci da e verso la Cina e l'Europa, primo partner commerciale del paese asiatico.
Per quanto riguarda il suo alleato strategico, la Russia, se guardiamo all'attacco espresso dalla Clinton al regime putiniano uscito di poco vincitore dalle elezioni politiche di inizio mese in Russia, dove i comunisti che raddoppiano i voti fanno sempre più riferimento al modello cinese, mentre le navi russe attraccano ai porti siriani, risulta ancora più evidente come gli americani vogliano farla finita con il regime di Putin per riportare la Russia ad una condizione eltsiniana di asservimento e ritrasformare il paese in un mero esportatore di materie prime. Per fare questo occorre utilizzare le spaccature interne a tutti questi paesi che pure esistono, ed utilizzare la strategia del cuneo per aprire sempre di più contraddizioni interne fino a destabilizzarli completamente. In Russia ed in Siria in particolare questi cunei sono di rispettivamente di natura economico-sociale, ed etnico-religiosa. In particolare in Russia il regime putiniano non è stato in grado di garantire uno sviluppo economico sociale per la grande maggioranza della popolazione e le offerte iraniane alla Siria di entrare nel network finanziario sino-iraniano per emanciparsi dalle banche occidentali - ed il possibile congelamento degli assets come nel caso libico, oltre ai citati scambi militari con la marina russa, sembrano indicare che sulla partita della Siria si siano concentrate e si stiano affrontando l'area occidentale e i paesi di questo neonato blocco in formazione. In questo senso si è arrivati ad un'internazionalizzazione della crisi pur evitando finora risoluzioni di condanna della Siria in sede Onu, difesa da Russia e Cina, a differenza di quanto avvenuto per la guerra in Libia. Vedremo quale delle due aree e blocchi riuscirà a d avere la meglio in questa partita. Se questo porterà ad un ulteriore rafforzamento delle alleanze da noi evidenziate nel blocco asiatico oppure alla perdita di “pezzi”e al riallineamento all'Occidente. Sicuramente la sostituzione delle classi dirigenti di questi paesi con borghesie compradore legate mani e piedi ai diktat occidentali, sul progetto del Grande Medioriente, non sarà motivo di emancipazione dei popoli e delle classi lavoratrici di questi paesi. Anzi la capacità di redistribuzione interna della ricchezza in questi paesi, come nel caso della distribuzione delle rendite del petrolio alla popolazione avvenuto in parte in Iran, e una crescita economica altrettanto elevata ma più equilibrata nel caso della Cina ma soprattutto della Russia, potrebbero essere elementi di rafforzamento del consenso interno a questi paesi e giocare un ruolo importante proprio nel confronto attualmente in corso.
A cura della Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti.
Fonti:
http://www.foreignpolicy.com/articles/2011/10/11/americas_pacific_century
http://www.korea-dpr.com/users/italy/page19/files/58519bf121a732ea99d40d8816a75fd8-205.html
http://www.korea-dpr.com/users/italy/page19/files/fc23ecae0605a419278a93d789718974-201.html
http://www.korea-dpr.com/users/italy/page19/files/269f0e68d537835f84e05829445d7f58-199.html
http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=20425
http://www.lettera43.it/attualita/32850/cina-usa-la-birmania-contesa.htm
http://www.globaltimes.cn/NEWS/tabid/99/ID/686292/US-moves-test-China-Myanmar-ties.aspx
America Latina: Prove di unità culturale indipendente e autogestita
Dal 2 al 4 dicembre si è svolta nel centro di Santiago del Cile la prima Fiera Latinoamericana del Libro Popolare: “América Le Atina desde abajo”.
Oltre 60 stands con case editrici indipendenti e autogestite di Argentina, Bolivia, Messico, Cile e organizzazioni sociali di vari paesi con libri che non costavano più di 5.000 pesos cileni (circa 7 euro) e che, per lo più non passano per i circuiti ufficiali e non si possono trovare in altri spazi.
Durante le tre giornate ci sono state anche parecchie attività che hanno toccato i temi caldi dei movimenti sociali, i mezzi di comunicazione e il movimento studentesco, le coltivazioni transgeniche, la criminalizzazione dei movimenti sociali, le resistenze comunitarie, la giustizia ambientale, la criminalizzazione della protesta sociale, il recupero dei territori da parte del popolo Mapuche, le esperienze di autogestione educativa in America Latina ecc.
