nuestra america
Soffiano ancora venti di guerra.
Cogliamo con crescente preoccupazione avvertimenti e dichiarazioni che vengono da oltre Oceano, da Cuba precisamente, che ci fanno temere una nuova crisi in Medio Oriente, quella israelo-iraniana al cui confronto, per le conseguenze sia materiali che politiche, quella libica fa quasi sorridere.
Martedì 13 novembre Cuba reitera il suo impegno contro il terrorismo; infatti il suo rappresentante permanente presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite, Pedro Núñez Mosquera, ha ribadito nel Consiglio di Sicurezza, l’impegno dell’Isola nella lotta contro il terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni, condannando anche il terrorismo di Stato, come una delle varianti più orrende di queste azioni, e insistendo sulla necessità che le misure per eliminare il terrorismo internazionale si debbano basare nello stretto rispetto della Carta delle Nazioni Unite e i principi del Diritto Internazionale.
Pedro Núñez Mosquera ha sostenuto la posizione del Movimento dei Paesi Non Allineati contraria alla confezione unilaterale delle liste che accusano gli Stati di un presunto appoggio al terrorismo.
Giovedì 17 novembre alcuni Parlamentari della Cina e di Cuba rilanciano un appello a sostegno della pace mondiale: il vicepresidente dell’Assemblea Nazionale del Potere Popolare di Cuba, Jaime Crombet, ha ricevuto Han Qide il suo omologo del Comitato Permanente dell’Assemblea Popolare Nazionale della Cina.
CRISI SITEMICA IN EUROPA, UNO SGUARDO OLTRE I PIIGS
Germania, Francia e Inghilterra: le tensioni nel cuore dell’Euro zona
I negoziati, gli incontri, le tensioni, i “piani segreti”, stanno caratterizzando i rapporti quotidiani e permanenti tra i paesi centrali dell’Euro zona.
Il problema è che la crisi sistemica, che continua ad essere spacciata per “crisi del debito” non si arresta, e dopo aver investito Grecia, Portogallo, Irlanda, Italia e Spagna, minaccia ora anche i Paesi a tripla A dell'area euro come la Francia. Anche l’asse Parigi-Berlino, architrave del polo imperialista europeo, comincia a scricchiolare.
Berlino, ma ancor più la Bundesbank, respingono l'ipotesi che sarà la Bce a farsi «prestatore di ultima istanza» stampando moneta per comprare il debito del resto dell’Euro-polo.
Si torna a parlare degli eurobond, anche se le crescenti difficoltà della Francia, per non parlare degli Stati già declassati, mettono una seria ipoteca sul progetto. E prende quota anche l’ipotesi di un tandem Bce-Fmi per fornire un maxi-prestito, che l’attuale fondo salva-Stati non è in grado di garantire.
Circola anche un’altra ipostesi che viene definita azzardata e che vedrebbe, per far fronte alla crisi, i Paesi a “tripla A” dotarsi di «bond comuni», sapendo però che la misura sarebbe il preludio a una spaccatura dell'euro.
Ci sarebbe infine un piano segreto della Germania, rivelato dal Daily Telegraph per la creazione di un Fondo Monetario Europeo in grado di sostituirsi alla sovranità degli Stati membri in difficoltà. Il piano divulgato, scritto dagli uffici del ministro degli Esteri tedesco, rivela studi avanzati per una nuova istituzione europea, che sarebbe in grado di subentrare alle economie delle nazioni problematiche dell’eurozona.
Il fondo avrà il potere di portare i paesi in sofferenza verso l’amministrazione controllata per gestire le loro economie. Il documento, intitolato “Il futuro dell’UE: le migliorie alle politiche di integrazione richieste per la creazione di un’Unione di Stabilità”, dichiara che le modifiche al trattato sono in una prima fase “in cui l’UE potrà trasformarsi in un’unione politica”. “Il dibattito sul modo di arrivare a un’unione politica deve iniziare appena verrà fissato il percorso verso l’unione di stabilità”.
Ma lo scontro nell’Euro-zona non è tanto sulle “cure” da infliggere ai PIIGS, paesi che cominciano ad essere giudicati complessivamente troppo grandi per essere salvati, e per i quali non è affatto esclusa l’ipotesi della bancarotta, ma sul fatto che la bancarotta si estenderebbe a quel punto inevitabilmente all’intera Europa.
