nuestra america
Il Generale Sergio Poblete muore in Belgio
Venerdì 25 novembre 2011
Nelle prime ore di questa mattina è deceduto a Liegi, in Belgio, il Generale della FACH (Forze dell’Aviazione Cilena), il generale Sergio Poblete. Era stato catturato dopo il Golpe di Stato dell’11 settembre del 1973 in Cile, torturato nell’Accademia di Guerra Aerea, e inviato al carcere Pubblico di Santiago con un nutrito gruppo di ufficiali e componenti delle Forze Aeree che furono accusati di delitti che andavano da “mancato adempimento di doveri militari” fino a “tradimento della Patria”, con pene che andavano dai due anni di reclusione fino alla pena di morte. Processo che fu conosciuto come quello “Contro Bachelet e altri”. Il Generale Poblete era stato testimone anche della morte del generale Alberto Bachelet, nel carcere Pubblico di Santiago a seguito delle torture patite. A seguito dell’intervento del Partito socialista belga e degli stessi reali del Belgio, la pena di morte che gli era stata comminata dalla Procura dell’Aviazione fu tramutata in esilio e si stabilì in Belgio. Questo interesse europeo alla sua persona era dovuto al fatto che era figlio di un ex rappresentante diplomatico del Cile a Ginevra.
Proprio ieri era iniziato un Ricorso di revisione davanti alla Corte Suprema di Giustizia per cancellare gli effetti delle sentenze di quel Tribunale di Guerra (la Procura dell’Aviazione) che aveva condannato gli ufficiali dell’aviazione, tra cui Poblete, che non avevano aderito al colpo di Stato, rimanendo invece fedeli al governo costituzionale democraticamente eletto di Salvador Allende.
Il Ricorso è fondato sul fatto che le dichiarazioni ottenute all’epoca erano state estorte sotto tortura, cosa accreditata dal Ministro Juan Fuentes Belmar in recenti sentenze di condanna contro gli ex comandanti di squadriglia Edgar Ceballos Jones e Ramón Cáceres Jorquera, due dei torturatori dell’Accademia di Guerra Aerea.
Ancora oggi, dopo oltre 20 anni di governi cosiddetti democratici, il Cile non ha fatto ancora i conti con tutti i fantasmi del passato (che in realtà stanno addirittura pericolosamente riemergendo) e deve cercare scappatoie legali sofisticatissime per rendere giustizia degli evidenti crimini di lesa umanità sofferti dalla popolazione cilena dall’11 settembre del 1973 fino agli anni ‘80.
A cura della Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti.
http://radio.uchile.cl/noticias/131714/
http://c4.agora.eu.org/spip.php?article1565
Manuela Sáenz de Thorne
Venezuela, Caracas. Il 23 novembre, a 155 anni dalla morte dell’eroina Manuela Sáenz de Thorne, le donne venezuelane hanno reso omaggio a lei e a tutte le donne che hanno lottato per la liberazione nazionale e per i loro diritti.
Durante le celebrazioni per la promulgazione della legge dei Diritti della Donna a una vita libera dalla violenza, Nancy Pérez, ministra per le Donne e l’uguaglianza di Genere, ha ricordato Manuela Sáenz come personaggio precursore degli attuali processi di emancipazione delle donne. L’ha ricordata soprattutto come una rivoluzionaria che ha lottato, spada alla mano, per la liberazione del suo paese e dell’America latina.
Anche María León, deputata del Partito Socialista Unito del Venezuela, ha sostenuto i meriti di Manuelita nella crescita della coscienza di genere nelle organizzazioni della sinistra.
La "Libertadora del Libertador", compagna del Libertador Simon Bolivar, nata a Quito nel 1797 e morta in Perù nel 1856, è considerata la prima femminista nella storia dell’America Latina.
A cura della Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti.
Cina: prove di stato sociale
I paradossi che contano: in una fase di crisi economica mondiale in cui l'indirizzo dei governi occidentali è quello di tagliare lo stato sociale per ridurre il deficit pubblico e scongiurare un crollo di fiducia dei mercati sulla solvibilità del debito sovrano, in Cina si discute di come costruire uno stato sociale che serva a sostenere la domanda interna. Obiettivo: liberare il grande potenziale ancora non sfruttato dell'economia del paese, ovvero una percentuale di risparmio delle famiglie arrivata attorno al 50 percento del Pil negli ultimi anni, un punto percentuale sopra quello di ogni altro paese del mondo1.
Per un paese che ha più volte ribadito di voler ridurre la dipendenza dalle esportazioni per la crescita economica e di volersi basare gradualmente più sulla domanda interna ai fini dello sviluppo economico, la costruzione di uno stato sociale che riduca la percentuale di risparmio delle famiglie per bisogni previdenziali cui in precedenza sopperivano direttamente le unità produttive “dalla culla alla tomba”, trova una necessità economica oggettiva.
La differenza nella direzione di marcia rispetto alle politiche europee, pienamente in azione, e quelle americane – recentemente in una fase di stallo proprio su punti che riguardano il welfare – appare tanto stridente quanto la differenza tra i tassi di crescita economica delle tre macroaree.
Già nel maggio scorso Zhou Xiaochuan, governatore della Bank of China, aveva messo in guardia rispetto alla possibilità che un tasso di risparmio delle famiglie troppo elevato potesse portare ad un eccesso di investimenti che avrebbe avuto come effetto il surriscaldamento dell'economia e l'esplosione di bolle inflattive su vari mercati2, in particolare sui prezzi delle case .
La stretta governativa sull'inflazione e il raffreddamento dei prezzi delle case dovuto ai piani governativi di espansione dell'edilizia popolare hanno in parte mitigato il problema, ma senza uno stato sociale più robusto3 che riduca gli incentivi per il risparmiatore medio cinese a mettere da parte il denaro necessario a coprire le spese per la sanità, la pensione, l'affitto o l'acquisto della casa, la scuola per i figli ed altri bisogni di natura sociale, fenomeni inflattivi tenderanno a ripresentarsi e una buona parte del potenziale dell'economia non verrà sfruttata a pieno.
Le politiche governative stanno andando in questa direzione, ma qual'è attualmente lo stato dell'arte?
Uno dei settori nei quali il trasferimento di fondi è stato più consistente è quello sanitario. Dal 2009 al 2011 per la riforma del sistema sanitario nazionale verranno investiti 850 miliardi di yuan, di cui 331 dal governo centrale.
In Cina il sistema sanitario nazionale non è universale e gratuito sul modello europeo, ma prevede un sistema di assicurazione sanitaria pubblica obbligatoria sulla base di un fondo nazionale, che copre una percentuale media attorno al 70-80 percento delle spese sanitarie e ospedaliere. Il sistema assicurativo inoltre prevede un rimborso, il che implica il pagamento immediato da parte del paziente delle relative spese per cure e farmaci.
Si capisce facilmente come la previsione di pagamenti che incidono enormemente sul tenore di vita di una famiglia cinese media contribuiscono alla spinta al risparmio.
Questo modello è stato pesantemente aggiornato dal 2009 ad oggi, con l'obiettivo di estendere a tutti il sistema di assicurazione e l'aumento della percentuale di rimborso.
