E’ ORA DI AVVIARE LA CONTROTENDENZA
C’è qualcosa che non funziona. E’ dallo scoppio della crisi che giornali, organi di informazione, siti web e pletore di economisti scandiscono le nostre giornate con grida di allarme sullo stato non più sostenibile dei debiti “sovrani”, sulla crescita dello spread nei confronti del Bund, sulla necessità immediata di rassicurare i “mercati”.
L’ennesima ultima scadenza a livello europeo per assumere decisioni politiche adeguate e decisive è stata fissata per il prossimo 9 dicembre, giorno nel quale si incontreranno i leader europei. In assenza di un accordo, viene avvertito, l’euro andrà in pezzi e si spaccherà l’intera eurozona.
Si sa però che sulle ricette da preparare per la tavola dei sudditi europei, le idee cambiano di giorno in giorno e sono spesso largamente discordanti.
Ogni giorno rimbalzano notizie su “piani segreti” di trama tedesca, su Europa a due o tre velocità, su vie di fuga di singoli o gruppi di paesi.
L’ultimo allarme è stato suonato dalle autorità finanziarie britanniche che stanno predisponendo piani di emergenza di fronte alla possibilità di un default o di una rottura dell'eurozona e altrettanto si predispone a fare la banca d'affari americana Goldman Sachs.
L’ipotesi Eurobond osteggiata da Berlino si fa sempre più remota, il fondo salva-Stati Efsf, dotato di 400 miliardi di euro, di cui molti già impegnati per la Grecia, non basterebbe in caso di necessità per Paesi più grandi come Italia e Spagna, e in campo potrebbe entrare, le smentite rafforzano l’ipotesi, il Fondo Monetario Internazionale con un prestito di migliaia di miliardi per l’Italia e altri paesi.
In ogni caso bisogna far presto, dicono tutti. Anche il Capo dello Stato Napolitano, ha ammonito che è necessario uno “sforzo politico, sociale e morale” per scongiurare il default.
Non è la prima volta che il primo tra i “grandi elettori” nostrani del tecnocrate Monti rivolge questo appello, in piena sintonia con i poteri forti europei. Il problema però è che nel frattempo di cose ne sono successe e poco hanno a che fare con la moralità degli sforzi politici e sociali.
Ciò che sta avvenendo è una guerra economica, monetaria e finanziaria dentro al polo imperialista europeo e nella competizione globale con gli USA e i paesi emergenti, che per quanto riguarda l’Europa ha già disegnato nuove gerarchie, declassando l’intera area mediterranea e non solo.
A questo si accompagna o meglio questo è determinato da un processo di profonda involuzione politica.
Come scrive James Petras *, in un recente saggio (Il nuovo autoritarismo: dalle democrazie in decomposizione alle dittature tecnocratiche, e oltre.), siamo in “un periodo in cui sono in piena accelerazione grandi trasformazioni politiche e l'arretramento drammatico di norme legislative di natura socio-economica introdotte un mezzo secolo fa… gli importanti cambiamenti di regime in corso hanno un profondo impatto sui modi di governare, sulle strutture di classe, sulle istituzioni economiche, sulla libertà politica e la sovranità nazionale.
Viene individuato un processo in due fasi di regressione politica.
La prima fase prevede il passaggio da una democrazia in disfacimento ad una democrazia oligarchica; la seconda fase, attualmente in atto in Europa, coinvolge il passaggio dalla democrazia oligarchica ad una dittatura colonial-tecnocratica”.
Effettivamente l’evoluzione dei processi in corso potrebbe segnare il destino della moneta unica del vecchio continente e cambiare anche in modo sostanziale gli attuali assetti e alleanze politiche, ma per far questo non bastano le cessioni di sovranità già in atto in Italia ed in Grecia, ma serve senza perdere altro tempo la costruzione di un’entità politica sovrannazionale che sia in grado di assumere il comando e senza mediazioni.