In Francia ad esempio, l’UE sia pure sotto il segno di Sarkozy e Merkel, comincia a piacere sempre meno, e riprende quota il mai sopito sentimento nazionalista. In un recente sondaggio il 48% delle risposte indica che le persone intervistate sono “stufe” della situazione economica della Francia, mentre il 30% afferma di essere “rassegnato”. Solo il 14 per cento ha fiducia o è entusiasta.
La categoria sociale dove predomina il sentimento di rivolta è quella degli operai (il 64%), seguiti degli artigiani e dai piccoli commercianti (il 55%) e dagli impiegati (il 52%). Il sentimento di rivolta è più debole nelle libere professioni e tra gli alti dirigenti, ma raggiunge comunque il 36%.
La schiacciante maggioranza dei francesi ritiene che l'apertura dell'economia ha avuto conseguenze nefaste ed infine la gran parte delle persone intervistate ritiene che l'Europa debba ripristinare politiche protezioniste (80%). Ma, nel caso ci fosse un rifiuto dei partner europei di acconsentire a queste iniziative, il 57% degli intervistati ha risposto che la Francia dovrebbe proseguire da sola.
Le cose non vanno meglio dall’altra parte della Manica. In un recente incontro con la cancelliera tedesca, seguito a settimane di polemiche tra i due paesi, il leader britannico David Cameron ha ribadito la sua fiducia nella capacità dell'eurozona di trovare una via d'uscita alla crisi del debito e ha dovuto dire che l'impegno della Germania per salvare l'euro ''è anche nell'interesse della Gran Bretagna''. Ma sul come, le distanze restano tutte. Cameron ha infatti chiesto con forza che la BCE sia utilizzata come un ''grande bazooka'' per difendere l'euro, potendo comprare titoli del debito pubblico su vasta scala e diventare acquirente di ultima istanza per gli stati in crisi, possibilità alla quale Berlino si oppone fermamente.
Ma è la stessa Germania, ad oggi indiscussa “titolare” dell’UEM, a non essere più sicura del proprio futuro. Jean-Claude Juncker, capo dell’Eurogruppo, ha ammonito che la Germania non è più un porto sicuro avendo un debito pari all’82 per cento del PIL. "Penso che il livello del debito tedesco sia preoccupante. La Germania ha più debiti della Spagna", ha detto. "È comodo dire che le nazioni meridionali sono pigre e che i tedeschi sono gran lavoratori, ma le cose non stanno così,"
Ed è ancora il Telegraph ad informare che gli investitori asiatici e le banche centrali hanno cominciato a vendere i bond tedeschi e a ritirarsi da tutta l’eurozona per la prima volta dall’inizio della crisi, ritenendo i dirigenti dell’UE incapaci di accordarsi su politiche coerenti.
E infine, "La domanda che tutti si fanno nei mercati del debito è se mollare la Germania. La Banca Centrale Europea ha un bilancio di 2 trilioni di euro e, se l’eurozona dovesse scivolare nell’abisso, la Germania ne subirà le conseguenze. Siamo davvero vicini al punto in cui i mercati si muoveranno in questa direzione, o forse già ci siamo", ha detto Andrew Roberts, responsabile dei tassi alla Royal Bank of Scotland.
In conclusione, e per tornare ai destini di noialtri PIIGS, ci sembra che le strategie che i poteri forti europei stanno dibattendo unite alle politiche sociali devastanti attuate dai governi del sud Europa posti sotto commissariamento dalla Troika (UE, BCE, FMI), rafforzino le nostre convinzioni.
Prima di essere cacciati e comunque sbriciolati economicamente dopo che è stata cancellata la sovranità dei paesi, rilanciamo con forza le lotte dei lavoratori e costruiamo l’uscita dei PIIGS dall’Unione Economica Monetaria, perchè come è stato scritto si può anche vivere da “maiali”, ma non essere tritati come mortadella.
Commissione internazionale della Rete dei Comunisti
Dichiarazione della Direttrice per l’America del Nord del Ministero di Relazioni Estere, Josefina Vidal Ferreiro
Un fatto spiacevole, ma insolito per Cuba, è stato nuovamente travisato e manipolato per interessi politici meschini, per giustificare la politica del blocco contro il nostro paese. Le dichiarazioni del Dipartimento di Stato e della Casa Bianca costituiscono un ulteriore esempio della permanente politica di aggressione e ingerenza nei fatti interni di Cuba e colpiscono per la loro ipocrisia e doppio standard. In realtà si adattano meglio al record di violazioni dei diritti umani degli Stati Uniti sul loro stesso territorio e nel mondo, piuttosto che all’impegno di Cuba, paese in cui l’essere umano è la cosa più importante.