Nel 2009 il comitato centrale e il consiglio di stato ponevano l'obiettivo per il 2011 dell'estensione del sistema assicurativo sanitario alla totalità della popolazione cinese, e la creazione di un sistema sanitario di base nelle aree rurali. A distanza di tre anni Li Keqiang, membro del comitato permanente dell'ufficio politico del Pcc, in un recente articolo sulla riforma del sistema sanitario ci ricorda che quei due obiettivi sono stati sostanzialmente raggiunti: l'assicurazione sanitaria obbligatoria copre il 95 percento della popolazione cinese, che copre 1.280 miliardi di persone, e alzato il massimale a 5 milioni di yuan. Sono stati costruiti più di 2000 ospedali a livello di contea e 30000 strutture sanitarie a livello nazionale.
Il piano prevede entro il 2020 il completamento del sistema sanitario nazionale di base sia in città che in campagna.
Gli Stati Uniti spendono il 16 percento del Pil in spesa sanitaria, di cui una parte consistente svanisce in spese legali per cause relative ai rimborsi assicurativi. Alcuni paesi in via di sviluppo spendono tra il sei e l'otto percento, mentre in Cina la spesa sanitaria non arriva al 5 percento del Pil, meno della metà della spesa cubana in proporzione al Pil(11,2%).
Anche se in questo campo le politiche cinesi pongono l'accento sulla natura pubblica della salute come bene primario, i privati possono anche investire in strutture ospedaliere ma senza fini di lucro.
Tuttavia, finché il sistema di assicurazione pubblica non sarà esteso al restante 5% di popolazione che ne rimane scoperto, nonostante I grandi progressi ottenuti, e la percentuale di rimborso non salirà al 100% e verrà effettuata direttamente dal fondo, iscrivendo le spese assicurative all'interno del sistema di fiscalità generale, non si potrà parlare di evoluzione completa in senso universalistico e gratuito del sistema.
Nelle campagne invece si è dato vita ad un nuovo tipo di sistema sanitario di base in forma cooperativa, “cooperativa sanitaria di nuovo tipo, appunto”, che in pochi anni dal 2008 al 2010, è stato completato e che copre la quasi totalità della popolazione(81%già a fine 2009), un sistema basato su un contributo da parte del lavoratore, del governo locale e di quello centrale. In questo modo si è assicurata a tutta la popolazione rurale una forma minima di assistenza di base.
Se si aggiunge questo ai redditi minimi per I cittadini urbani e rurali introdotti dal 2008 e ai contributi previdenziali di anzianità, compresa la nuova forma di pensione per I contadini, I progetti di estensione da 90 a 98 giorni del periodo di maternità per le donne e l'impulso deflattivo prodotto dall'espansione dell'edilizia popolare, gli indicatori mostrano che la direzione presa dal paese è quella dell'ampliamento della spesa nel settore sociale e dell'estensione del sistema di garanzie e sicurezze ad un orizzonte d'attesa sempre più vasto ed esigente.
In un articolo sulla principale agenzia di stampa nazionale del 23 novembre, firmato a tre mani da Liu Min, Huang Shengang eYao Yujie, si riporta tralaltro l'opinione di un ricercatore dell'Accademia delle Scienze Sociali Cinesi, Tien Dewen, secondo cui “l'alto livello dello stato sociale europeo è stato anche una delle ragioni della stabilità e dello sviluppo economico dell'Europa” nel lungo periodo.
Com un rapporto debito Pil al 18 percento e prospettive da locomotiva del mondo, l'ampliamento della quota di spesa sociale in rapporto al Pil sembra solo questione di tempo.
I risultati si trovano già nelle statistiche economiche.
Recentemente infatti è stato pubblicato un Libro Bianco sul tema della povertà, che mostra come in dieci anni quella relativa sia scesa da 94 milioni di persone nel 2000 a 26.8 milionila fine 2010.
Il tasso della povertà rurale è sceso dal 10 percento nel 2000 al 2.8 percento a fine 2010.
Tutta una serie di fondi sono stati destinati a garantire l'accesso all'acqua potabile(pozzi e reti idriche), e all'educazione, portando il tasso di scolarizzazione rurale dai 7 ai 15 anni al 97.7 %, vicino alla media nazionale, comprendente città e campagna.
Fonti:
China's savings rate to remain high
By Wang Chong (China Youth Daily)15:02, November 21, 2011
http://english.people.com.cn/90882/7651388.html
67m beat poverty in past decade: white paper(Xinhua)10:36, November 16, 2011
http://english.peopledaily.com.cn/90785/7646468.html
Corriere della sera: Cina, prove di Welfare
http://leviedellasia.corriere.it/2011/11/cina_prove_di_welfare_maternit.html
La Cina deve evitare gli errori dell'Europa
http://www.china.org.cn/opinion/2011-11/23/content_23986178.htm
Risoluzioni rispettivamente del comitato centrale, del consiglio di stato e articolo di Li Keqiang, sulla riforma sanitaria (in cinese)
http://www.gov.cn/jrzg/2009-04/06/content_1278721.htm
http://www.gov.cn/zwgk/2009-04/07/content_1279256.htm
http://www.qstheory.cn/zywz/201111/t20111116_124101.htm
a cura della Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti
1Wang Chong, China Youth Daily del 21/11/2011
2Secondo quanto riportato dall'agenzia Xinhua, ripresa dal People Daily del 20/05/11
3Secondo Wang Chong del China Youth Daily, che riprende l'analisi effettuata sulle colonne di un giornale di Singapore, il Lianhe Zaobao, il passaggio da un economia pianificata ad una di mercato in Cina sarebbe la principale causa degli alti tassi di risparmio nel paese
In principio erano i PIGS
Ai tempi (2007/2008), si diceva che la crisi era finanziaria e passeggera, dovuta in primo luogo all’ingordigia di qualche banchiere che aveva giocato troppo con i titoli “tossici”, e che quindi con un risoluto intervento degli Stati a ripianare le falle del sistema bancario e confidando nelle capacità regolatrici del mercato, la questione con qualche sacrificio si sarebbe risolta.
La crisi era inoltre il prodotto di condotte sciagurate di Governi che non rispettavano i “parametri” europei e di popoli che si ostinavano a vivere al di sopra delle loro possibilità, sperperando risorse nell’acquisto di merci che non potevano permettersi.
Questa la ragione delle difficoltà dei greci, poi degli irlandesi, dei portoghesi e degli spagnoli.
In tempi non sospetti dicemmo che al gruppo di Stati “maiali”, i PIGS, mancasse una “I”, quella del nostro paese, ma (ancora l’altr’anno) si affermava da più parti che l’Italia era un paese troppo grande e con i “fondamentali” a posto per poter essere coinvolto nella crisi.
Anche sulla natura e le origini della crisi siamo stati una voce fuori dal coro, perché abbiamo indicato come il crollo di carattere finanziario dovuto allo scoppio delle bolle speculative fosse solo la punta dell’iceberg di una crisi del modello di accumulazione, partita già negli anni ’70, che sta mettendo in discussione, forse in modo irreversibile, il modo di produzione capitalistico.
Le politiche neo-liberiste, le privatizzazioni, la finanziarizzazione dell’economia attuate da più di un ventennio sono servite a contenere la crisi internazionale del capitale, che oggi esplode e dilaga a livello globale mostrandone i caratteri di strutturalità e sistemicità.
