La miopia di quella “sinistra” che sostiene il golpismo contro il governo sandinista di Ortega in Nicaragua
Written by di Atilio Borón - TeleSURL’attuale dolorosa congiuntura in Nicaragua ha provocato una vera e propria raffica di critiche. La destra imperiale e i suoi epigoni in America Latina e Caraibi hanno raddoppiato la loro offensiva con un unico ed esclusivo obiettivo: creare il clima giusto a livello di opinione pubblica che permetta di rovesciare senza proteste internazionali il governo di Daniel Ortega, eletto meno di due anni fa (novembre 2016) con il 72 percento dei voti.
Questo era prevedibile; non lo era che a quest’attacco partecipassero, anche con singolare entusiasmo, alcuni politici e intellettuali progressisti e di sinistra che hanno unito le loro voci a quelle degli svergognati servi dell’impero. Un noto rivoluzionario cileno, Manuel Cabieses Donoso, della cui amicizia sono onorato, ha scritto nella sua fiammeggiante critica al governo sandinista che «la reazione internazionale, il ‘sicario’ generale dell’OSA, i mezzi della disinformazione, la classe imprenditoriale e la Chiesa Cattolica si sono impadroniti della crisi sociale e politica innescata dagli errori del governo. I reazionari sono saliti sull’onda della protesta popolare».
Corretta descrizione di Cabieses Donoso da cui, tuttavia, vengono tratte conclusioni errate. Giusta perché è vero che il governo di Daniel Ortega ha commesso un gravissimo errore nel siglare patti ‘tattici’ con i nemici storici del FSLN e, più recentemente, nel tentativo di imporre una riforma delle pensioni senza alcuna consultazione con le basi sandiniste o agendo con incomprensibile disprezzo per la crisi ecologica nella riserva biologica Indio-Maíz.
Corretta anche quando afferma che la destra locale e i suoi padroni stranieri si sono appropriati della crisi sociale e politica, un dato di importanza trascendentale che non può essere ignorato o sottovalutato. Ma radicalmente scorrette sono le sue conclusioni, come quelle di Boaventura de Sousa Santos, quella del profondo ed enorme poeta Ernesto Cardenal, e di Carlos Mejía Godoy, così come tutta una pletora di attivisti che nelle loro numerose denunce e scritti richiedono – apertamente, altri in un modo più sottile – la destituzione del presidente del Nicaragua senza nemmeno abbozzare una riflessione o arrischiare una congettura su quanto sarebbe avvenuto dopo.
Alla luce dei bagni di sangue che hanno devastato l’Honduras in seguito alla destituzione di ‘Mel’ Zelaya; quanto avvenuto in Paraguay in seguito al rovesciamento ‘express’ di Fernando Lugo nel 2012, e quanto accaduto prima in Cile nel 1973 e in Guatemala nel 1954; o quello che fecero i golpisti venezuelani dopo il golpe dell’11 di aprile durante l’interregno di Carmona Estanga ‘il breve’, o quello che sta succedendo adesso in Brasile e le centinaia di migliaia di omicidi che la destra ha compiuto durante i decenni di ‘cogestione FMI-PRIAN’ in Messico, o il genocidio dei poveri praticato da Macri in Argentina. Qualcuno sano di mente può supporre che la destituzione del governo di Daniel Ortega creerebbe una democrazia scandinava in Nicaragua?
Una debolezza comune a tutti i critici è che in nessun momento alludono al quadro geopolitico in cui si dipana la crisi. Come possiamo dimenticare che il Messico e l’America centrale sono una regione di massima importanza strategica per la dottrina della sicurezza nazionale negli Stati Uniti? L’intera storia del ventesimo secolo è contrassegnata da questa ossessiva preoccupazione di Washington di sottomettere il popolo ribelle del Nicaragua. A qualsiasi prezzo. Anche attraverso la sanguinaria dittatura di Anastasio Somoza, la Casa Bianca non ha esitato e agito di conseguenza. Criticato da alcuni rappresentanti democratici nel Congresso degli Stati Uniti per il sostegno che Franklin D. Roosevelt dava al dittatore, egli rispose semplicemente che «sì, (Somoza) è un figlio di puttana ma è il NOSTRO figlio di puttana».
E le cose non sono cambiate da allora. Quando il 19 Luglio 1979 il Fronte Sandinista sconfigge il regime di Somoza, il presidente Ronald Reagan non esita un minuto nell’organizzare un’operazione mafiosa di traffico illegale di armi e droga al fine di poter finanziare, ben oltre di quanto autorizzasse il Congresso degli Stati Uniti, la ‘contra’ nicaraguense. Tutto questo andò sotto il nome di ‘Operazione Iran-Contras’. Possiamo essere così ingenui oggi da dimenticare questo precedente, o pensare che queste politiche interventiste e criminali rappresentino pratiche del passato? Un paese, inoltre, che negli ultimi tempi ha pianificato la costruzione di un canale interoceanico – finanziato da enigmatici capitali cinesi – in grado di competere con il Canale di Panama, controllato di fatto se non di diritto, dagli Stati Uniti. Questi non sono dati aneddotici ma di fondo, necessari per calibrare con precisione il contesto geopolitico in cui i tragici eventi si svolgono in Nicaragua.