Sempre in collegamento con la Fiera del Libro, il giorno prima c’era stata un’altra iniziativa, dal titolo “Movimenti sociali” cui hanno partecipato, tra gli altri, il giornalista uruguayano Raúl Zibechi, attivo nella lotta contro la dittatura uruguayana e studioso di movimenti sociali, e il MPT (Movimiento de Pobladores en Lucha).
Il sottotitolo di questo ciclo di manifestazioni è un gioco di parole “a la calle no hay quien la calle” che tradotto vuol dire “la strada non si fa azzittire da nessuno” proprio come tutti i movimenti sociali e territoriali che ormai da un po’ di tempo in Cile si stanno prendendo i loro spazi, malgrado le intimidazioni e la repressione.
Redazione di NUESTRA AMERICA
Navi da guerra Russe e statunitensi si incrociano al largo del Siria
La portaerei “Admiral Kuznezov” e la grande nave antisommergibile “Admiral Ciabanenko” hanno attraversato il mediterraneo alla volta delle coste siriane. Le due navi da guerra della Flotta Settentrionale Russa hanno getteranno le ancore a Tartus, vicino Latakia In questa città costiera siriana la marina da guerra di Mosca ha una base sin dai tempi dell’URSS ed il cui utilizzo è stato rinnovato con accordo intergovernativo solo pochi anni fa.
Nonostante le autorità russe e siriane confermino che si tratta di una missione di routine pianificata da tempo, questo viaggio sottolinea, se mai fosse possibile dimenticarlo, che la Russia in Siria Russia ha dei solidi interessi politici nonché commerciali e cosa non trascurabile una cooperazione anche di carattere militare.
In queste ore, a quanto riferisce il sito egiziano YOUM 7, navi da guerra USA hanno attraversato il canale di Suez, si tratterebbe della portaerei USS George HW Bush e la rotta sarebbe la medesima delle navi Russe … Tartus .. Siria.
Una mossa, quella della marina USA, a cui fanno eco le parole di Ilary Clinton, secondo la quale per dare una prospettiva democratica alla Siria non basta mettere fine al governo Assad .
Si prepara quindi una nuovo scenario di aggressione neocoloniale sul modello della guerra in Libia. Su questo gli statunitensi hanno una lunga tradizione e vantano milioni di vittime innocenti sacrificate sull’altare della difesa degli interessi statunitensi e dell’avanzata della democrazia.
La Siria è un paese determinante nello scacchiere medio orientale,.Libano, Turchia, Iraq, Giordania, Mediterraneo e Israele ne segnano i confini. Per di più la Siria ha un vulnus nella sua storia ha lottato contro il colonialismo liberandosi dal dominio francese. Molto diversa è la storia degli oppositori con sede a Londra, Istanbul e con protettori in Qatar, Arabia Saudita ed una sostenitrice come la Clinton.
Attaccare la Siria, logorarla attraverso la tensione militare, lo strangolamento commerciale e diplomatico, sono solo alcune delle tattiche per raggiungere un obiettivo strategico, normalizzare la regione e mettere a frutto le sue ricchezze .
Per raggiungere questo scopo bisogna mettere fine all’ostacolo rappresentato dalla via nazionale che Baas, sciiti Iraniani ed Hezbollah hanno provato a tracciare, sotto le insegne dell’islam o del nazionalismo pan arabo. Il nuovo grande medio oriente progettato dall’alleanza tra petromonarchie, Turchia, USA e UE non prevede ostacoli alla messa profitto delle ricchezze e pretende stabilità politica. I movimenti di liberazione nazionale compreso quello palestinese e i popoli arabi saranno le prossime vittime.
A cura della Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti
Sul conflitto del Parco Nazionale Isidoro Sécure (TIPNIS).
Il conflitto, iniziato il 15 agosto con la marcia indigena del TIPNIS contro la costruzione dell’autostrada Villa Tunari-San Ignacio de Moxos, si è seriamente inasprito a causa dell’intervento, il giorno 25, da parte della polizia, che ha tenuto un comportamento totalmente condannabile.