Ma tornando a noi, nessuno più dubita che oggi siamo a pieno titolo facenti parte degli Stati “maiali”, i PIIGS, ma la novità è che la “porcilaia” si va ogni giorno allargando e anche per gli stessi proprietari dell’allevamento, le cose non vanno più tanto bene.
La Francia è anch’essa entrata nel mirino della speculazione finanziaria e le differenze nell’asse Sarkozy-Merkel sul ruolo della UE e della Banca centrale crescono e incrementano le tensioni nell’Euro-polo.
La novità degli ultimi giorni è che anche la Germania comincia a pagare i prezzi della sua stessa politica. Per la prima volta, mercoledì scorso, i mercati hanno snobbato i titoli tedeschi. Solo due terzi dei bund sono stati venduti nell’asta del 23 novembre. Per la cronaca il tasso d’interesse sui bund, titoli tedeschi a scadenza decennale è dell’1,98%. Sempre per la cronaca nell’ultima asta dei Bot semestrali italiani del 25 novembre (offerti 8 miliardi, richiesti 10), il rendimento è schizzato al 6,504% quasi il doppio dell'emissione del mese precedente.
La crisi dunque si estende e si allarga, e oltre all’economia investe direttamente la questione della democrazia, avendo già prodotto la cessione di sovranità e il commissariamento da parte dei “vigilantes” europei (UE,BCE) di alcuni Stati dell’Europa del sud, Italia e Grecia su tutti.
E comunque i “mercati”, come stiamo vedendo, non prendono di mira solo gli Stati fortemente indebitati, quelli alle prese con il debito “sovrano”, ma ormai sono a tiro tutti, compresi l'Austria, i Paesi Bassi e la vasta area neo-colonizzata dell’ex Europa dell’ est nella quale dopo l’89 si sono riversati gli interessi del capitalismo occidentale.
“L'autorità austriaca dei mercati finanziari e la banca nazionale tirano il freno sui crediti nell'est Europa”, titola il Die Presse, mentre l'agenzia di rating Moody's sta esaminando le prospettive del debito austriaco. Il quotidiano viennese teme "un fallimento dello stato provocato dalle banche sul modello dell'Irlanda", perché le banche austriache dopo diversi "anni di euforia" hanno investito quasi 300 miliardi di euro – una cifra superiore al Pil del paese – in Europa centrale e orientale. Crediti che fra il 6 e il 40 per cento dei casi sono diventati degli attivi difficilmente esigibili.
"La decisione della banca centrale austriaca chiude la fase attuale della crisi e apre probabilmente la prossima", osserva un editoriale di Romania Libera da Bucarest. "Gli effetti concreti saranno pesanti – ulteriore pressione sulla moneta nazionale, tassi di interesse in aumento, difficoltà per lo stato a ottenere crediti.”
Stessa sorte per "paesi come l'Ungheria, la Romania, la Serbia o l'Ucraina che saranno obbligati ad affrontare – quanto meno per quanto riguarda le banche austriache – un improvviso 'credit crunch', cioè una repentina difficoltà a ottenere crediti", afferma il giornale ceco Respekt.
Sugli sviluppi nel versante Est, quello che abbiamo definito la IV Europa, andrà prestata molta attenzione perché se da un lato, nonostante la fortissima crisi economica e sociale prodotta dall’introduzione del modello capitalista, ancora non si stanno esprimendo con forza le istanze di lotta e di cambiamento, dall’altro i loro destini sembrano incrociarsi sempre più con quelli della declassata e commissariata Europa mediterranea.
In chiusura, a proposito di Europa, crisi e democrazia, alleghiamo un comunicato stampa del Partito Comunista d’Irlanda del 17 novembre che è assolutamente consonante con la situazione del nostro e di altri paesi:
La democrazia in Europa è minacciata - Chi guida l'Irlanda?
La rivelazione che oggi (17 novembre) sono stati trovati documenti relativi al prossimo bilancio (irlandese) nel Bundestag tedesco, con politici tedeschi intenti a studiarne attentamente il contenuto, mentre né Dáil Éireann (Camera bassa irlandese), né, soprattutto, il popolo irlandese hanno visto o letto cosa questi documenti riservano loro, è quasi incredibile.
Le opinioni del popolo irlandese contano poco, perché è ormai chiaro che ciò che la Germania vuole, Merkel prende, e il popolo irlandese pagherà il prezzo. Sembra chiaro che, nonostante le smentite, Taoiseach Enda Kenny (premier irlandese) ha consegnato questi documenti durante la sua recente visita a Berlino.
I lavoratori e le loro famiglie non solo sono costretti a pagare un debito che non è loro, ma adesso devono pure liquidare la democrazia per mantenere a galla le banche tedesche e francesi.
La democrazia è ora in grave pericolo: gli eventi in Grecia, Italia e ora Irlanda mostrano il vero potere al centro dell'Unione europea. Siamo stati testimoni di due sostanziali colpi di stato, in Grecia e in Italia: con la rimozione dei due governi compiacenti, e la sostituzione in Italia da un governo composto da "tecnocrati" rappresentativi solo delle imprese, e in Grecia da un governo non eletto dal popolo.
La democrazia viene accantonata nell'interesse e per le esigenze dei monopoli e dei grandi interessi commerciali europei. La volontà e le opinioni dei popoli all'interno dell'Unione europea sono messi da parte: grandi pericoli sono di fronte a tutti i democratici.
www.communistpartyofireland.ie
A cura della Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti
CONVERTIRE LE PRIGIONI IN SCUOLE
Il fine che il sistema penale cubano si propone è quello della rieducazione, del recupero dei reclusi e la testimonianza di un’avvocatessa argentina, che ha seguito nello scorso luglio a L’Avana un congresso sui diritti umani e il diritto penale, parlando della sua esperienza, ci conferma che tutto quello che si fa a Cuba ha sempre al centro dell’interesse l’essere umano e la sua dignità. In ogni circostanza e condizione.
Il programma che Fidel aveva dall’inizio della Repubblica sulle prigioni era quello di trasformarle in scuole e a questo principio sono informati tutti i programmi di rieducazione e tutti gli accorgimenti e le procedure messe in atto nei penitenziari.
Le carceri femminili, in particolare, sembrano rispondere a questa esigenza in quanto, avendo la donna la peculiarità di restare incinta e di essere quella che in genere si occupa dei figli, anche quando è reclusa deve potersi portare dietro la propria realtà concreta: il figlio. A loro si presta particolare attenzione in rapporto agli ambienti in cui loro e i bambini si trovano a vivere. La descrizione fatta dall’avvocatessa circa i programmi di rieducazione, i locali e il trattamento riservato alle recluse e ai loro bambini non ha nulla da invidiare ai nostri asili nido di qualche tempo fa, in cui la qualità del servizio era considerevole. Infatti a Cuba questo programma madre/bambini è gestito dal Ministero dell’Istruzione e vi partecipano diversi organismi statali, la Federazione delle Donne Cubane e altre organizzazioni politiche, sociali e di massa.
Scontata la pena, lo Stato garantisce a ogni interna un impiego. È fondamentale l’influenza positiva dei programmi di trattamento come pure il comportamento umano, che fa scoprire le loro attitudini, anche lavorative, non conosciute e le avvicina alla realtà in cui possono inserirsi. Fin dal loro ingresso nell’istituzione sono esaminate addirittura un gruppo interdisciplinare di professionisti, tra cui psicologi e medici, che ne valuta la situazione personale, familiare e sociale al fine di individuare il programma rieducativo più adeguato e fruttuoso per il reale recupero e reinserimento della persona nella società.