C’è però qualcosa, come dicevamo all’inizio, che non funziona nel senso che vorrebbero lor signori, e che crediamo possa rompere le uova nel paniere.
Ieri in Inghilterra due milioni di lavoratori pubblici hanno bloccato il paese per difendere il proprio sistema pensionistico. Dopo il grande sciopero generale in Portogallo, i lavoratori greci hanno paralizzato il loro paese con uno sciopero generale di 24 ore e dal palco di piazza Omonia al loro fianco ha preso la parola Pierpaolo Leonardi dell’USB, che ha raccolto l’invito del PAME a rilanciare la lotta dei lavoratori europei contro il massacro sociale imposto dal capitalismo “tecnocratico” della troika (UE, BCE,FMI).
Siamo pronti a scommettere che anche i lavoratori italiani, una volta terminata la “sbronza” per essersi liberati, si fa per dire, di Berlusconi e appurato che la brace non è meglio della padella, sapranno dare il loro contributo al conflitto di classe in corso, unica via per dire basta alla guerra scatenata dalla crisi strutturale del putrescente sistema capitalista.
* Professore emerito di sociologia all’università Binghamton di New York e collaboratore di Global Research.
A cura della Commissione internazionale della Rete dei Comunisti
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“Il capitalismo non ha oggi nessuna possibilità di uscire da questa crisi globale, per la natura strutturale e sistemica della stessa, peggiore di quella del 1929”. Così ha affermato in un’intervista con Prensa Latina, il professore italiano Luciano Vasapollo, dell'Università La Sapienza, di Roma, che ha partecipato all’XI Incontro Internazionale di Economa “Globalizzazione e Problemi dello Sviluppo”, effettuato recentemente a L'Avana con la presenza di professionisti provenienti da circa 50 paesi.
“Per la prima volta nella storia si tratta di una combinazione di crisi economica, finanziaria, energetica, alimentare, ambientale, dei diritti civili umani”, aggiungeva l'accademico, appartenente inoltre al Centro di Studio di Trasformazione Sociale dell'Italia, direttore scientifico della Rivista Proteo e che ha pubblicato 37 libri in Italia ed altre nazioni.
“Questo dimostra che il modo di produzione capitalista, nelle sue diverse forme, è incapace di risolvere i problemi dell'Umanità”, condannava chi ha partecipato a 10 degli 11 eventi annuali di questo tipo effettuati in questa isola, con la quale ha da più di tre decadi strette relazioni di carattere culturale, politico ed accademico.
Vasapollo ha esposto nel forum la sua interpretazione dell'attuale crisi che ha elaborato mediante l'applicazione della scienza marxista come attrezzo di analisi, e le cui categorie – ha considerato - sono pienamente attuali per esaminare questo fenomeno.
Argomentando la sua risposta al giornalista, ha fatto l’esempio con la privatizzazione, che stata sponsorizzata dal Consenso di Washington e poi non ha funzionato, e la prova di tutto ciò è che oggi i difensori del neoliberalismo stanno dicendo che è necessario il ruolo dello Stato per superare l'attuale situazione.
A giudizio di Vasapollo, la presente debacle strutturale del sistema che ha le sue principali manifestazioni nella sovrapproduzione, nel sottoconsumo e nella caduta della domanda, abbraccia più di tre decadi ed ha acquisito la dimensione attuale con l'esplosione della bolla speculativa.
“Dagli accordi di Bretton Woods il capitalismo diretto dagli Stati Uniti ha cercato di controllare e superare il fenomeno, e per farlo ha utilizzato il keynesianismo militare, l'economia di guerra, le privatizzazioni, le iniezioni finanziarie, e l'attacco contro i diritti dei lavoratori per cercare di ridurre i costi”, ha affermato il professore universitario.
Il keynesianismo sociale non è marxismo
Giornalista: Ultimamente le autorità e gli esperti statunitensi ed europei suggeriscono ogni volta con più frequenza un ruolo diretto dello Stato per contenere la crisi, perfino si parla di nazionalizzare le banche. Lei considera che il ritorno a delle misure keynesiane può contribuire all'uscita dalla crisi?