In questo senso, essendo necessaria un’analisi che metta in luce con obiettività i fatti e i retroscena del problema, il Partito Comunista della Bolivia si pronuncia puntualizzando quanto segue:
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La marcia – che ha elementi attendibili e una piattaforma di richieste incoerente – è stata ispirata nella sua intransigenza e belligeranza da coloro che sono alla ricerca di pretesti per generare una crescente opposizione contro il governo e screditarlo creando situazioni di tensione, divisioni nella base sociale indigena originaria contadina, scontri tra diverse organizzazioni popolari, e boicottare le elezioni giudiziarie del 16 ottobre. Il loro obiettivo, ripetutamente annunciato, di arrivare fino a La Paz, rivela che il proposito è quello di servire da detonatore in un momento di turbamento sociale.
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Gli accadimenti del sabato 23, che sono sfociati nel prendere in ostaggio due funzionari dello Stato, hanno smascherato le vere intenzioni dei dirigenti e ispiratori della marcia. Le successive proposte del Governo di intavolare discussioni e giungere ad accordi soddisfacenti sono state eluse e persino ridicolizzate dai capeggiatori della marcia. In ciò hanno ricevuto l’appoggio delle organizzazioni e degli esponenti della destra e la collusa reazione (e non è strano) della ultrasinistra, dei trozkisti e frustrati di vario genere.
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Non si può ignorare l’azione disinformatrice e apportatrice di confusione da parte della maggioranza dei mezzi di comunicazione, che, dominati in modo schiacciante dalla destra, hanno creato in alcuni settori sociali atteggiamenti di pregiudizio e aggressivamente contrari al governo. Non può essere ingnorata neanche l’azione di numerose ONG che hanno stimolato e sostenuto la marcia, né l’ingerenza di USAID e di funzionari dell’Ambasciata nordamericana. Questa ha favorito la visita di certi emissari “indigeni statunitensi” che hanno trasmesso false immagini della loro esistenza nelle riserve del proprio paese.
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La crisi generata da tutti questi fatti ha causato la rottura di alcuni quadri dello schema governativo e manifestazioni di malcontento e persino la presa di distanza di elementi politicamente e ideologicamente deboli. Come ha prospettato il Presidente Morales, si deve realizzare una immediata e convincente indagine circa l’inadeguato intervento della Polizia e sottoporre a sanzioni coloro che risultino colpevoli.
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Per quanto sopra detto, affermiamo che questa complessa congiuntura richiede di essere affrontata con maggiore serenità e autocritica - come ha fatto lo stesso Presidente – assumendosi le responsabilità per gli errori commessi e per il ritardo nella risoluzione del problema. È certo che nulla è casuale nello svolgimento dei fatti, dal momento che esistono fattori interni ed esterni, che sono sfociati nell’attuale crisi, dai quali emerge l’ingerenza neoliberale ed imperialista. In questo senso non bisogna perdere di vista il fatto che la cospirazione continuerà e bisognerà prendere tutte le misure necessarie per preservare il Processo di cambiamento e sconfiggere i suoi nemici giurati.
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Essendo giunti a questo momento sfavorevole per le forze popolari, urge una reimpostazione dei rapporti frustrati dalla violenza e dall’agire degli interessi in gioco. Si devono recuperare i settori dei lavoratori, dissipare la delusione delle classi medie e superare le divisioni provocate dal nemico, soprattutto nelle organizzazioni sociali e contadine poco politicizzate e a volte preda di una predicazione falsamente a favore degli indigeni e marcatamente antisocialista e anticomunista. La piattaforma delle richieste della dirigenza indigena, incoerente ed inaccettabile, non ha corrispondenza con la realtà oggettiva e la necessità di uno sviluppo vero che non deve entrare in contraddizione con i diritti umani e collettivi dei popoli indigeni né con la necessaria cura dell’ambiente.
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In virtù della gravità delle conseguenze dei fatti e il crescente approfittarsi opportunista delle forze di opposizione, il cui discorso di circostanza a favore di indigeni ed ecologia cerca di sedurre elettoralmente le classi medie, il nostro Partito propone al Governo di Evo Morales l’adozione di misure d’emergenza a breve scadenza:
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Appoggiare la decisione del Presidente che,fino a quando non si raggiungano i consensi indispensabili, si dichiara la sospensione di qualsiasi attività relativa alla tratta II dell’autostrada Villa Tunari_san Ignacio de Moxos.
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Favorire la formazione immediata di una Commissione di Alto livello con la partecipazione di tutti gli attori coinvolti nel conflitto, per l’elaborazione congiunta a carattere prioritario delle disposizioni legali o di una Legge di Consultazione Preventiva dei Popoli Indigeni, come previsto dalla nostra Costituzione Politica, l’Accordo 169 della OIT e la Dichiarazione dei Diritti dei Popoli Indigeni alle Nazioni Unite.