Tutto ciò non significa ignorare i gravi errori del governo di Daniel Ortega e l’enorme prezzo pagato per un pragmatismo che ha stabilizzato la situazione economica del paese e migliorato le condizioni di vita della popolazione ipotecando la tradizione rivoluzionaria sandinista. Ma il patto con i nemici è sempre volatile e transitorio. E al minimo segno di debolezza del governo, e davanti un grossolano errore basato sul disprezzo per l’opinione della base sandinista, si sono scagliati con tutto il loro arsenale in strada per rovesciare Ortega. Hanno trasferito molti dei mercenari che hanno messo in scena le ‘guarimbas’ in Venezuela in Nicaragua e ora stanno applicando in Nicaragua la stessa ricetta per la violenza e la morte insegnata nei manuali della CIA.
Conclusione: la caduta del sandinismo indebolirebbe il contesto geopolitico del Venezuela brutalmente aggredito e aumenterebbe le possibilità di generalizzazione della violenza in tutta la regione.
Mentre ero al Forum di San Paolo che si svolge a L’Avana, ho potuto godere della contemplazione dei Caraibi. Lì vidi, in lontananza, una fragile barchetta. Era condotta da un robusto marinaio e, dall’altra parte, c’era una ragazza. Il timoniere sembrava confuso e lottava per mantenere il suo corso nel bel mezzo di una minacciosa mareggiata. E mi è venuto in mente che questa immagine potrebbe rappresentare eloquentemente il processo rivoluzionario, e non solo in Nicaragua ma anche in Venezuela, in Bolivia, ovunque. La rivoluzione è come quella ragazza, e il timoniere è il governo rivoluzionario. Quest’ultimo può sbagliare, perché non c’è lavoro umano al riparo dall’errore; e compiere manovre errate che lo lasciano in balia delle onde e mettono in pericolo la vita della ragazza. A completare il tutto, non lontano c’era la sagoma minacciosa di una nave da guerra statunitense, carica di armi letali, squadroni della morte e soldati mercenari. Come salvare la ragazza? Sbalzando il timoniere in mare e facendo affondare la barca, e con essa la ragazza? Consegnandola alla marmaglia di criminali che si affollano, assetati di sangue e pronti a saccheggiare il paese, rubare le loro risorse e stuprare e poi uccidere la ragazza?
Non credo sia questa la soluzione. Non vedo che questa sia la soluzione. Più produttivo sarebbe che alcune delle altre barche che si trovano nella zona si avvicinino a quella in pericolo e facciano sì che il disordinato timoniere possa raddrizzare la rotta. Affondare colui che guida la ragazza della rivoluzione, o consegnarlo alla nave nordamericana, difficilmente potrebbe essere considerato una soluzione rivoluzionaria.
(Traduzione dallo spagnolo per l’AntiDiplomatico di Fabrizio Verde)
La fake news “a Cuba è arrivato il capitalismo”, smontata dal Prof. Vasapollo
Written by di Fabrizio Verde -AntidiplomaticoIntervista a l’AntiDiplomatico: “Sta accadendo l’opposto di quello che leggete sui giornali italiani. Ma non è certo una novità.”
Cuba è tornata ad essere materia di disinformazione su alcuni famigerati quotidiani nostrani. I soliti noti come Repubblica e La Stampa si distinguono per speculazione e ipocrisia. E così come per magia il processo di rafforzamento e adeguamento ai tempi e alle sfide odierne del socialismo cubano viene presentato come un processo di sostanziale abbandono dell’attuale sistema in vista di un graduale approdo al capitalismo. Lo stile è quello classico della post-verità, con l’utilizzo delle fake news come strumento principale per screditare un sistema che continua a rafforzarsi e avanzare nonostante un criminale embargo in vigore da oltre 50 anni.
Sull’argomento abbiamo intervistato il professor Luciano Vasapollo, professore di Analisi Dati di Economia Applicata alla «Sapienza» Università di Roma, Delegato del Rettore per le Relazioni Internazionali con i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi; e professore all’Università de La Habana (Cuba) e all’Università «Hermanos Saíz Montes de Oca» di Pinar del Río (Cuba), per avere un pare qualificato sull’evoluzione socialismo cubano. Nessuno più di lui conosce le “vene aperte” dell’America Latina e le trasformazioni in atto nel continente.
Professore, i quotidiani italiani affermano che Cuba abbandona la via socialista per il capitalismo. Ci spiega cosa sta accadendo a L’Avana?
Sta accadendo l’opposto di quello che leggete sui giornali italiani. Ma non è certo una novità. A l’Avana è in corso l’Assemblea Nazionale del Potere Popolare, un processo molto importante perché oltre a far nascere il nuovo governo, voterà la nuova Costituzione che riformerà quella del 1976. E’ la fine di Cuba? Mi viene da ridere a leggere questi soloni che conoscono Cuba solo per quello che gli raccontano le agenzie stampa che filtrano le notizie da Miami.