Vasapollo: Credo di no. Il keynesianismo sociale non è marxismo, come pensano molti in Europa. È un'ipotesi di uscita dall'attuale debacle dentro lo stesso modello capitalista.
Col marxismo sì, si può tentare questa meta, e per questo, è necessario partire dalla realtà economica esistente e creare la soggettività politica, al fine di trasformare la crisi in una grande opportunità per il movimento comunista e progressista in generale.
Questa crisi, di natura sistemica, rivela che è necessario un altro mondo, un altro modello che sia giusto, cosa che non vuole significare che il socialismo sopraggiunge di punto in bianco, c’è la possibilità di una soluzione reazionaria, come quella che ha condotto al fascismo nel secolo XX.
Il capitalismo non sparisce da solo. Si richiede la coniugazione soggettiva con la determinazione obiettiva ed il movimento di lotta di classe, per poter ottenere questa trasformazione.
Dal monopolarismo al multipolarismo
Lei crede che questa crisi possa dare il colpo finale al modello neoliberale, il cui fallimento è riconosciuto da molti?
Penso che con questa crisi termina il neoliberalismo e l'egemonia monopolare degli Stati Uniti.
È sicuro che si passerà ad una fase multipolare, ma attenzione: questo modo di produzione vigente ha la possibilità di applicare altre forme di capitalismo, sia di tipo selvaggio, moderato, sociale, il keynesianismo, o altri, e pertanto di sopravvivere, se non si creano le condizioni menzionate per sradicarlo.
La storia non è lineare
Secondo l'accademico, la storia, a differenza di come alcuni credono, non è un movimento lineare, ma ha forti rotture, perché le condizioni possano cambiare in un momento con un’azione cosciente, a partire dalla lotta di classe.
“Devo dire che se si guarda l’Europa come un processo lineare, in Italia, per esempio, si potrà parlare di socialismo - e non agire per trasformarlo in realtà - da qui a 400 anni o più”.
Attualmente – ha aggiunto - in America Latina ci sono buone condizioni per un cambiamento, non dico immediato, verso il socialismo, ma sì per movimenti progressisti, di autodeterminazione, di processi di integrazione, come sta succedendo.
Il marxismo non è un dogma: È una scienza che studia non solo l'attività produttiva degli uomini, ma anche le sue relazioni sociali.
Per questo motivo dobbiamo partecipare in tutti gli ambiti della lotta, che siano culturali, scientifici, economici, politici, e nella lotta stessa, perché non esiste un intellettuale marxista, bensì un intellettuale militante.
Molti di tutti questi argomenti possono apprezzarsi in uno dei miei libri che sta uscendo qui a Cuba, il Trattato di Economia Applicata, che si è pubblicato due anni fa in Italia, e lo sta traducendo la casa editrice di Educazione Superiore, trasformato in tre volumi in spagnolo, uno di questi si è presentato nel congresso di Globalizzazione, mentre i restanti vedranno la luce in settembre.
Per me costituisce non solo un onore, ma anche una grande responsabilità, non solo perché si destinerà a tutte le Facoltà di Economia di Cuba, ed alla formazione di quadri e funzionari del Ministero di Economia e Pianificazione (MEP), bensì perché sono appena stato nominato Membro di Onore del Centro di Studi di questo organismo.
Questo significa che la mia relazione con questa isola si intensifica, poiché dovrò venire molte volte per dei corsi universitari ed altri compiti.
Vasapollo, che è anche Membro di Onore dell'ANEC, ostenta la Medaglia della Cultura Cubana, ed è Professore Invitato ed Emerito delle Università di Pinar del Rio e L'Avana, nelle quali ha impartito classi, mentre sette delle sue opere sono state tradotte sull’isola.
*l’autore è un giornalista di Prensa Latina-traduzione di Ida Garberi