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Affrontare con appropriata risposta la campagna mediatica, con proposte alternative e percorribili che non prevedano concessioni di principio, ma recuperino l’iniziativa e la credibilità delle classi popolari nel processo di trasformazione strutturale.
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Dispiegare gli sforzi maggiori per riarticolare le organizzazioni leali al progetto rivoluzionario e stabilire seriamente ed organicamente un centro di direzione programmatica e ideologica che segnali le prospettive di sviluppo ed approfondimento del processo di cambiamento.
La Paz, 29 settembre 2011
COMMISSIONE POLITICA PARTITO COMUNISTA DI BOLIVIA
L’attacco al “Blocco della Resistenza” - Hezbollah si prepara a resistere
L’attacco al “Blocco della Resistenza”
Hezbollah si prepara a resistere
Nawaf Moussawi
Una serie di episodi di carattere “bellico” danno il segno del prepararsi di una aggressione nei confronti del Blocco della Resistenza , formato da Siria , Iran ed Hezbollah . Il probabile sabotaggio alla centrale nucleare di Isfan, l’abbattimento dei droni americano ed israeliano rispettivamente in Iran ed in Libano, fanno da cornice alle azioni armate compiute dall’Esercito Libero Siriano contro il governo di Damasco. A questo proposito il deputato ed ex responsabile delle relazioni internazionali di Hezbollah Nawaf Moussawi nel sottolineare la fedeltà al “Blocco della Resistenza" ha ribadito che quella che si sta combattendo è una guerra asimmetrica che vede da un lato forze come Hezbollah contrastare sul terreno militare forze di gran lunga superiori.
"La resistenza (libanese) continua a smantellare le reti di spionaggio israeliane, grazie alle quali nemico sionista pensa di prevalere, accorgendosi però ogni volta del contrario “
Ultimamente Hezbollah ha dichiarato di avere scoperto e disattivato un dispositivo statunitense per il monitoraggio delle comunicazioni segrete del Partito di Dio. Secondo Moussawi questo rappresenta anche un successo che dimostra il grado di sviluppo delle capacità tecniche e d’intelligence della Resistenza libanese.
Il rappresentante della resistenza sciita libanese ha messo in evidenza che grazie ad "Hezbollah che continua ad contrastare questo nemico (imperialismo USA e Israele) rafforzando di giorno dopo giorno la sua capacità di resistenza, allontana l’aggressione " israeliana " contro il Libano". Moussawi ha continuato che "se noi fossimo stati deboli, avrebbero invaso il nostro paese e ha attaccato il Libano come la Siria ", una delle ragioni più importanti per cui oggi stanno ritardando l'aggressione della NATO alla Siria è la realtà strategica che siamo stati in grado di dimostrare nel 2006".
A cura della Commissione Internazionale della RdC
Giornata internazionale di solidarietà con la Palestina
Giornata internazionale di solidarietà con la Palestina
Akram Mohammed Samhan, ambasciatore della Palestina in Cuba, ha ringraziato l’Isola per la sua solidarietà con la causa del suo paese e l’appoggio per l’ammissione del suo Stato come membro 194 nella organizzazione delle Nazioni Unite, ONU.
Durante un incontro che si è svolto nella Scuola Latinoamericana di Medicina (ELAM), nella capitale cubana, con motivo del Giorno Internazionale di Solidarietà con il Popolo Palestinese, Samhan ha detto: "Abbiamo vinto la battaglia nella UNESCO e vinceremo nella ONU, perchè ci assiste il diritto per il quale abbiamo tanto lottato".
"È anche ora che i Cique cubani prigionieri, ingiustamente condannati negli Stati Uniti, tornino a casa", ha sottolineato l’ambasciatore.
Carlos Amat, presidente dell’Associazione Cubana delle Nazioni Unite, ha letto un messaggio inviata dal Ministro degli Esteri Bruno Rodríguez al popolo palestinese, nel quale ha sottolineato che il Consiglio di Sicurezza si deve pronunciare a favore della Palestina e deve smettere le manovre dilatorie.
Cuba esige la fine della prolungata ed illegale occupazione israeliana in territorio arabo, ha scritto il diplomatico, ed appoggia tutte le azioni per il riconoscimento di questo Stato come membro con pieno diritto nella ONU.