Cosa prevede la nuova Costituzione?
A Cuba viene ratificata questa nuova Costituzione per modernizzare il socialismo. Modernizzare e attualizzare le linee del socialismo, perché in nessun punto viene messa in discussione la continuità e la leadership del Partito Comunista. Sono anzi rafforzati il ruolo del Partito all’interno della società, della democrazia partecipativa e socialista di base; il ruolo dei CDR, dei consigli di fabbrica, dei consigli di quartiere; il ruolo popolare perché al centro della Costituzione cubana c’è il popolo. Anche l’impostazione dell’economia socialista non viene minimamente intaccata. Per cui quello che si sta verificando nei giornali qui in Italia ed Europa sono solo menzogne, menzogne e menzogne. Ma non è quello che raccontano tutti i giorni?
Perché tanto astio verso Cuba?
Perché se Cuba rimane ferma viene accusata di immobilismo e di essere la nuova Unione Sovietica, poiché il comunismo è un processo del divenire storico che passa per varie fasi storiche. Quando Cuba si muove viene accusata invece di andare verso il capitalismo di Stato. L’unico torto che ha Cuba è quello di autodeterminarsi, quello di volere un proprio percorso autonomo che chiaramente si attualizza e si mette in movimento con il cambio della società in un momento storico in cui la società sta cambiando. Così come la forma dell’imperialismo. Siamo passati dalla globalizzazione a una fase di competizione inter-imperialistica. Una società che nei paesi a capitalismo avanzato ha cambiato la struttura economico-produttiva e sociale. Permane la guerra contro i cosiddetti ‘Stati canaglia’: Cuba, Venezuela, Siria, Libia, la Russia di Putin. Una guerra che può essere militare, ma anche economica e mediatica. Il capitalismo vive una crisi sistemica di sovrapproduzione che ricade fortemente sui paesi in via di sviluppo, quindi anche su Cuba.
Il congresso si sta svolgendo in una serenità assoluta. Le cose che vengono dette sono assolutamente vergognose. Si parla del riconoscimento del mercato come fosse chissà quale enorme novità. Cuba ha sempre riconosciuto il mercato perché questo non coincide col capitalismo. Questi ignoranti dei giornali italiani di ‘sinistra’, della cosiddetta ‘sinistra’, devono sapere che il mercato è pre-esistente al capitalismo. Quindi il problema non è il mercato, ma logica che passa per il mercato. Cioè se beni e settori strategici e i beni di prima necessità sono di proprietà pubblica o meno.
Cuba ha sempre convissuto con il mercato perché ovviamente non è un paese fuori dal contesto internazionale. Però ha mantenuto pubblici tutti i settori strategici. L’energia continua ad essere pubblica, così come trasporti e telecomunicazioni. Tutto permane pubblico e gratuito. Quindi se fa paura la parola mercato, i signori sapessero che il mercato preesisteva.
Già nelle linee di attualizzazione e modernizzazione della pianificazione socialista del 6° Congresso, si affermava che uguaglianza e egualitarismo non sono la stessa cosa. Cuba gravata da un micidiale blocco economico non poteva mantenere forme anacronistiche. Per cui si è aperta a forme di lavoro che chiamiamo privato. Oggi a esempio ci sono una serie di piccoli bar che vengono gestiti in maniera privata, ossia i gestori non sono più dipendenti statali. Questo vale solo per attività non strategiche.
Per quanto riguarda la questione della terra?
La proprietà privata in agricoltura: già nel Congresso del 2011 e poi ratificato nel 7° Congresso del 2016 si è avviato l’usufrutto della terra. Cosa significa? Che la terra rimane di proprietà dello Stato ma viene concessa in uso per 30 anni agli agricoltori. Se nei trent’anni la produttività è buona: quindi si ottengono prodotti sia per lo Stato per che per il mercato. Alla fine dei trent’anni l’usufrutto viene rinnovato. Altra grande idiozia della stampa.
Cuba rinuncia al comunismo?
Sparisce la parola comunismo. C’è l’articolo 6 della vecchia Costituzione dove si afferma che la società socialista procede verso il comunismo. Nella nuova costituzione si afferma che la società socialista va migliorata e attualizzata, per il cammino nel socialismo, con le strutture di democrazia di base con al centro il Partito. Anche qui ignoranza. Filosofica, non solo politica. Che cos’è il comunismo? Il movimento reale che distrugge e supera lo stato presente delle cose. Questo dice Marx. Per arrivare a questa società ‘utopica’ bisogna prima passare per la transizione dal capitalismo al socialismo, dal socialismo al comunismo e poi arrivare alla società degli assolutamente liberi e uguali. Quella comunista. Ma non si è mai realizzata, neanche in Unione Sovietica. Poiché il comunismo è un processo di divenire storico che necessita del passaggio per varie fasi di transizione.
Cosa ratifica la nuova Costituzione? Che c’è una transizione al socialismo. Che altro deve dire? Se c’è la democrazia di base e socialista, se c’è il Partito Comunista, si difende tutta la proprietà pubblica e socialista. Se l’economia e la società si basano su questi principi, non mi crea nessun problema.