Non c’è stata dichiarazione del Presidente nè del Dipartimento di Stato quando è morta in prigione, a Chicago, a seguito di uno sciopero della fame, la reclusa Lyvita Gomes, lo scorso 3 gennaio.
Non è a Cuba dove 90 prigionieri hanno subito la pena di morte da gennaio 2010 ad oggi, mentre altri 3222 rei aspettano la loro esecuzione nel corridoio della morte. Bisogna ricordare che gli Stati Uniti hanno già celebrato la loro prima esecuzione del 2012 e il loro governo reprime senza alcuna indulgenza quelli che si azzardano a denunciare l’ingiustizia del sistema.
È il Governo degli Stati Uniti che pratica la tortura e le esecuzioni estragiudiziali nei paesi che aggredisce e che usa la brutalità poliziesca contro la sua stessa popolazione.
È un atto di cinismo colossale, il governo nordamericano si permette di condannare Cuba, mentre chiude gli occhi e non alza la voce davanti alle flagranti violazioni dei diritti umani che genera l’ingiustizia, l’aggressione e la mancata protezione a coloro che la sua politica condanna, a milioni di persone nel pianeta, incluse anche quelle del suo stesso territorio.
Cuba continuerà ad essere il paese in cui, malgrado la guerra economica degli Stati Uniti, muoiono meno bambini alla nascita, dove si lavora ogni giorno per aumentare i già elevati livelli di giustizia sociale, irraggiungibili ancora per la maggior parte degli abitanti del mondo, inclusi gli Stati Uniti, dove la disuguaglianza è in aumento.
20 gennaio 2012
La Germania è ancora un porto sicuro ?
L’esposizione della Germania per la crisi è enorme e la situazione può solo peggiorare, mentre l’eurozona sta ripiombando in recessione.
La Germania è esposta per 211 miliardi di euro nel fondo di salvataggio europeo EFSF, così come per l’iniziale pacchetto di prestiti per la Grecia. Se l’eurozona dovesse rompersi nell’astio, con la morsa dei default sovrani e un crollo simile agli anni ’30, le perdite potrebbero spingere il debito tedesco verso il 120 per cento del PIL.
Gary Jenkins di Evolution Securities ha detto che il contagio dell’UEM al cuore dell’Europa ha portato all’attenzione la prospettiva di una rottura e ha sollevato l’interrogativo su quanto a lungo la Germania possa ancora rimanere un porto sicuro. "Un qualsiasi scenario pessimista potrebbe richiedere almeno una sostanziale ricapitalizzazione delle banche tedesche e garantire il debito dei partner dell’eurozona."
I critici dicono che la Germania non è né carne né pesce. Ha sostenuto i salvataggi dell’UEM abbastanza per mettere in pericolo il valore del proprio credito, senza impegnarsi nella “potenza di fuoco” necessaria per ripristinare la fiducia ed eliminare i rischi di default su Spagna e Italia. È difficile intraprendere una politica più distruttiva.
Ancora non ci sono cambiamenti in vista. La Cancelliera Angela Merkel va ripetendo che la Germania non accetterà l’unificazione del debito dell’UE o un blitz di acquisti della BCE. "Se i politici pensano che la BCE possa risolvere i problemi dell’euro, stanno cercando di convincersi di qualcosa che non avverrà", ha detto.
E non essendo in grado di offrire vie d’uscita, anche per la Germania il “pantano” si avvicina.
A cura della Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti
Fonte: Telegraph.co.uk
Istruzione a Cuba
Obiettivo primario dell’istruzione cubana è il miglioramento delle condizioni socioeconomiche del paese e del suo popolo, così come già nel XIX secolo aveva suggerito l’intellettuale e rivoluzionario cubano Josè Marti:
”Il programma educativo – diceva- deve iniziare dalla scuola primaria e finire con l’università sempre legato ai tempi, allo stato ed alle aspirazioni dei paesi in cui si insegna.”
Fin dal primo momento della vittoria della Rivoluzione, nel gennaio del 1959, l’eliminazione dell’analfabetismo è stata una delle fondamentali priorità di Cuba, che è riuscita, negli anni, a mettere in piedi uno dei più avanzati sistemi educativi oggi esistenti finalizzandolo al benessere della società. La differenza tra Cuba e la quasi totalità dei paesi del mondo è data dal fatto che considera l’istruzione come parte integrante della rivoluzione sociale, un modo per formare “l’uomo nuovo” multilaterale ed armonico, unificandolo nell’insegnamento intellettuale, scientifico-tecnico, politico-ideologico, fisico, morale, estetico, lavorativo e patriottico-militare. Per raggiungere questo obiettivo così impegnativo, la scuola non può limitarsi a nozioni e conoscenze, ma deve “insegnare a studiare”, “insegnare a fare ricerca”, introdurre la “necessità di sapere”.