Mohamed Anati, rappresentante della delegazione palestinese nella ELAM, ha ratificato che i suoi compatrioti si mantengono fermi per proteggere il loro progetto nazionale ed ha ringraziato Cuba e tutte le nazioni del mondo che oggi dimostrano la loro solidarietà con l’indipendenza del suo paese.
Inoltre ha ricordato l’esempio del leader storico Yasser Arafat, nel settimo anniversario della sua scomparsa fisica, ed ha segnalato che il suo legato li ispira ad essere fedeli alla sua rivoluzione e ai suoi principi.
Leira Sánchez, membro del Burò Nazionale della Unione dei Giovani Comunisti, ha detto che le nuove generazioni di cubani condannano gli attacchi sionisti alla Palestina e tutti i tentativi di aggressione ai paesi del Medio Oriente.
" In Cuba troverete sempre un paese difensore delle giuste cause", ha aggiunto la dirigente.
Hanno partecipato all’incontro membri del corpo diplomatico accreditato a L’Avana, rappresentanti dell’Istituto Cubano d’Amicizia con i popoli, membri di organizzazioni di solidarietà politiche e sociali, assieme agli studenti della ELAM.
(AIN/ Traduzione Granma Int.)
A duecento anni dall’indipendenza, l’America Latina continua la sua liberazione.
a cura di redazione NUESTRA AMERICA
Il 29 novembre scorso a Brasilia si sono riuniti i ministri di Comunicazioni e Tecnologie dell’Informazione dei 12 paesi dell’UNASUR per discutere un importantissimo progetto di infrastrutture che include, oltre agli altri progetti, un anello di fibra ottica che sarà realizzato entro due anni e permetterà ad una mole enorme di dati informatici di non passare più attraverso gli USA prima di arrivare a destinazione, garantendo maggior sicurezza e minori costi per gli Stati di UNASUR.
Questo è solo uno dei 31 progetti d’infrastruttura approvati per il periodo 2012-2022 per un costo di 14 mila milioni di dollari.
I quattro progetti più rilevanti sono:
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corridoio ferroviario tra i porti di Paranagua (Brasile) e Antofagasta (Cile), con un costo di 3 mila 700 milioni di dollari;
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autostrada Caracas-Bogotá-Buenaventura-Quito, con un costo di 3 mila 350 milioni di dollari;
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ferrovia bi-oceanica Santos-Arica, tratto boliviano, con un costo di 3 mila 100 milioni di dollari;
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autostrada Callao-La Oroya-Pucallpa, con un costo di 2 mila 500 milioni di dollari.
Queste opere, che sono parte del progetto IIRSA (Iniziativa per l’Integrazione dell’Infrastruttura Regionale Sudamericana), saranno finanziate principalmente dal BNDES brasiliano, ma vi potranno partecipare anche il Bandes del Venezuela, il Banco de Inversión y Comercio Exterior dell’Argentina e il Banco del Sur.
Alcune di queste opere (quelle che passano per il TIPNIS in particolare) sono oggetto di contestazione da parte di ONG estranee all’area latinoamericana, e questo fa sorgere qualche sospetto sul fatto che queste prove concrete di indipendenza da parte del cono sudamericano (a prescindere dalle fortissime differenze politiche e ideologiche che distinguono i 12 paesi dell’UNASUR) stiano pesantemente infastidendo gli USA, che hanno sempre detenuto il controllo quasi totale del loro “cortile di casa”.
A rendere più concrete le preoccupazioni di Washington si aggiungono le decisioni prese da parte di UNASUR anche in materia di difesa nazionale e creazione di un’agenzia spaziale regionale. Già il 5 settembre scorso tra Argentina e Brasile era stato disegnato l’accordo strategico di difesa che porta, per il momento alla fabbricazione di un aereo-cargo militare KC-390 progettato in Brasile dalla Embraer e che sarà fabbricato a Cordoba, in Argentina, mentre, l’11 novembre, è stato deciso a Lima l’avvio della fabbricazione di un aereo per l’addestramento piloti (cui parteciperanno Ecuador, Venezuela, Perú e Brasile) e di un drone per la vigilanza delle frontiere.
Le politiche imperialiste del Fondo Monetario Internazionale e la candidatura diHenrique Capriles Radonski
della redazione di Nuestra America
4 marzo 2012
Il 12 febbraio si sono svolte in Venezuela le primarie dell'opposizione riunita nella Mesa de la Unidad Democrática che, nata nel 2007 per unificare l’opposizione frammentata, comprende una ventina di partiti e movimenti.