Il riconoscimento del matrimonio omosessuale e alcune modifiche al sistema economico. Qualcuno ha provato a mettere le due questioni in contrapposizione.
Altra questione che viene messa in risalto quasi in maniera negativa. Nella Costituzione viene riconosciuto che ci si possa sposare tra due persone anche dello stesso sesso. Forse l’Italia è in stato di arretratezza. Si tratta di un avanzamento che da un insegnamento forte ai paesi capitalistici o riformisti che si ritengono più evoluti e a questa sinistra sciocca che non capisce più dove va il mondo. Perché il fatto che Cuba ratifichi il matrimonio omosessuale è un fatto estremamente importante e avanzato da cui bisognerebbe riprendere.
Quindi la società civile che si evolve, i matrimoni omosessuali, la permanenza della proprietà pubblica in tutti i settori strategici con forme di proprietà privata in quelle attività non centrali e strategiche rappresentano la modernizzazione e il rafforzamento della società socialista.
Su questo punto vorrei ribadire quello che Fidel e Raul hanno stabilito con fermezza per Cuba: i diritti sono un blocco unico o non sono. I diritti civili possono progredire solo insieme ai diritti sociali. Questo Cuba lo ha chiaro, l’Europa che nega a milioni il diritto ad un’esistenza degna purtroppo no.
Spesso le critiche più ingenerose nei confronti di Cuba e dei paesi socialisti dell’America Latina giungono proprio da certi settori di sinistra. Perché?
E’ chiaro che questa sinistra serva del padronato, questo centrosinistra espressione delle corporazioni finanziarie in tutta Europa è messo in discussione da quello che avviene a l’Avana. E’ la loro nemesi.. Ed è per questo reagisce in questo modo schizofrenico e puerile contro Cuba. Il processo rivoluzionario a Cuba simboleggia ogni giorno il prezzo del fallimento della sinistra in Europa. In Italia l’abbandono dell’idea socialista, precedente al periodo di Bertinotti e risalente ai tempi del PCI di Berlinguer, è divenuta mossa strategica. L’abbandono completo dell’idea di trasformazione in chiave socialista della società capitalista viene messo in discussione da una piccola isola senza alcuna risorsa naturale, con 11 milioni di abitanti e a 90 miglia dagli USA, nonostante un blocco economico infame e con 3800 morti causati da attentati della CIA, che riesce a realizzare il socialismo ed essere punto di riferimento a livello internazionale. Basti pensare alla concreta solidarietà verso Mandela e alla lotta di liberazione dal colonialismo dei popoli africani come in Angola, alle migliaia di medici cubani inviati in ogni parte del mondo che hanno contribuito a sconfiggere virus micidiali come l’ebola, agli insegnanti per sostenere la creazione dell’ALBA. Al sostegno ai presidenti Chavez ed Evo Morales. Cuba mette con le spalle al muro la sinistra parolaia europea. Cuba mostra che si può fare anche in un mondo capitalista se c’è la volontà della trasformazione e della rottura. Invece la sinistra europea ha rinunciato.
E lo stesso avviene ora con il Nicaragua di Ortega. Come è possibile che i principali avversari delle rivoluzioni progressiste che hanno emancipato dalla povertà milioni di persone provengano proprio da quella che in Europa si definisce “sinistra”?
Si è triste, ma è proprio così. Lo stesso è avvenuto con il Venezuela e l’appoggio all’estrema destra che ha tentato di rovesciare in modo violento il presidente Maduro. Lo stesso è avvenuto in altri paesi del Medio Oriente. Si tenta di destabilizzare con rivoluzioni colorate tutti quei governi che non si piegano all’imperialismo degli Stati Uniti e quello ancora più subdolo dell’Unione Europea. Che dire di quella specie di sinistra che chiede più Europa, cioè chiede più colonialismo e attacca tutti quei governi che dal neo-colonialismo e dalle barbarie del nostro tempo tentano di emanciparsi? Pe rispondere faccio mio le parole del grande intellettuale argentino Atilio Boron sulla “miopia della sinistra che approva il golpe in Nicaragua” e apre le porte alla destra neo-coloniale. E, su quello che sta accadendo in Nicaragua in questi giorni, faccio soprattutto quelle di Stella Calloni che ha dichiarato: “E’ vergognoso e allarmante che non si dica veramente chi stia armando i terroristi che attaccano i popoli e uccidono in modo atroce una moltitudine di persone. Non è stato il governo di Ortega. Sono stati i terroristi, sono stati gruppi violenti come è accaduto in Venezuela. E’ tanto difficile vederlo?” Per qualche finto progressista sembra proprio di si.
Che fare? Da dove ripartire?