Oltre a quello specifico per le donne con bambini, esistono altri programmi di recupero e sviluppo delle capacità da poter poi mettere a frutto una volta ritornati in libertà. Esistono quindi programmi per lo sviluppo dello sport, della cultura ecc. che insistono molto sull’aspetto rieducativo perché , come cita l’art.27 del Codice Penale cubano “La sanzione non ha il solo scopo di punire per il delitto commesso, ma anche quella di rieducare i sanzionati ai principi di comportamento onesto verso il lavoro, di stretta osservanza delle leggi e del rispetto delle norme di convivenza socialista, come pure di prevenire il commettere nuovi delitti, sia da parte degli stessi sanzionati, sia da parte di altre persone”. Aspetto rieducativo, quindi, sia personale che collettivo.
La rieducazione al lavoro e lo stesso lavoro socialmente utile che i reclusi svolgono nei penitenziari segue regole e fruisce di diritti. È remunerato, anche se si detraggono dai costi le spese per vestiario e mantenimento nonché l’eventuale soddisfazione di quanto stabilito dalle sentenze o dalla legge. Se dal lavoro in carcere derivassero invalidità o addirittura morte, la famiglia riceverebbe la pensione corrispondente.
In un contesto così è più che scontata l’assistenza ospedaliera in caso di malattia e la possibilità di aumentare la propria cultura e conoscenza tecnica, il riposo lavorativo settimanale, la possibilità di scambi di corrispondenza con non reclusi, ricevere visite e articoli di consumo e persino l’uso del “padiglione coniugale”.
Persino il linguaggio è stato rivisto nei carceri cubani per evitare terminologie che implicano la degradazione dell’essere umano che sta scontando una pena. Anche questo ha la sua mirata influenza sugli atteggiamenti dei reclusi specie per il futuro fuori dal carcere.
Logicamente la privazione della libertà è sempre e comunque una misura estrema che solo nel contesto complessivo della Rivoluzione cubana può essere considerato accettabile in quanto la finalità sociale ed il bene collettivo devono dare la misura della necessità di una pena così gravosa come quella detentiva. Infatti il Codice Penale, all’Art. 47. 1, dice che “Il tribunale fissa la misura della sanzione, nei limiti stabiliti dalla legge, guidato dalla coscienza giuridica socialista e tenendo conto, in special modo, del grado di pericolosità sociale del fatto, delle circostanze che hanno concorso allo stesso, tanto attenuanti quanto aggravanti, e i moventi dell’accusato, i suoi precedenti, le sue caratteristiche individuali, il suo comportamento successivo al delitto e le sue possibilità di fare ammenda”. Sempre quindi presente il senso della possibilità del recupero concreto della persona all’ambito sociale.
È, infatti, decisione politica di ogni Stato il tipo di sistema giuridico e carcerario che si mette in atto. Emerge dai valori importanti della società in cui si vive.
Ci risparmiamo improponibili paragoni con i carceri nostri e di tutti quelli degli altri paesi in cui il “reo” o addirittura “l’imputato in attesa di giudizio” è solo un numero ammucchiato da qualche parte, privato non solo della dignità, ma dello spazio vitale e spesso, troppo spesso, anche della vita.
Ci piace, piuttosto, concludere con questa frase di José Martí circa la Costituzione della Repubblica di Cuba:
“ Io voglio che la legge fondamentale della nostra Repubblica sia il culto dei cubani per la dignità piena dell’uomo”.
A cura della Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti
La Russia ha intensificato nei giorni scorsi i suoi sforzi per difendere la Siria
Damasco, 20 novembre. 2011,Tribuna Popolare TP .-
Navi da guerra russe sono entrate nelle acque territoriali di Siria, in una mossa aggressiva progettata per evitare qualsiasi attacco della NATO contro la Siria con il pretesto di un “intervento umanitario”, come si è verificato nei massacri e nella distruzione della Libia.
“Navi da guerra russe arriveranno in acque territoriali siriane, ha detto un agenzia di stampa siriana il Giovedì, indicando che il provvedimento rappresenta un chiaro messaggio per l’Occidente che Mosca potrebbe opporsi a qualsiasi intervento straniero per i disordini civili nel paese”, riferisce Haaretz.
La Russia ha intensificato nei giorni scorsi i suoi sforzi per difendere la Siria, il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, inquadrando la violenza nel paese come una guerra civile, a dispetto delle accuse mosse dalle potenze occidentali al presidente Bashar al-Assad reo di aver condotto una sanguinosa repressione contro i manifestanti innocenti.
Come abbiamo visto prima dell’attacco alla Libia, anch’esso inquadrato come un “intervento umanitario”, le potenze della NATO sono disposte a demonizzare il governo di Assad, attraverso la caratterizzazione degli attacchi e delle atrocità compiuti dalle sue forze, ignorando in gran parte attacchi simili compiuti da parte delle forze dell’opposizione, come quello di questa settimana, dove in un complesso d’inteligence della forza aerea siriana, 20 poliziotti sono rimasti uccisi o feriti.
Il portavoce del Dipartimento di Stato degli Stati Unit , Mark Toner, ha respinto l’affermazione della Russia che la Siria si trovi in una guerra civile, dicendo: “Crediamo che sia in gran parte il regime di Assad che ha effettuato una campagna di violenza, intimidazione e repressione contro manifestanti innocenti.”
Naturalmente, abbiamo ascoltato una retorica simile, anche quando ribelli di Al-Qaeda sostenuti dalla NATO hanno pilotato aerei da combattimento e sparato granate e razzi a propulsione in Libia, queste azioni erano fatte da “innocenti manifestanti”, come si disse in quel momento.
Come abbiamo riferito in precedenza, nonostante la grande speculazione sul fatto che l’Iran sarà il prossimo bersaglio di un attacco militare, La Siria è l’obiettivo più probabile per il prossimo cambiamento di regime appoggiato dalla NATO.
Il presidente Barack Obama ha messo di nuovo la palla in gioco nel mese di agosto, quando ha invitato il presidente al-Assad a dimettersi. L’ONU ha già ritirato tutto il suo personale non essenziale dal paese.
Senza l’aiuto della Russia, la Siria, sarebbe in gran parte indifesa di fronte a un attacco da parte della NATO.
“Non vedo alcun problema puramente militare. La Siria non ha nessun sistema di difesa contro i sistemi occidentali ... [Ma] sarebbe più rischioso che in Libia. Sarebbe una pesante operazione militare”, ha detto l’ex capo delle forze aeree francesi, Jean Rannou .
Dato che la stampa occidentale ha dimostrato di essere esperta nella fabbricazione di menzogne per giustificare interventi militari, se le azioni del regime di Assad rappresentano atrocità reali, o condotte legittime in mezzo a una guerra civile, rimane poco chiaro. Alcuni hanno sostenuto che gli abusi sono truccati, mentre l’ex agente della CIA Robert Baer e l’ex agente MI6 Alastair Crooke suggeriscono che il popolo siriano sicuramente vuole un cambiamento, ma non nella forma di un assalto “umanitario” della NATO.