Al termine del conteggio dei quasi 3 milioni di voti espressi, Henrique Capriles Radonski ha vinto col 63%, pari a un milione 806 mila voti. Trentanovenne, di famiglia ricca ed imprenditoriale, proprietaria di catene di cinema, Henrique Capriles Radonski, ex vicepresidente del Congresso, ex sindaco di Baruta, è governatore dello stato di Miranda, confinante con la capitale Caracas, il secondo più popoloso del Venezuela.
Sarà quindi lui a sfidare il presidente Hugo Chavez alle elezioni presidenziali del 7 ottobre, per cercare di impedirgli il quarto mandato a Palacio Miraflores.
“Oggi ha vinto il futuro del Venezuela”, ha gridato dal palco Henrique Capriles Radonski subito dopo l’ufficializzazione della vittoria alle primarie, in un discorso teso a ricostruire l'unità del paese, senza mai nominare il presidente Hugo Chavez. Ed è questa la sua tecnica oratoria. Parlare del Venezuela, cercando per quanto possibile di non nominare l'attuale presidente,
Secondo Jesse Chacón, il presidente dell’agenzia di sondaggi GIS - Grupo de Investigación Social XXI, la campagna elettorale di Capriles Radonski “si manterrà a livello simbolico: il progresso, la pace, la sicurezza, perché qualunque discesa per discutere i programmi, discutere i concetti, la politica e l’ideologia, lo metterà di fronte all'uomo più importante della politica venezuelana. In questo campo non batterà Chavez.”
Su questo aspetto dell’assenza di proposte concrete o definizioni ideologiche, concorda anche Oscar Schemel, presidente dell’altra agenzia di sondaggi Hinterlaces, secondo il quale la mancanza di discorso dello sfidante della destra ha conseguenze palpabili: "Capriles è un giardino senza fiori che non riesce a mettersi in contatto con la maggioranza” infatti “benché il 46% dei venezuelani pensi che l’opposizione abbia buone idee per i poveri, solo il 25% si identifica con i suoi ideali […] mentre più del 60% ha un riconoscimento di gestione molto alto per il presidente Hugo Chávez.”
In un recente articolo pubblicato su Tribuna Popular, organo del Comitato Centrale del Partito Comunista Venezuelano, Rafael Enciso economista investigatore individua in Capriles Radonski il candidato della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale, dell’Organizzazione Mondiale del Commercio – cioè degli strumenti dell’imperialismo - alle elezioni presidenziali in Venezuela e fa un’approfondita analisi economica degli antecedenti delle politiche che questi organismi chiedono di eseguire al candidato.
Le politiche neoliberali del FMI, imposte con maggior forza a partire dal cosiddetto “Consenso” di Washington nel 1994 dopo la fine dell’Unione Sovietica e del campo socialista dell’Europa dell’Est, hanno intensificato il saccheggio delle risorse naturali e lo sfruttamento dei lavoratori dei paesi sottosviluppati per garantire un super-profitto ai monopoli.
Come in Europa la BCE, così in America Latina le politiche del FMI, sono mascherate come aiuto finanziario ai governi dei paesi in crisi, crisi che sono frequentemente causate dal pagamento del debito estero, dalla corruzione amministrativa delle oligarchie governanti e dalle decisioni miranti a soddisfare le necessità di guadagno dei paesi centrali a detrimento delle economie nazionali con sempre maggior impoverimento delle classi subalterne.
Come in Europa, questi “aiuti” sono prestiti concessi con interessi elevatissimi quasi impagabili (vedi Grecia) e che soprattutto condizionano le politiche economiche e sociali dei paesi debitori, diminuendo così la sovranità nazionale per creare le condizioni politiche ed economiche favorevoli a liquidare gli Stati Nazione.
Queste politiche si concretizzano nelle seguenti misure:
Riduzione della spesa sociale, a discapito delle politiche di sostegno alle necessità della popolazione, per cui i più poveri sono quelli più colpiti in maniera drastica.
Libero commercio e predominio totale del mercato (controllato dai monopoli) come regolatore della società. Rincaro di tutti i prodotti e diminuzione del poter acquisto della popolazione.