Il compito della sinistra, dei comunisti e dei rivoluzionari in Europa è far emergere le contraddizioni che ci sono nel nostro paese e in Europa. Per esempio mettere al centro la battaglia contro gli imperialismi, contro Trump e l’Unione Europea. Uscire dalla NATO. Creare nuove relazioni internazionali, aprire ad altri paesi. Uscire dall’Unione Europea e dall’euro. Rimettere al centro la questione capitale-lavoro per ridare forza ai nuovi soggetti del lavoro. Rimettere al centro la questione di genere e il conflitto capitale-ambiente. Fuori dagli schemi di un Partito Democratico che ormai rappresenta solo gli interessi delle multinazionali. Come dimostrato in maniera lampante negli utlimi giorni dalla vicenda umana che riguarda il manager Marchionne: i media legati al Partito Democratico hanno fatto sfoggio del più totale servilismo nei confronti della multinazionale FIAT-FCA.
* da L’Antidiplomatico
IMPERIA 12 APRILE 2018 – L’OFFENSIVA IMPERIALISTA NEL TERZO MILLENNIO DALL’AMERICA LATINA AL MEDIO ORIENTE DELL’EUROPA
Written by Redazione Nuestra AmericaIMPERIA 12 APRILE 2018 – L’OFFENSIVA IMPERIALISTA NEL TERZO MILLENNIO DALL’AMERICA LATINA AL MEDIO ORIENTE DELL’EUROPA
UNA RIFLESSIONE COLLETTIVA CON
LUCIANO VASAPOLLO
IN OCCASIONE DELLA PRESENTAIZONE DLE SUO RECENTE LIBRO
CHAVEZ PRESENTE. LA RESISTENZA EROICA DELLA RIVOLUZIONE BOLIVARIANA
Geraldina Colotti intervista il Prof. Luciano Vasapollo: "Il riformismo di maniera è morto, la sinistra storica è morta. Il rilancio passa solo dalla rottura delle gabbie Ue e euro"
Written by AntidiplomaticoPer l’uscita del suo ultimo libro – Chávez presente! La resistenza eroica della rivoluzione bolivariana, Edizioni Efesto – abbiamo intervistato Luciano Vasapollo, professore di Politica Economica all’Università Sapienza di Roma.
L’America Latina è da tanti anni al centro del tuo lavoro politico, come accademico e come militante. Quale fase sta attraversando il continente e quali elementi possiamo trarre per ricostruire una sociologia e una pratica politica in una prospettiva internazionalista?
Dopo la caduta del muro di Berlino, Cuba ha intrapreso una resistenza eroica, ed era sola. Temevamo non potesse farcela, invece è andata diversamente e questo è il primo elemento di forza su cui si è messo in moto un nuovo ciclo. Il processo avviato dal comandante Hugo Chávez e poi da Evo Morales e anche da Correa, appoggiato dai governi progressisti di Lula in Brasile e dei Kirchner in Argentina, ha ridato ossigeno a Cuba. E non solo. Ha ridato impulso anche ai rivoluzionari sinceri e coerenti che agiscono in questa gabbia dell’Unione Europea: uno stimolo e indicazioni pratiche, non solo una speranza.
Ovviamente di questo si è accorto l’imperialismo, sia quello statunitense che europeo e ha cercato di disarticolare l’esperimento, aumentando le contraddizioni nel polo rivoluzionario (lo definisco così, nonostante i suoi limiti e le differenze interne), e in quello progressista. Il principale obiettivo dell’attacco imperiale non è stato quello di ricreare il cortile di casa degli Stati Uniti, ma di impedire il consolidamento di quell’ipotesi e il suo allargamento, dentro e oltre il continente. Un’ipotesi che, a partire dall’America Latina, poteva contaminare o dare coraggio ad altri tentativi a livello internazionale.
Nel nuovo quadro che si è venuto a determinare, la cultura, la comunicazione, la guerra, l’aggressività dell’imperialismo, hanno quindi vinto?
Di sicuro non completamente, ma sono riusciti ad assestare grossi fendenti: attraverso colpi di Stato diretti e indiretti, con il terrorismo mediatico, con la propaganda ideologica che fa da apripista all’azione dei mercenari, dei narcos, della finta opposizione di natura fascista. Fattori che hanno giocato un ruolo fondamentale sia in Venezuela che in altri paesi del continente. Pensiamo all’Honduras, al Paraguay, al Brasile.
Con il ritorno a destra di due grandi paesi come Argentina e Brasile, sono venuti meno due grandi polmoni di appoggio solidali che avevano interrotto il progetto dell’ALCA per far spazio all’ALBA. Un cambio di scenario che ha purtroppo ridefinito in senso negativo alcune situazioni e indebolito l’integrazione solidale. La posizione assunta dall’attuale presidente dell’Ecuador, Lenin Moreno, non è casuale. In un paese dollarizzato com’è l’Ecuador e in cui le risorse passano per un mercato d’importazione determinato dagli USA, Moreno si è trovato in una situazione in cui rompere con gli Stati Uniti avrebbe creato grossi problemi. Correa ha potuto muoversi in un quadro diverso, fidando su sponde solide come quelle di Argentina e Brasile. Quando lo scenario muta e ad alcuni appare che anche Maduro possa crollare, Moreno inizia a cambiare strategie e alleanze. E oggi, nonostante l’Ecuador non sia ancora uscito dall’ALBA, non ha più un governo affidabile per i processi di trasformazione.