Prima della Rivoluzione l’istruzione a Cuba era impostata come nella gran parte degli altri paesi del mondo. Nel 1728 era nata la Reale e Pontificia Università de L’Avana, nel 1947 l’Università d’Oriente e nel 1952 l’Università Centrale de Las Villas. Le facoltà prevalenti erano quelle umanistiche ed i metodi d’insegnamento erano passivi e mnemonici.
Immediatamente dopo il trionfo della Rivoluzione è stato dichiarato il carattere gratuito e democratico dell’istruzione per tutti. C’è stato un impegno capillare per garantire massivamente la scolarizzazione di base per giovani e bambini. Questo obiettivo primario è stato conseguito quasi totalmente nel 1970, mentre già dal 1962, il Governo Rivoluzionario aveva cominciato la Riforma Universitaria con la quale ristruttura completamente il sistema universitario creando le basi della ricerca, nuove facoltà, un sistema di borse di studio e stabilendo relazioni tra lo studio ed il lavoro, cosa che è presente anche negli altri livelli del Sistema Nazionale d’Istruzione. Inizialmente sono stati istituiti dei corsi universitari per lavoratori e poi, tra il 1972 e il 1976, sono state aperte un numero significativo di sedi e filiali dipendenti dalle tre università con l’obiettivo di estendere l’istruzione superiore a varie regioni del paese. Nel 1976 nasce anche il Ministero dell’Istruzione Superiore al fine di ristrutturare profondamente in tutto il paese l’insegnamento universitario.
L’obiettivo primario di soddisfazione delle necessità collettive e sociali non vive in contraddizione con l’attenzione che il sistema educativo cubano dedica alle capacità ed alle attitudini individuali specifiche degli allievi. Ci sono infatti anche diverse tipologie di scuole specializzate che permettono ai ragazzi di frequentare corsi di studi legati alle loro personali attitudini: Scuole di avviamento Sportivo Scolastico, Scuole professionali d’arte, Scuole di scienze esatte ecc. , che, oltre alle materie d’istruzione comuni, forniscono ai giovani la possibilità di esprimere ed esercitare i propri individuali talenti. Nello sport l’eccellenza cubana a livello mondiale è infatti dovuta a questa impostazione scolastica.
Per mantenere ed accrescere costantemente questi elevati livelli di qualità dell’insegnamento, a cominciare da quello primario, naturalmente è indispensabile mantenere un adeguato rapporto numerico tra docenti e alunni nelle classi per permettere che tutti siano seguiti al meglio. Attualmente infatti, nella scuola primaria, ci sono fino ad un massimo di 20 bambini per classe e nella secondaria un massimo di 15. In assoluta controtendenza rispetto a quanto accade nelle nostre scuole di ogni ordine e grado. Per ottenere ciò hanno formato inizialmente 60 mila docenti individuati per bando. Gli aspiranti hanno studiato un anno in un centro di formazione con regime di internato per abilitarsi rapidamente ed essere al secondo anno in condizioni di dividere il loro tempo tra la formazione e l’esercizio dell’insegnamento, guidati da un tutor.
Però il numero limitato degli allievi non garantisce di per sè la qualità dell’insegnamento, che è invece attentamente costruita in appositi centri di formazione docenti (due nella capitale e uno in ogni provincia) dove si svolgono corsi quinquennali da cui gli insegnanti escono con il posto assicurato. Negli anni ’70 la graduatoria di questi docenti scorreva in base alle loro preferenze ed alla media dei voti universitari. Oggi la situazione si è evoluta e, per garantire la stessa qualità d’istruzione a tutta la popolazione, si inviano i docenti più preparati nelle provincie più carenti.
Per innalzare il livello della crescita sociale, l’università cubana ha instaurato con il mondo del lavoro un legame strettissimo, perché, a Cuba, sono le esigenze della società a determinare i rapporti con le realtà produttive e a individuare la necessità di sviluppo di alcuni settori piuttosto che di altri, sia nella ricerca che nell’università, non accade come per le cosiddette “riforme universitarie” in Italia, Cile, Colombia ecc. il cui vero scopo è quello di fornire quasi gratuitamente laboratori di ricerca con annessa manodopera a industrie e potentati vari. Infatti nell’università cubana sono stati addirittura creati apposito gruppi e centri di ricerca mirati all’individuazione delle problematiche dei territori, a conferma del concetto base (da noi qua abbastanza sconosciuto …) che l’istruzione, la ricerca, il lavoro e lo studio del territorio devono essere finalizzati alla soluzione dei problemi socio economici della collettività che li abita e non guidati dall’interesse privato e dal desiderio di profitto di singoli e lobbies.