Nel caso del costo dei crediti bancari, gli elevatissimi tassi di interesse diventano impagabili, così i crediti diventano una speculazione legalizzata che porta all’espropriazione di case, terre, aziende, tutte ipotecate come garanzia di pagamento.
L’imposizione delle così dette aperture economiche e Trattati di Libero Commercio (TLC) ha significato la liquidazione delle politiche protezionistiche dell’agricoltura, dell’industria e del lavoro dei paesi sottosviluppati. Questo, a sua volta, ha significato che con la riduzione o l’abolizione dei dazi per l’importazione dei prodotti dai paesi industrializzati, si distrugge l’agricoltura e l’industria dei paesi dipendenti che non sono in grado di competere in prezzo e qualità.
Si arriva così alla de-nazionalizzazione delle imprese che diventano di proprietà maggioritaria dei monopoli. Tutto ciò produce una disoccupazione crescente, mentre i paesi esportatori creano nuova occupazione, come la Germania in Europa.
Subordinazione delle Costituzioni e Leggi dei paesi vittima ai dettami di organismi sovranazionali, con progressiva distruzione degli Stati-Nazione.
Privatizzazione delle imprese pubbliche e di molti servizi di Stato dai trasporti, all’istruzione e alla sanità: quello che era un patrimonio del popolo, forgiato durante secoli di civiltà, è ora oggetto di appropriazione da parte dei monopoli imperialisti. E come se non bastasse ne consegue un rincaro di tutti i servizi, con ulteriore impoverimento delle classi lavoratrici.
Libero investimento straniero favorito dalla soppressione di ogni tipo di controllo e restrizione da parte dello Stato.
Riduzione dei salari reali e de-regolazione dei rapporti di lavoro. Cioè, strappare la stabilità e i diritti dei lavoratori, conquistati con grandi lotte durante il secolo XX, per ridurre gli stipendi e a beneficio del capitale imperialista.
Un altro metodo adottato dall’imperialismo tramite il FMI e la Banca Centrale per garantirsi l’applicazione delle sue politiche nel mondo, è la nomina di ex-presidenti ed ex ministri del Fisco, Finanze o Economia ad alte cariche di cosiddetti organismi multilaterali, come parte del pagamento della tangente per aver rinunciato alla sovranità nazionale e al patrimonio dei popoli a favore dei monopoli imperialisti.
Prosegue nel suo articolo l’economista Rafael Enciso “Tutta questa è la vera essenza delle politiche pubbliche che l'oligarchia venezuelana ed i monopoli imperialisti, rappresentati dalla candidatura di Capriles Radonsky, applicherebbero in Venezuela nel negato caso che vincessero le elezioni presidenziali del prossimo 7 di ottobre. Il valoroso popolo del Venezuela, sotto la conduzione del suo Comandante Presidente Hugo Chávez, saprà ostacolarlo, per assicurare la continuità della rivoluzione bolivariana ed il suo approfondimento in direzione socialista.
Affinché le politiche pubbliche, concepite ed eseguite con visione bolivariana che hanno permesso – anche se con alcuni errori e deformazioni che è necessario superare-, di recuperare per lo sviluppo nazionale le risorse naturali e in primo luogo il petrolio e il gas; e le Missioni Sociali in salute, alimentazione, educazione, abitazione, produzione agricola ed industriale benefichino sempre più il popolo venezuelano e propizino il suo sviluppo integrale e la sua felicità; affinché si fortifichino la capacità produttiva, l'indipendenza e la sovranità del Venezuela.
E affinché i paesi dell’America Latina e del Caribe proseguano ogni giorno di più nella loro integrazione, su basi di eguaglianza, equità, complementarità e solidarietà.”
Fonti:
E’ ORA DI AVVIARE LA CONTROTENDENZA
E’ ORA DI AVVIARE LA CONTROTENDENZA
C’è qualcosa che non funziona. E’ dallo scoppio della crisi che giornali, organi di informazione, siti web e pletore di economisti scandiscono le nostre giornate con grida di allarme sullo stato non più sostenibile dei debiti “sovrani”, sulla crescita dello spread nei confronti del Bund, sulla necessità immediata di rassicurare i “mercati”.
L’ennesima ultima scadenza a livello europeo per assumere decisioni politiche adeguate e decisive è stata fissata per il prossimo 9 dicembre, giorno nel quale si incontreranno i leader europei. In assenza di un accordo, viene avvertito, l’euro andrà in pezzi e si spaccherà l’intera eurozona.