TRADUZIONE A CURA DELLA COMMISSIONE INTERNAZIONALE DELLA RETE DEI COMUNISTI
In contrapposizione alla disintegrazione europea, l’integrazione latino americana: Brasile e Cuba avanzano nel nuovo corso del continente.
23.01.2012
Con la creazione della CELAC (Comunità degli Stati Latino-Americani e Caraibici), ratificata a Caracas il 2 e 3 dicembre 2011, i governanti dell’America del Sud e del Caribe hanno deciso sovranamente di dare una risposta alla grande crisi capitalista che sta flagellando i paesi ricchi del nord del mondo, senza sottostare alle imposizioni del FMI, cercando al contrario di promuovere lo sviluppo dell'umanità di quel continente.
Come riferisce Beto Almeida, giornalista e membro della Giunta Direttiva di Telesur, oggi siamo testimoni di un incredibile processo di integrazione latino americana a fronte di una inesorabile disintegrazione europea. 1)
In effetti l’integrazione economica del continente sud americano, come netto di rifiuto di sottomissione ai diktat del FMI, appare come un valido antidoto alla bancarotta finanziaria globale, prodotta dal capitalismo, che ha individuato la propria sopravvivenza e la principale fonte di profitto nella speculazione finanziaria, a partire dai tristemente noti salvataggi che la BCE, FMI e UE (leggi Germania e, in un ruolo sempre più di sfondo, Francia) stanno imponendo ai paesi più deboli dell’Europa (PIIGS).
La Comunità degli Stati Latino-Americani e Caraibici (CELAC), invece, parte da presupposti totalmente diversi: essa cerca soluzioni nel rispetto della sovranità nazionale, soluzioni negoziate, democratiche per i grandi e complessi problemi della regione, come la questione colombiana (il narcotraffico e la guerra civile tra il precedente governo Uribe, con l’appoggio diretto degli USA, e le FARC-Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia), lo sbocco sul mare della Bolivia (l’unico sbocco fu perso dal paese durante la Guerra del Pacifico combattuta contro il Cile dal 1879-1884) , l’integrazione di paesi più fragili come la Guyana o il Suriname e anche una soluzione per risollevare Haiti dall’immensa miseria in cui è sprofondato.
La nascita delle CELAC rappresenta la volontà di maggiore pianificazione, coordinamento e cooperazione tra l'America Latina e i Caraibi, perché i segnali che vengono dall'Impero, specialmente con l'inasprirsi della crisi negli Stati Uniti e in Europa, non sono affatto rassicuranti e indicano situazioni conflittuali sempre più complesse.
Nell’area del Medio Oriente, dopo l’attacco portato alla Libia per impossessarsi del petrolio più pregiato esistente al mondo, si assiste in Siria alla crescente e preoccupante instabilità provocata prima da infiltrazioni della CIA e del Mossad e in seguito dalle ingerenze della Turchia e dello petromonarchie che strumentalizzano fasce della popolazione anti Assad.
Altra tattica si sta adottando nei confronti dell’Iran, reo di investire risorse umane ed economiche nell’arricchimento dell’uranio per usi civili, che per l’occidente nasconderebbe in realtà l’intenzione di dotarsi di testate nucleari, destabilizzanti in un’aerea in cui Israele ne detiene impunemente più di 200. L'Unione europea minaccia una nuova serie di sanzioni più severe contro l'Iran, puntando non solo al settore petrolifero, ma anche a quello economico. Il Mossad da parte sua fa il lavoro sporco con l’eliminazione fisica degli ingegneri che lavorano al progetto iraniano.
Come dice il Comandante Fidel Castro “la situazione politica creata intorno all’Iran e i rischi di una guerra nucleare [...] sono sommamente delicati perché minacciano la stessa esistenza della nostra specie. Il Medio Oriente è diventata la regione più conflittuale del mondo, e l’area dove si generano le risorse energetiche vitali per l’economia del pianeta.”
Nel continente Latino-Americano, mentre l'Unione delle Nazioni Sud Americane-Unasur forma il suo Consiglio di Difesa che costituisce un passo decisivo verso una maggiore integrazione politica, gli Stati Uniti hanno ordinato la ripresa dell’attività della Quarta Flotta, proprio quando si sono individuate grandi ricchezze petrolifere sui mari del sud. E’ legittimo il sospetto che la crescente presenza militare Usa abbia come obiettivo il controllo economico delle risorse naturali e il controllo politico per ostacolare i tentativi dei paesi sudamericani di tracciare un cammino indipendente dagli interessi e dalla politica degli Stati Uniti. Per non citare anche il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nella destabilizzazione di governi popolari come Honduras, Venezuela, Bolivia, Ecuador, ecc.
L’America Latina e il Caribe hanno deciso di opporsi al processo di disintegrazione economica e sociale prodotto da un capitalismo in profonda crisi, come sta avvenendo in Europa, percorrendo la strada dell’ Integrazione economica e politica, ecco la ricetta dell’America Latina espressa nella CELAC.
Gli esempi importanti di integrazione economica sono numerosi, vediamo da vicino quelli che si riferiscono ai rapporti sempre più stretti, e non solo economici, tra il Brasile e Cuba.
Esiste, per esempio, un accordo tra Brasile, Cuba e Haiti, sottoscritto da Lula e confermato da Dilma, per costruire in quest’ultimo paese strutture sanitarie prima inesistenti. Vale la pena sottolineare che il Brasile ha accettato di integrare la missione ONU in seguito al terremoto a Haiti, solo dopo aver ricevuto l’appoggio dei governi latino americani, inclusi Cuba, Venezuela e Nicaragua.
il Brasile supporta anche gli sforzi giganteschi sostenuti da molti anni da Cuba, per costruire la Scuola Latinoamericana di Medicina per l’addestramento dei medici di paesi poveri, tra i quali Haiti. Ma Cuba condivide, di fatto, una parte delle sue limitate risorse di bilancio anche con i paesi ricchi, perché 500 studenti neri e poveri degli Stati Uniti studiano medicina a Cuba, e forse in questo modo riusciranno a sottrarsi al rischio di diventare ladri o spacciatori.
Il Brasile partecipa alla costruzione dello strategico porto di Mariel a Cuba: al progetto, che dovrebbe essere pronto l’anno prossimo, per lo sfruttamento del porto per vari decenni, sono associate imprese dei due paesi con un investimento totale di 800 milioni di dollari. Sarà il più grande porto del Caribe, che renderà più dinamica l’economia regionale. Il Brasile promuove lo sviluppo con i crediti brasiliani BNDES (Banca Nazionale dello Sviluppo), mentre la scelta della compagnia costruttrice brasiliana -la Odebrecht- è stata fatta dal governo cubano. La Odebrecht inizierà nel paese anche progetti di generazione di energia a partire dalla biomassa della canna da zucchero e altri prodotti agricoli. 3) La politica della Casa Bianca di impedire che imprese di altri paesi violino il Bloqueo illegale imposto a Cuba, è, invece, giustamente ignorata dal Brasile. Anzi, il cancelliere Celso Amorim ha detto che il Brasile vuole essere il primo partner commerciale di Cuba.