Attualmente l’università a Cuba conta circa 150.000 studenti (contro i 15.000 del periodo prerivoluzionario), 23.000 professori e i laureati sono il 5% della popolazione. L’università cubana è basata sul principio che non ci può essere sviluppo dell’istruzione superiore senza la ricerca e che la ricerca e lo sviluppo scientifico sono prerequisiti fondanti e indispensabili dello sviluppo sociale. È per questo che i docenti e gli stessi studenti si fanno carico di alzare il livello e la qualità dell’insegnamento: per meglio contribuire al miglioramento delle condizioni socio economiche del proprio paese.
Per monitorare il livello individuale dell’insegnamento, è stato messo a punto dal Prof. Héctor Valdés ( Direttore dell’Istituto Centrale di Scienze Pedagogiche della Repubblica di Cuba) un complesso e articolato sistema di valutazione ed autovalutazione dei docenti, eseguito mediante schede, che evidenzia la quantità e qualità dell’impegno profuso dal docente durante lo svolgimento del proprio lavoro. Il professore che fosse valutato negativamente in base a questo sistema, deve seguire per un anno, mantenendo il suo regolare stipendio, un corso di riqualificazione e superare un esame finale. Qualora non lo superi lo si allontana dall’insegnamento e gli si offre un altro tipo di lavoro sempre nel settore educativo. Solo una percentuale bassissima (tra l’1 e il 3%) non supera l’esame ed esce dal circuito.
Tutti questi accorgimenti, ma, soprattutto, l’assoluta priorità che Cuba del dopo Rivoluzione ha dato in generale all’istruzione, ne hanno fatto un suo elemento di eccellenza per il quale non mancano i riconoscimenti ufficiali di accademici di altri paesi, come, ad esempio, il 15 e16 novembre scorso in un incontro internazionale in Bolivia su Istruzione Alternativa e Speciale, Cuba è stata citata per essere il laboratorio di migliore qualità e risultati a livello mondiale in particolare sull’istruzione e l’integrazione dei disabili.
L’alta qualità riconosciuta del suo insegnamento ha fatto sì che, nella nuova tipologia di scambio impostata dall’alleanza dell’ALBA, Cuba fornisce insegnanti d’eccellenza, oltre che medici (laureati dalle sue ottime università) ricevendo in cambio petrolio e altri beni a prezzo politico e non di mercato, in uno scambio radicalmente alternativo alle leggi del profitto ma che ponga al centro le modalità di uno sviluppo autodeterminato a compatibilità socio-ambientale incentrato sulla reciprocità solidale dalla parte dei popoli e non dei potentati economico-finanziari.
Tutto questo, purtroppo, è lontano anni luce dal modo di pensare istruzione, educazione, società, economia ecc. dei nostri paesi occidentali (anche se all’Italia in particolare spetta una indiscussa maglia nera nell’istruzione e ricerca). Sembra però che ormai i nostri ragazzi stiano acquisendo chiarezza circa l’impossibilità e l’improponibilità di perpetuare, anche nell’istruzione, i vecchi modelli ultraliberisti che vedono nella privatizzazione la panacea di tutto, mentre, viceversa sono la causa del fallimento del sistema educativo. Speriamo quindi meglio per il futuro, che non sarà però forse quello più prossimo, dal momento che il neo premier Monti fin da subito ha dichiarato il suo apprezzamento nei confronti della “riforma Gelmini”…….
A cura della Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti.
incontro promosso dalla Rete dei Comunisti sulla situazione internazionale e in particolare sulla realtà della penisola coreana, alla presenza dell’Ambasciatore della RPDC in Italia Han Tan Song.
Martedi 13 dicembre presso la Casa della Pace a Roma
Nell’intervento di apertura la Rete dei Comunisti ha espresso la propria preoccupazione per il persistere di provocazioni politiche e militari messe in atto dalle forze armate sud-coreane, spalleggiate dagli Stati Uniti, contro La Repubblica Popolare Democratica di Corea.