Si sa però che sulle ricette da preparare per la tavola dei sudditi europei, le idee cambiano di giorno in giorno e sono spesso largamente discordanti.
Ogni giorno rimbalzano notizie su “piani segreti” di trama tedesca, su Europa a due o tre velocità, su vie di fuga di singoli o gruppi di paesi.
L’ultimo allarme è stato suonato dalle autorità finanziarie britanniche che stanno predisponendo piani di emergenza di fronte alla possibilità di un default o di una rottura dell'eurozona e altrettanto si predispone a fare la banca d'affari americana Goldman Sachs.
L’ipotesi Eurobond osteggiata da Berlino si fa sempre più remota, il fondo salva-Stati Efsf, dotato di 400 miliardi di euro, di cui molti già impegnati per la Grecia, non basterebbe in caso di necessità per Paesi più grandi come Italia e Spagna, e in campo potrebbe entrare, le smentite rafforzano l’ipotesi, il Fondo Monetario Internazionale con un prestito di migliaia di miliardi per l’Italia e altri paesi.
In ogni caso bisogna far presto, dicono tutti. Anche il Capo dello Stato Napolitano, ha ammonito che è necessario uno “sforzo politico, sociale e morale” per scongiurare il default.
Non è la prima volta che il primo tra i “grandi elettori” nostrani del tecnocrate Monti rivolge questo appello, in piena sintonia con i poteri forti europei. Il problema però è che nel frattempo di cose ne sono successe e poco hanno a che fare con la moralità degli sforzi politici e sociali.
Ciò che sta avvenendo è una guerra economica, monetaria e finanziaria dentro al polo imperialista europeo e nella competizione globale con gli USA e i paesi emergenti, che per quanto riguarda l’Europa ha già disegnato nuove gerarchie, declassando l’intera area mediterranea e non solo.
A questo si accompagna o meglio questo è determinato da un processo di profonda involuzione politica.
Come scrive James Petras *, in un recente saggio (Il nuovo autoritarismo: dalle democrazie in decomposizione alle dittature tecnocratiche, e oltre.), siamo in “un periodo in cui sono in piena accelerazione grandi trasformazioni politiche e l'arretramento drammatico di norme legislative di natura socio-economica introdotte un mezzo secolo fa… gli importanti cambiamenti di regime in corso hanno un profondo impatto sui modi di governare, sulle strutture di classe, sulle istituzioni economiche, sulla libertà politica e la sovranità nazionale.
Viene individuato un processo in due fasi di regressione politica.
La prima fase prevede il passaggio da una democrazia in disfacimento ad una democrazia oligarchica; la seconda fase, attualmente in atto in Europa, coinvolge il passaggio dalla democrazia oligarchica ad una dittatura colonial-tecnocratica”.
Effettivamente l’evoluzione dei processi in corso potrebbe segnare il destino della moneta unica del vecchio continente e cambiare anche in modo sostanziale gli attuali assetti e alleanze politiche, ma per far questo non bastano le cessioni di sovranità già in atto in Italia ed in Grecia, ma serve senza perdere altro tempo la costruzione di un’entità politica sovrannazionale che sia in grado di assumere il comando e senza mediazioni.
C’è però qualcosa, come dicevamo all’inizio, che non funziona nel senso che vorrebbero lor signori, e che crediamo possa rompere le uova nel paniere.
Ieri in Inghilterra due milioni di lavoratori pubblici hanno bloccato il paese per difendere il proprio sistema pensionistico. Dopo il grande sciopero generale in Portogallo, i lavoratori greci hanno paralizzato il loro paese con uno sciopero generale di 24 ore e dal palco di piazza Omonia al loro fianco ha preso la parola Pierpaolo Leonardi dell’USB, che ha raccolto l’invito del PAME a rilanciare la lotta dei lavoratori europei contro il massacro sociale imposto dal capitalismo “tecnocratico” della troika (UE, BCE,FMI).
Siamo pronti a scommettere che anche i lavoratori italiani, una volta terminata la “sbronza” per essersi liberati, si fa per dire, di Berlusconi e appurato che la brace non è meglio della padella, sapranno dare il loro contributo al conflitto di classe in corso, unica via per dire basta alla guerra scatenata dalla crisi strutturale del putrescente sistema capitalista.
* Professore emerito di sociologia all’università Binghamton di New York e collaboratore di Global Research.
A cura della Commissione internazionale della Rete dei Comunisti