Il bilancio, dunque, dei processi di transizione in Nuestra América è inizialmente molto positivo. Non bisogna, però, nascondere gli errori e le costruttive critiche fraterne. Per esempio, non si può pensare di governare senza prendere il potere. O meglio, lo si può fare, ma sul medio e lungo periodo si finisce per avere il fiato corto. Prima o poi il problema della rottura rivoluzionaria si pone. Forse, allora, alcuni processi andavano accelerati approfittando del momento favorevole di quella prima fase.
Per esempio, in Venezuela, si sarebbe dovuto puntare per tempo sulla diversificazione produttiva. Mi era capitato di parlarne in un’intervista al Correo del Orinoco già nel 2007-2008. Dicevo: bisogna nazionalizzare l’intero settore bancario. Bisogna nazionalizzare i settori strategici. In Venezuela, oltre al settore petrolifero ed energetico, ai trasporti e alle telecomunicazioni, è strategico anche il settore della distribuzione di beni soprattutto di prima necessità. E infatti le reti di distribuzione alternativa gestite dal Governo, come Mercal, non sono bastate per far fronte alla guerra economica, al desvio e all’accaparramento dei prodotti basici sussidiati. Se la grande distribuzione resta in mano del settore privato, a scomparire non sono solo i cellulari, ma i beni di prima necessità. E se devi fare la fila per comprarli o devi pagarli a caro prezzo al mercato nero, il terrorismo mediatico fa presa anche nelle tue stesse fila.
Un altro errore è stato quello di puntare eccessivamente su alcuni fattori, come il carisma del Presidente o la continuità di uno stesso gruppo dirigente, pensando che sarebbero durati per sempre. Invece, quando intervengono incidenti di percorso, le nuove condizioni possono favorire l’opposizione.
Ora non solo c’è il fiume di denaro dell’imperialismo USA, ma anche la partita che stanno giocando in Europa le multinazionali, i vari partiti legati ai centri di potere, come quelli della vecchia e agguerrita nomenclatura dei poteri forti italiani, come i partiti della Mogherini, Tajani eccetera. Una partita per il controllo dell’America Latina e, attraverso l’America Latina, sul Medioriente, sul fronte libico e siriano: seguendo la linea del petrolio e del metano. E dell’acqua, non dimentichiamolo.
E le guerre del Terzo Millennio saranno per l’acqua...
Appunto. Controllare o svendere alle grandi multinazionali fiumi importantissimi che attraversano mezzo continente, controllare l’Amazzonia, pesa incredibilmente sugli scenari. Insomma, quella che si gioca in America Latina è una partita più che mai aperta.
Ripeto sempre una frase del mio amico Abel Prieto: quando diciamo “hasta la victoria siempre”, “patria o muerte”, dobbiamo aggiungere che la “victoria es inevitable”. Deve essere resa inevitabile pena la scomparsa dei processi rivoluzionari in corso. Non ci sono più altre strade.
In Europa non esiste più la possibilità di una via socialdemocratica, riformista, di un capitalismo per così dire sociale che non cada nella spirale dell’imperialismo o del neoliberismo. Dunque, l’unica via è quella della transizione verso il socialismo. Ovviamente, da marxisti che interpretano con la necessaria dialettica il rapporto tra materialismo storico e dialettico, sappiamo che non sarà per domani. Non abbiamo i rapporti di forza a nostro favore, ma solo guardando lontano possiamo agire sui processi in divenire e giocare la nostra partita. Altrimenti abbiamo perso in partenza.
Ho 63 anni e cinquanta di esperienza politica e di intensa attività culturale, so che occorre commisurare la tattica alla strategia, ma anche la lentezza della lumaca, il suo cammino forte e determinato, conta. Se lasci una lumaca sulla porta e torni dopo un’ora, non sai dove sia andata. Siamo chiamati a questo compito.
Inflazione alle stelle, storture ereditate di cui non si riesce a venire a capo, sperimentazioni come quella del Petro, la nuova moneta virtuale. Come valuti, da economista, la situazione in Venezuela?
Le innovazioni sono necessarie, ma vanno misurate sul terreno della realizzabilità e verificate. Prima accennavo al problema della diversificazione produttiva, ai ritardi e agli errori di un processo rivoluzionario di cui, come intellettuale marxista militante, mi sento anch’io responsabile. Di fronte a una crisi sistemica a cui il capitalismo cerca di reagire per sopravvivere, era logico pensare che avrebbe giocato una partita pesantissima sul prezzo del petrolio. Si sarebbe dovuto tenere maggiormente in conto il pericolo di dipendere dal prezzo del petrolio e dall’agire delle borghesie transnazionali. Se dipendi dal prezzo del petrolio, ti colpiscono con una manovra speculativa sui tassi di cambio, impedendoti di emettere titoli del debito pubblico e agendo quindi sul mercato finanziario e poi su quello delle risorse naturali e delle merci.