E’ stato evidenziato come le politiche di aggressione condotte dagli Stati Uniti contro la RPDC, che durano ormai da 60 anni, hanno lo scopo di impedire la riunificazione della penisola coreana e rendere vane le trattative per la denuclearizzazione totale della penisola che è da sempre uno dei grandi obbiettivi, perseguiti costantemente dalla RPDC.
Il rafforzamento della presenza economico-militare americana in Asia, sembra preludere ad una nuova corsa al riarmo in stile “guerra fredda”, sia per un controllo militare e geo-politico dell’area, che per contrastare i processi di crescita economica non solo della Corea del nord, ma della Cina e dei paesi delle periferie produttive emergenti (BRICS).
Il commercio cinese nei confronti dell’Asean (Associazione delle Nazioni dell'Asia Sud-Orientale), è ulteriormente aumentato del 26%, solo nei primi sette mesi dell’anno e l’integrazione economica dell’area sembra aver tagliato fuori una buona parte delle aspettative americane di potersi agganciare alla crescita della regione, che da sola vale circa metà della crescita mondiale.
Il dislocamento di militari USA in Australia, il rafforzamento della cooperazione militare con le Filippine, la partecipazione di Barak Obama al vertice di novembre dell'Asean, sembrano delineare nella strategia americana del dopo Iraq e Afghanistan, la volontà di tentare un accerchiamento economico-militare della Cina, che ha ormai assunto un peso sempre crescente nella competizione globale con i poli imperialisti Statunitensi ed Europei.
Si è inoltre evidenziato che la profonda crisi strutturale e sistemica del capitalismo e la perdita di egemonia in primo luogo economica degli Stati Uniti, portano con sé il crescente pericolo della tendenza alla guerra, come di recente è avvenuto con l’invasione colonialista e imperialista della Libia, e con l’installazione di nuove basi militari USA in America Latina come supporto alle mai abbandonate tentazioni golpiste, per contrastare il processo di autodeterminazione, indipendenza e di scambio libero e solidale, in atto tra i paesi dell’ALBA e in forme diverse nell’intero continente Latino-americano.
Nel suo intervento e rispondendo alle domande dei presenti, l’Ambasciatore Han Tan Song ha espresso piena identità di vedute sull’analisi della attuale fase politica ed economica internazionale. Ha messo in evidenza che le politiche di aggressione degli Stati Uniti e dei loro alleati, hanno oltre allo scopo di creare un danno economico al paese e di ostacolare il processo di pace e disarmo nella penisola, quello di realizzare una politica di accerchiamento della Cina.
Tuttavia questo non sta però impedendo una ripresa e un miglioramento dei rapporti inter-coreani, grazie soprattutto alla volontà della RPDC di perseguire e proseguire sulla via del dialogo, pur non accettando mai imposizioni unilaterali.
L’Ambasciatore ha illustrato i forti passi avanti realizzati nella crescita economica del paese, anche attraverso importanti accordi di cooperazione economica stipulati sia con la Russia che con la Cina, nella ferma determinazione di migliorare le condizioni di vita e il benessere del popolo e di proseguire nella costruzione del socialismo e della prosperità del paese.
L’incontro che ha visto una grande attenzione e un forte interesse di tutti i partecipanti, si è concluso con gli auguri formulati dalla Rete dei Comunisti al Partito del Lavoro di Corea per le grandi celebrazioni previste nel 2012 per il centesimo anniversario della nascita del Presidente Kim Il Sung.
Rete dei Comunisti
"Lo status di seconda potenza mondiale comporta vari rischi"
Traduzione dell' analisi editoriale del sito Global Times sullo status di seconda potenza mondiale della Cina.
16/11/2011
La Cina è realmente la seconda potenza mondiale?
La Cina stessa in realtà è piuttosto recalcitrante ad ammetterlo.
Esempi storici del passato, come quelli del Giappone e dell'Unione Sovietica,
mostrano che lo status di seconda potenza mondiale comporta vari rischi, proprio perché tale status porta ad essere mal visto dalla prima, che tenta di ricacciarla indietro.
La Cina, in quanto portatrice di una cultura e di un'ideologia diversa da quella dell'Occidente, viene tenuta sotto stretta sorveglianza.
I funzionari cinesi sono sempre molto attenti nella scelta delle parole, e parlano di sviluppo pacifico piuttosto che di ascesa, ma gli occidentali raramente credono alle intenzioni pacifiche della Cina e si sentono nervosi ad ogni mossa che essa compie.
La crescita di grandi potenze ha sempre portato ad una redistribuzione del potere mondiale, e contenere la seconda potenza mondiale è diventata una sorta di convenzione della politica internazionale.