Proprio la scorsa settimana il Ministro degli Esteri BrasilianoAntônio de Aguiar Patriota, in visita ufficiale a Cuba - il 17 e 18 gennaio – si è recato nel porto di Mariel ed è stato anche ricevuto da Raul Castro Ruz, Presidente del Consiglio di Stato e dei Ministri: nell’incontro si è dialogato sulle relazioni tra i due paesi e sui preparativi della prossima visita a Cuba della Presidente del Brasile, Dilma Rousseff, prevista per il 31 gennaio.
“Il Brasile desidera contribuire allo sviluppo cubano con una cooperazione più stretta nelle aree dell’educazione, la salute, e attraverso investimenti nelle infrastrutture”, ha dichiarato Patriota. 2)
Il dialogo si è concentrato sui progetti congiunti dei due paesi e sull’interesse brasiliano di firmare progetti di cooperazione nel campo dell’educazione e della salute: Dilma parla di “sviluppo inclusivo” per definire la strategia dei progetti di cooperazione con l’isola. Oltre alla cooperazione in materia di trattamento del cancro (progetti come l’acquisizione di medicine contro il cancro e la loro produzione in Brasile, per la popolazione di basso reddito), il governo brasiliano vuole negoziare l’ampliamento dell’invio in Brasile di medici formati a Cuba, per sostenere la cura nel Servizio Unico Sanitario (SUS) brasiliano.
Patriota ha confermato, inoltre, che la Presidente è interessata a conoscere da vicino la politica d’attualizzazione del modello economico dell’Isola, avviato a Cuba dal VI Congresso del Partito Comunista.
Dilma vorrebbe incontrare anche il Presidente Fidel Castro, per salutarlo quale fonte di "ispirazione" per la "lotta per la dignità e la resistenza". Come il suo predecessore, Luis Inácio Lula da Silva, Dilma non prevede incontri con i dissidenti. 3)
L’agenda di Dilma, concentrata sui temi economici, non esclude dimostrazioni di profondo rispetto alla Rivoluzione Cubana, come la deposizione di fiori al monumento a José Martí.
Del resto la stessa Presidente del Brasile, nel suo discorso alla CELAC, proprio per indicare una direzione contraria alla regressione politico-sociale dell’Europa, ha dato un esempio del cammino della cooperazione e solidarietà realizzato dall’Unila-Università di Integrazione Latino-Americana: mentre in Europa aumentano in maniera preoccupante episodi di carattere razzista e xenofobo verso gli africani, i latino-americani e gli asiatici, il Brasile ospita professori e studenti del continente per un’azione concreta di integrazione per mezzo dell’educazione, una università pubblica sostenuta da risorse pubbliche brasiliane. Un investimento nell’integrazione.
Infine, un coordinamento sempre più ampio dei paesi della CELAC con quelli del BRICS, in ambito culturale, politico e di scambi commerciali più equi, emerge come esigenza indispensabile davanti all'aggressiva voracità del sistema capitalista in crisi, ma che non per questo cessa di inviare minacciosi segnali all’umanità.
A cura della Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti
Fonti:
1) http://www.patrialatina.com.br/editorias.php?idprog=9aa70957fde5ac24d3f5c61776a06053&cod=9094
2) http://www.granma.cu/italiano/cuba/19ener-ministro.html
3) http://www.patrialatina.com.br/editorias.php?idprog=408269455f78f1355681e814c317679a&cod=9263
ANCORA ASSALTI E INCENDI IN ARAUCANIA
Come ormai accade sempre più spesso, anche il 20 gennaio, sempre verso le 6 e mezzo del mattino, le solite forze speciali dei Carabineros, il GOPE, hanno fatto irruzione in una comunità Mapuche, questa volta è la José Guiñon (non per la prima volta), nella zona di Pidima, Comune di Ercilla. In Araucania, IX regione del Cile.
Dopo il consueto protocollo di lacrimogeni, distruzione e furti (hanno portato via persino i cellulari, una motosega ed altri attrezzi di lavoro), alle 7 hanno arrestato Luis Marileo, che già due anni fa, ancora minorenne, era stato incarcerato ed era ora ai domiciliari. Accusato, sembra, di aver rubato in casa di un testimone protetto che risiede a 200 metri da casa sua. La sorella di Luis, Carola, non si spiega questa accusa vistosamente improbabile, dal momento che suo fratello era permanentemente vigilato dalla polizia proprio perché agli arresti domiciliari. Il ragazzo è il marito della giovane, Teresa Miracheo, che l’8 gennaio scorso, incinta, ha rischiato di morire asfissiata dai lacrimogeni lanciati dai carabinieri durante uno scontro durato circa 10 ore.
Quasi ogni giorno dall’Araucania ci pervengono informazioni di perquisizioni di intere comunità, di soprusi e violenze anche contro donne e bambini, spesso vittime di vere e proprie torture, che, neanche a dirlo, rimangono quasi sempre impunite. Saranno così pericolosi questi bambini da sottoporli alla Legge Antiterrorismo? Ci riesce difficile da credere. In realtà li si vuole ferire, stroncare prima che crescano e diventino uomini fieri e degni che, rivendicando i diritti e le terre che sono state loro sottratte con leggi infami o con inganni, possano mettersi di traverso rovinando gli affari milionari delle imprese forestali e delle cartiere di proprietà delle più potenti famiglie cilene che dominano la zona dell’Araucania.
Già dal golpe del ’73 l’Araucania è stata particolarmente vessata dalla dittatura, che, come tutti sanno, non era tenera neanche con il resto del paese, ma lì aveva dei motivi in più. Si è accanita pesantemente contro il popolo Mapuche per lavare “l’onta” subita con la riforma agraria, fatta dal Presidente Allende, che stava restituendo ai Mapuche le loro terre, riconoscendone il furto illegittimo. Durante quei tremendi giorni, dopo l’11 settembre 1973, in quella regione si è assistito a un esibizione di sadismo gratuito non solo contro gli oppositori politici, ma anche contro coloro che appoggiavano la riappropriazione delle terre da parte dei Mapuche e contro gli stessi contadini Mapuche, che venivano caricati sui camion, portati nelle caserme e poi, spesso, non facevano più ritorno a casa, come anche i loro sostenitori cileni.
Oggi queste sparizioni di massa non sarebbero più così facilmente giustificabili, e perciò il governo agisce in modo diverso. Pur mantenendo la “tradizione” della violenza gratuita (perquisizioni delle comunità, arresti, interventi con lacrimogeni sparati ad altezza d’uomo, ecc.) cerca di costruire consenso intorno a questi abusi accusando i Mapuche delle peggiori nefandezze. I testimoni protetti (che, in barba a qualsiasi criterio di giusto processo, rendono testimonianza incappucciati per non essere riconosciuti, e che, spesso, sono anche loro costretti con minacce ad accusare altri Mapuche) possono fare qualsiasi tipo di affermazione, che, mediante “processo orale” porta poi a condanne pesantissime (anche 20/25 anni di carcere) per fatti mai realmente appurati.