Se un paese dipende fortemente e quasi unicamente dalle dinamiche indotte e controllate dai prezzi di mercato, lo colpiscono agendo condizionando e indirizzando a favore delle multinazionali i meccanismi di mercato. Perché quando il prezzo del barile scende dai 130 dollari a 35-40 dollari, quello venezuelano precipita a 22: sei volte di meno. Immettono petrolio scadente estratto con la tecnica del fracking, devastante a livello ambientale, ma a basso prezzo. Si rivolgono e ricattano le petromonarchie e impongono regole speculative: metti dentro questo mercato quantità enormi di petrolio e abbassa il prezzo.
E allora, qual è la prospettiva per l’autodeterminazione? Qual è la condizione economica del Venezuela? È brutta, certamente. Si sta cercando di uscirne? Sì. Si stanno sperimentando soluzioni? Tantissime, con creatività e coraggio. Come finirà? Torniamo al materialismo storico: dipende dai rapporti di forza che riusciamo a creare a livello locale e internazionale.
E noi siamo parte in causa. Se non organizziamo almeno una rete di solidarietà politica culturale a livello europeo, capace di ridare ossigeno a Cuba, al Venezuela e alla stessa Bolivia, l’aggressione dei poli geo-economici e delle multinazionali si farà più forte, diretta e più difficile da gestire.
C’è un argomento utilizzato dalle destre, ma anche dall’area del cosiddetto “chavismo critico” contro il “modello estrattivista”. Con la decisione di regolamentare lo sfruttamento dell’Arco Minero, Maduro starebbe svendendo il paese e l’eredità di Chávez.
Intanto, aboliamo queste categorie viziate del “chavismo critico”, del cambiamento radicale critico, e via discorrendo. Considerato che sono un marxista, penso che le critiche siano legittime ma all’interno del dibattito e dell’agire dei soggetti della transizione radicale e delle organizzazioni di movimento di massa. Quando attacchi i processi della trasformazione reale dall’esterno in una dinamica di critica fuori contesto, significa che sei già schierato con l’opposizione dei vecchi potentati oligarchici.
Tolta questa categoria, facciamo un dibattito serio e franco culturale, politico tra rivoluzionari. Ho parlato di errori di limiti e contraddizioni, ma che Maduro stia svendendo il paese è una bufala clamorosa. Ragionare in termini dell’agire moderato e contro-rivoluzionario e dei tradimenti, non ha mai funzionato. Ciò che realmente conta e incide è l’analisi dei processi, portati avanti da un soggetto rivoluzionario e dal quadro dirigente e dal popolo che si mette in movimento in maniera cosciente. Dove la categoria di popolo va intesa in termini gramsciani. E’ una categoria di classe, esprime la ricerca di egemonia, è la funzione di classe che guida il popolo. La parola popolo non va intesa in modo astratto, come quella di cittadino o di consumatore. Anche il grande imprenditore è un cittadino, non ha il diritto di cittadinanza? Ma il problema è la sua posizione di classe, il punto di partenza è l’estrazione del plusvalore e gli sfruttati che lottano per emanciparsi dalle sue catene. Perciò, le critiche devono partire da chi mette le mani nel processo di trasformazione reale e radicale e se le sporca. Anche sbagliando.
Nei tuoi libri hai tratto dall’ALBA molti spunti di riflessione, anche per questa disastrata e feroce Unione Europea dei forti. Perché?
Nel presente stato di cose, alla luce di quel che sta avvenendo, compresi i risultati delle ultime elezioni in Italia, ci tengo a mettere nero su bianco la seguente affermazione: la sinistra storica è socialmente e politicamente morta. D’altronde, io non sono solo un uomo della cosiddetta sinistra, ma un marxista nel pensare e nell’agire quotidiano. Dirò di più, tanto per farmi qualche altro nemico: il riformismo di maniera si è concluso. È arrivata alla fine anche quell’impostazione berlingueriana che ha zavorrato dall’interno alcuni partiti satelliti dell’ex Pci. Quel ciclo si è chiuso, ora bisogna rilanciare un’altra ipotesi. Non posso prevedere i tempi di questo rilancio, ma una proposta forte che, come Piattaforma Eurostop, noi portiamo anche all’interno di questa nuova formazione politica che è Potere al Popolo, è la rottura e l’uscita dalle gabbie dell’Unione Europea e l’uscita dall’euro. Bisogna che si sappia che questo non è un obiettivo delle destre, dei fascismi e dei nazionalismi, come La Lega o Casa Pound in Italia e fanno propaganda nazionalista in chiave razzista.
Noi, con un’impostazione e con principi di classe, riprendiamo il discorso che avevamo iniziato già dieci anni fa: quello dell’ALBA euro-afro mediterranea. Possiamo semplificarlo riferendoci a un’area di interessi di classe e di processo rivoluzionario euro-mediterraneo, che guarda con grande simpatia all’ALBA del Latinoamerica. Un processo di integrazione regionale in cui, pur con tutti i limiti, si è creata la Banca dell’ALBA, la Banca del Sur, si sono messe in campo le Misiones, mezzi di comunicazioni alternativi come Telesur, si è creato il Sucre, una moneta virtuale di compensazione per gli scambi interni, potenzialmente alternativa al dollaro.