Per ora la relazione tra Stati Uniti e Cina è la migliore che si è mai avuta nella storia tra la prima e la seconda potenza mondiale, e l'approccio di basso profilo e di moderazione della Cina hanno contribuito non poco a questo stato, tuttavia il ruolo sempre più evidente della Cina come seconda potenza mondiale sta portando gli Stati Uniti a prendere delle misure preventive contro di essa.
La Cina deve sforzarsi di mantenere relazioni non ostili nei confronti degli Stati Uniti.
A causa di una mancanza di fiducia strategica tra le due parti, è naturale che gli Stati Uniti mobilitino maggiori risorse per tentare di contenerla. La Cina deve prepararsi a ciò e cercare di evitare ogni dannosa incomprensione.
Essere la seconda potenza mondiale comporta molti rischi, ma finché rimaniamo socialmente coesi possiamo abbassare significativamente la soglia di rischio.
Ciò che è preoccupante oggi, è che la società cinese non è più così unita e ciò ha portato ad una divergenza di interessi e valori, su cui potrebbero fare leva le forze esterne.
Questo ci obbliga a risolvere più velocemente tali problemi, cosa non semplice vista la complessa situazione interna.
Un'attitudine alla risoluzione dei problemi ed una chiara consapevolezza della situazione interna sono la chiave per mantenere la solidarietà e la coesione interna alla società cinese.
I prossimi 10-15 anni saranno la chiave della prosperità cinese.
se noi li attraverseremo con successo, avremo un brillante futuro, altrimenti, è certo che ci sarà un contraccolpo.
Fonte:
http://www.globaltimes.cn/NEWS/tabid/99/ID/684096/Second-power-status-brings-many-risks.aspx
Ripreso dal Quotidiano del Popolo online
http://english.peopledaily.com.cn/90780/7646226.html
Traduzione a cura della Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti.
L'India aumenta di centomila unità le truppe ai confini della Cina
Sintesi traduttiva dell'analisi di He Zude e Fang Wei, tratta dal Quotidiano della Gioventù cinese.
"L'aumento delle truppe indiane al confine non porterà da nessuna parte”
15/11/2011
Secondo il Times of India del 2 novembre L'India aumenterà le truppe nelle aree di confine con la Cina vicine al Tibet di 100.000 unità, dalle attuali quarantamila dislocate nella regione.
Il governo indiano ha già approvato un piano di riarmo da 13 miliardi di dollari, nel paese che è il più grande importatore di armi del mondo.
Il tasso di crescita delle spese militari indiane è stato tra il 7 e l'8 percento per più di un decennio, proprio mentre quest'anno la crescita economica ha toccato il punto più basso da sei anni a questa parte.
Dato che mantenere una crescita degli armamenti in un clima di situazione economica al ribasso è sempre più difficile, per giustificarle l'India ha bisogno di creare un clima di maggiore tensione nel quale si iscrive l'aumento di truppe e le continue recenti esercitazioni militari con i paesi confinanti con la Cina, verso la quale mostra chiari segnali di una strategia di contenimento.
Gli Stati Uniti hanno bisogno dell'India per contenere la Cina, e l'India spera che flettendo i muscoli si assicurerà il supporto americano.
D'altronde l'azione di aumentare le truppe al confine, da sempre una mossa sensibile che mette in allarme i paesi vicini, non solo danneggierà gli interessi indiani, ma in epoca di guerra moderna e armi di precisione, mette le stesse in condizione di essere eliminate più facilmente.
Tuttavia 13 miliardi di dollari sono una cifra davvero consistente per l'India, e non è ancora chiaro se i costi di mantenimento per una tale operazione saranno garantiti.
Fonte: Quotidiano della Gioventù cinese, ripreso dal Quotidiano del Popolo Online.
http://english.peopledaily.com.cn/102774/7644826.html
Traduzione a cura della Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti.
Sintesi traduttiva dell'analisi di fase di Zhang Weiwei, professore alla Scuola di Diplomazia e Relazioni Internazionali di Ginevra, in passato traduttore per Deng Xiaoping
15/11/2011
"Il modello cinese può assorbire il meglio dell'Occidente, e scartare il resto"
Mentre la crisi morde l'Europa e si teme l'allargamento della"primavera greca" fino a paventare un'imminente collasso dell'Unione Europea, gli ulteriori successi economici della Cina portano a credere che sarà solo questione di tempo prima che il modello cinese venga attentamente esaminato dalla comunità internazionale.