È questo il caso dei prigionieri politici del Coordinamento Arauco Malleco (CAM), che danno più fastidio di tanti altri perché hanno un’altissima coscienza politica che fa loro vedere con chiarezza la realtà del paese e dei suoi governi post dittatura. In uno dei loro ultimi comunicati, infatti, allertano anche gli studenti ed i movimenti sociali ad allertarsi davanti a questa frenesia di leggi speciali e specialissime, che, oggi, sono usate in maniera preponderante contro i Mapuche e la CAM in particolare, ma delle quali le prossime vittime saranno tutti quelli che si qualificano in maniera antagonista al potere economico (supportato da quello politico). La coscienza politica, la capacità organizzativa, la partecipazione di massa alle rivendicazioni, fanno dei Mapuche della CAM il nemico numero uno del Ministro degli interni Hinzpeter, che, servendosi persino di un falso comunicato di rivendicazione, ha cercato di imputare loro anche gli incendi di alcune zone dell’Araucania scoppiati nei primi giorni del mese di gennaio ed invoca severissime pene ad hoc per gli “incendi intenzionali”. Le pene però, guarda caso, non si prevedono proprio “uguali uguali” per tutti gli incendiari, presunti ed effettivi. Infatti, il 9 gennaio scorso, due ragazzi di 15 e 17 anni sono stati sorpresi ad appiccare più fuochi nella zona di Traiguèn, zona vicina a quella degli incendi di cui si accusa la CAM e per cui è stata varata apposita Legge di Sicurezza Interna dello Stato. Messi a disposizione della Procura, i due giovani sono stati accusati di “incendio in luogo non abitato” e non sottoposti alla legislazione speciale creata ed applicata ai Mapuche. Perché? Forse è una malizia, ma, i loro genitori, oltre a non essere indigeni, hanno anche il “pregio” di essere votanti di Renovacion Nacional y Alianza Por Chile. E tanto basta.
Altro esempio che mette in evidenza come sia stata assolutamente immotivata e totalmente pretestuosa e politica la criminalizzazione della CAM nel caso dell’incendio di Casa de Piedra (a seguito del quale sono morti i 7 lavoratori dell’impresa Forestale che tentavano di spegnere il fuoco) è la decisione del procuratore dell’Araucania Luis Torres, di arrestare due persone, non Mapuche. I due producevano carbone in maniera non sicura proprio lì vicino e, a seguito di cattiva utilizzazione degli strumenti primitivi di cui si servivano, hanno causato l’incendio cui poi è seguita anche la strage dei lavoratori. Nessuno dei due accusati è stato giudicato con la Legge Antiterrorista, malgrado gli esiti tragici dell’imprudenza e malgrado il Ministro Hinzpeter fosse andato a Carahue appositamente per dire che la si applicasse con le aggravanti. Invece, sono entrambi in libertà, soggetti a misure cautelari con il solo divieto di avvicinarsi al terreno sinistrato… Due pesi e due misure.
Ma la faccenda non finisce qua. Infatti, i Mapuche della CAM, avevano presentato un ricorso di protezione preventiva contro le accuse fatte loro dal Ministro. Ebbene, venerdì 20, la Corte d’Appello di Santiago, con verdetto unanime, ha respinto il ricorso della CAM perché: “non ci sono minacce da parte dell’autorità nelle sue dichiarazioni che collegano gruppi mapuche con attentati incendiari nella regione dell’Araucania” e “che siano o no effettive le dichiarazioni attribuite al Siglor Ministro degli Interni, è certo che sono carenti di rilevanza e serietà per comportare alcun tipo di minaccia”. Insomma: Abbiamo scherzato o qualcosa di simile!
Ma Hinzpeter, e gli altri che lo hanno preceduto e/o che lo affiancano in quest’opera di persecuzione anti Mapuche, forse scherzano con le parole, ma a fatti parlano chiaro e gli assalti dei corpi speciali alle comunità continuano imperterriti.
Ci sembra però che gli eredi di Lautaro, Galvarino e Fresia, che hanno saputo fermare l’invasione spagnola, non abbiano alcuna intenzione di cedere né alle minacce, né ai fatti, anzi, lungi dal vittimizzarsi, lottano quotidianamente dentro e fuori dalle carceri dando al famelico capitale cileno pane per i suoi denti.
Fonti:
Comunicato di Héctor LLaitul Carrillanca Portavoce Politico – CAM dal Carcere di Angol, 9 gennaio 2012
Comunicato della Commissione Politica della CAM, 15 gennaio 2012
http://www.cambio21.cl/cambio21/site/artic/20120112/pags/20120112174028.html
http://www.azkintuwe.org/20120119_004.htm
http://www.poderjudicial.cl/modulos/Home/Noticias/PRE_txtnews.php?cod=3601&opc_menu=&opc_item
Il secolo Pacifico dell'America: su quali basi?
22/11/2011
In un lungo articolo intitolato “Il secolo Pacifico dell'America”, recentemente pubblicato sulla rivista Foreign Policy, la segretaria di Stato americana Hillary Clinton delinea la strategia americana del dopo Iraq e Afghanistan: riportare l'Asia al centro della strategia americana, e rafforzare la presenza economico-militare statunitense nella regione che vale almeno metà della crescita mondiale. Dopo il dislocamento di militari in Australia e il rafforzamento della cooperazione militare con le Filippine, la partecipazione di Obama al vertice di novembre dell'Asean completa i tasselli della strategia americana illustrata dalla Clinton.
Essa si basa sulla speranza di aumentare le esportazioni americane nell'area – Obama ha detto di volerle raddoppiare in 5 anni – agganciando gli Usa alla crescita della regione, e su un rinnovato impegno militare.
La domanda è saranno in grado gli Usa di farlo?
Con un economia in difficoltà e con impegni militari in Medioriente ed in Afghanistan ancora aperti, che gli Usa ritornino gendarme asiatico e impongano ai paesi della regione un aumento delle loro esportazioni nel breve periodo sa tanto di strategia elettorale più che di impegno concretamente realizzabile.
2500 marines in Australia - di cui subito solo 250 - sono dopotutto una cifra risibile e di fronte alle proposte cinesi di prestiti ai paesi dell'Asean per 30 milardi di dollari e alla già forte integrazione economica della regione attorno alla Cina, sul piano dell'economia gli accordi bilaterali con la Corea del Sud per l'eliminazione delle tariffe doganali ancora esistenti con gli Stati Uniti sanno tanto di topolino che cerca di mettere paura all'elefante.
Anche se nell'articolo programmatico la Clinton pensa di fare affidamento su Giappone, Corea del sud, Australia, Filippine e Thailandia(molti dei quali hanno come primo partner commerciale proprio la Cina) come base della politica americana di ritorno in Asia, essa si basa sull'apporto alla strategia statunitense di paesi come l'India, con il recentemente paventato aumento di truppe ai confini con la Cina, e l'Indonesia, che ha recentemente firmato un maxi accordo da 22 miliardi di dollari per la fornitura di aerei Boeing alla più grande compagnia Indonesiana, la Lion Air.
Da parte loro i cinesi, apparentemente il target non dichiarato di questo cambio di strategia, dopo decenni di espansione della loro influenza nella regione, non sembrano molto preoccupati: già a inizio anno per bocca del vice ministro degli esteri Cui Tiankai avevano dichiarato che “circondare la Cina è impossibile”, e oggi secondo Ding Gang, sulla versione estera del Quotidiano del Popolo, si sostiene che“l'Asia non ha tempo per i giochi con gli Stati Uniti”: il commercio tra Cina, Giappone e Corea del Sud da e verso i paesi dell'Asean è aumentato di 37 volte in 20 anni e continua ad aumentare, sancendo un'integrazione economica dell'area oramai irreversibile rispetto alla quale l'azione americana risulta fuori tempo massimo. Solo il commercio cinese nei confronti dell'Asean è ulteriormente aumentato del 26 percento nei primi 7 mesi dell'anno. Sempre secondo Ding Gang, “Se i paesi asiatici non riducono la loro dipendenza dall'economia occidentale, l'area potrebbe diventare un area alluvionata ad ogni tempesta finanziaria”, e se gli Stati Uniti intendono giocare un ruolo costruttivo e pacifico in Asia lo facciano, basandosi innanzitutto sulla loro economia più che sulle esportazioni nell'area. “Se invece gli Usa intendono solo rafforzare la loro posizione dominante attraverso una strategia di calcolo, nessun paese asiatico avrà tempo di mettersi a giocare con loro al vecchio gioco del poker”.