Come si fa a non guardare a un’esperienza così importante? La storia ci ha insegnato che i modelli non si esportano, ma che si deve costruire il futuro anche guardando all’indietro: a quanti, seppur in contesti diversi, quei percorsi li hanno fatti.
Nei tanti libri che hai scritto, oggetto di studio e materia di riflessione militante, c’è una rivendicazione forte della storia, e dei processi rivoluzionari. Ècosì anche in questo ultimo sul Venezuela, che contiene un breve ma intenso saluto e ringraziamento del presidente Nicolas Maduro. Qual è il fulcro e il proposito di questo nuovo lavoro?
In questa Italia di censure, arroganza e dietrologie, tengo innanzitutto a dire che rivendico per intero la mia militanza, all’interno di un tentativo rivoluzionario che si è provato a concretizzare anche in Italia. Non tengo separato come fanno tanti il momento, delle rotture degli anni ‘70, e l’attività presente. Dico che ci sono momenti storici differenti in cui i soggetti del cambiamento radicale adattano la propria azione culturale e politica al contesto e ai rapporti di forza tra le classi. A scrivere questo libro, come gli altri, è un intellettuale collettivo. Riporto il dibattito della mia area politica sindacale e culturale, di cui mi faccio strumento. Un’organizzazione della classe del lavoro e del lavoro negato – non un vecchio e asfittico partito – di cui rivendico tutto il percorso, compresi i limiti e gli errori.
Questo libro si rivolge soprattutto ai giovani nel presentare una storia che parte da Bolivar e arriva fino a Maduro. Il soggetto portante è la resistenza del popolo bolivariano, una resistenza eroica, un popolo che si fa primo protagonista diretto in un processo rivoluzionario, sempre nell’accezione di classe. Raccontiamo che dietro Chávez, dietro il socialismo del o per il secolo 21, c’è una grande ideologia anticolonialista che poi diventa antimperialista e poi anticapitalista. È uno strumento che vogliamo lasciare ai giovani per contrapporsi alla fabbrica delle menzogne. Che la destra dica falsità, è da mettere in conto, e deve continuare a dirle, altrimenti che duro avversario di classe è? Ma quando a fare terrorismo mediatico è quella supposta sinistra che, pur essendo defunta, continua a vivere nella società e a far danni, dobbiamo immettere degli anticorpi.
Se parlano i rappresentanti delle destre, vengono ascoltati da milioni di persone perché vanno in televisione. Se parlano i corifei del centrosinistra, idem. Se parliamo noi, possiamo contare solo su dibattiti e presentazioni di libri in circuiti militanti e ciò nonostante tentano di azzerarci nel silenzio ma siamo sempre al nostro posto di battaglia, non possiamo e non vogliamo arrenderci.
L’area a cui tu appartieni partecipa ai movimenti femministi come quello di “Non una di meno”. Qual è la tua visione del conflitto di genere?
Ovviamente l’oppressione patriarcale precede quella capitalistica, il maschilismo, e la lotta per sottomettere il potere delle donne si annida anche nelle relazioni più coscienti. Tuttavia, la questione di genere è profondamente innervata a quella di classe. Nel capitalismo, le donne subiscono un doppio sfruttamento, di classe e di genere. Senza la lotta di classe, quella di genere diventa astratta, accademica, cenacolare e mostra anche i tratti neocoloniali di quel femminismo occidentale che libera spazio e tempo per le donne italiane emancipate a scapito del tempo di lavoro delle domestiche, delle badanti, che arrivano dal sud globale. Il punto, anche per noi marxisti rivoluzionari, è riconoscere quanto siamo intrisi di forme di maschilismo e lottare per liberarcene.
Anche in questo libro, continua il tuo lungo sodalizio politico con Rita Martufi, che è anche la tua compagna di vita. Quanto ha contato per te?
Ha contato... tutto. Non c’è cosa più idiota della frase che dice: dietro un grande uomo c’è una grande donna. Per noi non esiste la categoria donna e uomo, ma quella di rivoluzionari che si danno la mano, indipendentemente dal sesso. Per le contingenze della vita, Rita è anche mia moglie, ma quello che ci unisce è la stessa visione della vita, una comunità di intenti. Io non sono capace di scrivere senza Rita e neanche lei senza di me. Il nostro atteggiamento politico, intellettuale, sociale, umano è rimasto lo stesso di quando eravamo giovani, coraggiosi, combattenti come lo siamo oggi, colpiti da repressione e carcere già a inizio anni ’80, e continuiamo affrontando insieme quel che abbiamo deciso di fare come soggetti rivoluzionari nel cammino della transizione al socialismo.
Quel che conta è l’impronta che lasci in quella che Fidel chiamava la battaglia delle idee, è l’egemonia culturale, che in termini gramsciani non si misura sulla quantità, ma sulla qualità che riesci a esprimere.