Quando parliamo di “modello”nella terminologia economica, non lo intendiamo come qualcosa di statico ed esportabile.
Tuttavia se avessimo adottato i modelli occidentali, anziché esplorare una nostra via, il paese sarebbe già potuto andare in pezzi.
Gli ammiratori del modello occidentale sono in difficoltà: nonostante il nostro non sia senza problemi, al momento quello occidentale sta fallendo miseramente.
Nella formulazione del nostro modello dobbiamo porre attenzione anche alla nostro retroterra culturale confuciano-menciano nella teoria di governo: combinare principi menciani come l'ascolto dei bisogni del popolo e la nomina di funzionari composti da individui capaci, con il sistema democratico di elezioni di massa, per evitare tutta una serie di problemi.
Non vogliamo importare dall'Occidente un sistema in cui il pubblico è contro il governo, ma vogliamo enfatizzare una relazione interattiva tra i due.
Inoltre non abbiamo scelto un'economia di mercato pura, ma una combinazione di economia centralizzata per servire gli interessi pubblici da una parte e il libero mercato dall'altra.
La natura mista della nostra economia ha bisogno di più tempo per essere digerita dalla società, ma i risultati stanno shoccando il mondo.
La popolazione della Cina è maggiore di quella della UE, degli Stati Uniti, del Giappone e della Russia messe assieme.
Negli ultimi 30 anni abbiamo ridotto la povertà, evitato la crisi asiatica del 1997 e evitato il peggio della crisi del 2008.
Ciò dimostra la giustezza e l'efficacia delle politiche e del modello cinesi, e alla luce della crisi economica globale possiamo solo aspettarci che l'interesse per il nostri successi economici diventerà più intenso e che il nostro modello verrà riconosciuto e studiato nel prossimo futuro.
Fonte:
Ripreso nella sezione Opinioni del Quotidiano del Popolo
http://english.peopledaily.com.cn/90780/7646226.html
Traduzione a cura della Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti.
Cina e industria verde: bilancio positivo delle ricadute occupazionali e settoriali, traduzione di un estratto dell'articolo di Li Jing.
China Daily, 16/11/2011
"Creazione di posti di lavoro nelle industrie verdi"
Entro il 2015 potremmo perdere 950.000 posti di lavoro nelle industrie intensive e inquinanti, ma guadagnarne 10 milioni nel settore verde.
Il Consiglio cinese di Cooperazione Internazionale sull'Ambiente e lo Sviluppo suggerisce che da qui al 2015 il paese spenda 5.770 miliardi di yuan (909 miliardi di dollari) per migliorare l'efficienza energetica e proteggere l'ambiente.
Chiudere le industrie più inquinanti potrebbe costare 950.000 posti di lavoro ed un output economico di 100 miliardi di yuan entro il 2015, ma in cambio il paese potrebbe risparmiare 1.430 miliardi di yuan di spesa energetica.
Inoltre, la crescita del settore verde potrebbe aumentare la crescita del Pil di 8.080 miliardi di yuan e creare più di 10.58 milioni di posti di lavoro entro il 2015, riporta il consiglio nella sua sessione annuale di Pechino che si sta tenendo in questi giorni.
Secondo Li Ganjie, vice ministro per la protezione ambientale, il settore industriale in Cina è ancora la maggiore causa di inquinamento, e quindi il settore verde è la chiave della trasformazione ecologica del paese.
Tuttavia, data la struttura produttiva del paese, per il 2020 in Cina vi saranno ancora gravi problemi ambientali e la situazione è descritta ancora come "grave"dalla vicepresidente dello stesso consiglio, Margaret Biggs.
Il report del consiglio chiede urgentemente che il governo a tutti i livelli si liberi dall'ossessione della crescita del Pil, riduca l'interferenza nel mercato, ed approfondisca la riforma fiscale e dei prezzi nel settore per incoraggiare l'industria verde.
Il report sostiene che il governo non dovrebbe guardare ciecamente alla crescita del Pil e colpire i protezionismi regionali e locali che impediscono lo sviluppo del settore dell'industria verde.
Più precisamente, le autorità locali dovrebbero smetterla di prendere piene decisioni per i progetti di investimento, una ragione per cui spesso industrie sostenute dai governi locali ignorano i regolamenti ambientali, e non proteggere queste industrie solo per le entrate fiscali che esse genererano.
Li Jing
Fonte:
http://europe.chinadaily.com.cn/china/2011-11/16/content_14105279.htm
Traduzione a cura della commissione internazionale della Rete dei Comunisti.