Come a dire: se fate affidamento sulla nostra crescita e quella dell'area per riprendervi dalla crisi, fanfare a parte, almeno prima di entrare toglietevi il cappello.
Nota :
Degli stessi elementi di fondo richiamati dalla Clinton come base della superiorità del modello americano anche nel nuovo secolo: l'esercito più forte, la più grande economia, i lavoratori più produttivi del mondo, pare ormai sopravvivere solo il primo, che scricchiola quanto a sostenibilità delle spese militari sotto il crollo dei secondi due. Secondo alcuni calcoli relativi al valore reale dell'economia infatti, quella cinese avrebbe già superato l'economia americana facendo del paese la prima potenza economica mondiale già a fine decennio. Per non parlare della produttività dei lavoratori in settori fondamentali in cui gli Usa hanno ormai deindustrializzato.
Fonti:
http://www.foreignpolicy.com/articles/2011/10/11/americas_pacific_century?page=full
http://english.peopledaily.com.cn/90778/7651109.html
http://english.peopledaily.com.cn/90883/7651434.html
http://english.peopledaily.com.cn/90780/7651600.html
A cura della Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti
PETROLIO, CUBA, E CORALLI
Nel 2005 alcune compagnie canadesi hanno trovato petrolio di alta qualità nella Zona Economica Esclusiva (ZEE) assegnata a Cuba nel Golfo del Messico a seguito degli Accordi di Divisione Marittima del 1997 con il Messici e gli USA.
Oggi, la possibilità che Cuba possa cominciare ad estrarre petrolio dalla sua zona di pertinenza, ha provocato un’isterica reazione della congressista del Partito Repubblicano per la Florida Ileana Ros-Lehtinen, che pretende la criminalizzazione delle trivellazioni da parte di Cuba per evitare che la barriera corallina ne tragga danno. Anche un altro deputato repubblicano della Florida, Vern Buchanan, si oppone alle trivellazioni perché ”potrebbero essere una minaccia per il turismo e l’ambiente della Florida”. Già nel 2007, l’ex senatore repubblicano della Florida Mel Martínez, aveva presentato un progetto di legge che proponeva chiare misure punitive per le compagnie straniere, ritirando loro i visti e multando chi investiva nel petrolio cubano, in quanto lo sviluppo del petrolio cubano “va contro la politica di sicurezza nazionale degli USA”.
Al di là di qualsiasi mistificazione ecologistico/turistica raccattata oggi dalla Ros-Lehtinen, la realtà è che, se Cuba trova il petrolio nelle quantità e qualità preannunciate dai sondaggi, si potrebbe assolutamente affrancare da qualsiasi embargo USA e, al pari del Venezuela, crearsi una sua autonomia energetica e, addirittura, diventare esportatore dell’oro nero.
Attualmente, a causa dell’embargo, la compagnia statale petrolifera cubana Cubapetróleo (Cupet), non avendo potuto acquistare i materiali necessari, ha dovuto servirsi di una compagnia italiana, che a sua volta ha subappaltato a una cinese, per la costruzione della piattaforma estrattiva Scarabeo 9.
La piattaforma potrà perforare fino a 3.600 metri.
Presto la ditta spagnola Repsol-YPF comincerà le operazioni in uno dei 59 blocchi della ZEE e difficilmente il nuovo governo di Rajoi opporrà negative a questo contratto, contrariamente a quanto spererebbe il senatore democratico della Florida Bill Nelson (in una lettera a Hillary Clinton). Nelson suggerisce pure il ritiro unilaterale dagli Accordi di Divisione Marittima. Meno male che i Democratici di Obama sono considerati quelli “buoni” e pacifici da premio Nobel preventivo……
Altre imprese hanno già contratti per altri blocchi: Petronas (Malesia), Gazprom (Russia), CNPC (Cina), Petrobras (Brasile), Sonangol (Angola), Petrovietnam (Vietnam) y PDVSA (Venezuela).
In tutto ciò la Ros-Lehtinen continua a far finta di preoccuparsi dei coralli mettendo in dubbio le capacità tecniche delle trivellazioni che farebbero i cubani (o la Repsol per i cubani) senza però chiedere regolamentazioni severe e specifiche per la BP, per esempio, neanche dopo la catastrofe ambientale da questa provocata l’anno scorso. Anche le perforazioni della messicana statale Pemex (con lunghe esperienze di esplosioni in terra e mare) sembrano non essere preoccupanti per la signora Ros-Lehtinen, che, mentre alla BP ha almeno chiesto risarcimenti per le strutture turistiche e pescherecce, al Messico non ha chiesto proprio nulla.
Anche per il futuro sono previste nuove perforazioni, a cura della Bahamas Petroleum Company (BPC), proprio a nord est di Cuba e il Dipartimento degli Interni degli USA ha già concesso altri 37 permessi di esplorazioni sottomarine, tra cui ad alcune compagnie straniere coinvolte nel progetto cubano (che in questo caso sono considerate invece ecologiche e sicure…). Persino la BP ha presentato una nuova richiesta.
Con tutto questo pullulare di interessi sul Golfo, i deputati della Florida pensano al corallo messo a repentaglio dalla Repsol (solo per la parte della zona di Cuba, nelle altre zone del Golfo dove perfora Repsol, forse, il corallo non c’è…).
Questa storia rasenta il grottesco, ma è una cosa seria. Molto seria. In Honduras nel 2009 è stato pilotato addirittura un colpo di stato contro il presidente Manuel Zelaya che aveva ostato fare accordi con il Venezuela di Chavez proprio in relazione al petrolio, entrando in Petrocaribe. Anche contro Haiti sono state messe in moto iniziative per evitare che entrasse nell’orbita venezuelana (secondo quanto rivelano alcuni scritti desecretati da WikiLeaks.
Petrocaribe è un programma di portata regionale che si occupa dei sondaggi, raffinazione e distribuzione del petrolio della compagnia statale venezuelana PDVSA. Anche Cuba, ovviamente, è in Petrocaribe e, a prescindere dalle nuove future perforazioni nel Golfo, ha già accordi, tramite la Cupet, per la raffinazione, immagazzinamento e imbarco del petrolio e prevede la costruzione di nuove raffinerie.
Petrocaribe è una macchina per lo sviluppo dei paesi membri e ha impianti in Haiti, Nicaragua e Giamaica, nonché vari progetti di energie rinnovabili e progetti persino per il turismo, la sanità, le abitazioni e l’istruzione.
È una delle ormai tante istanze comuni che l’America Latina sta mettendo in campo per la sua indipendenza di area (ALBA, UNASUR, TELESUR, CELAC, ULAN).
Hasta la victoria!
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