22/11/2011
In un lungo articolo intitolato “Il secolo Pacifico dell'America”, recentemente pubblicato sulla rivista Foreign Policy, la segretaria di Stato americana Hillary Clinton delinea la strategia americana del dopo Iraq e Afghanistan: riportare l'Asia al centro della strategia americana, e rafforzare la presenza economico-militare statunitense nella regione che vale almeno metà della crescita mondiale. Dopo il dislocamento di militari in Australia e il rafforzamento della cooperazione militare con le Filippine, la partecipazione di Obama al vertice di novembre dell'Asean completa i tasselli della strategia americana illustrata dalla Clinton.
Essa si basa sulla speranza di aumentare le esportazioni americane nell'area – Obama ha detto di volerle raddoppiare in 5 anni – agganciando gli Usa alla crescita della regione, e su un rinnovato impegno militare.
La domanda è saranno in grado gli Usa di farlo?
Con un economia in difficoltà e con impegni militari in Medioriente ed in Afghanistan ancora aperti, che gli Usa ritornino gendarme asiatico e impongano ai paesi della regione un aumento delle loro esportazioni nel breve periodo sa tanto di strategia elettorale più che di impegno concretamente realizzabile.
2500 marines in Australia - di cui subito solo 250 - sono dopotutto una cifra risibile e di fronte alle proposte cinesi di prestiti ai paesi dell'Asean per 30 milardi di dollari e alla già forte integrazione economica della regione attorno alla Cina, sul piano dell'economia gli accordi bilaterali con la Corea del Sud per l'eliminazione delle tariffe doganali ancora esistenti con gli Stati Uniti sanno tanto di topolino che cerca di mettere paura all'elefante.
Anche se nell'articolo programmatico la Clinton pensa di fare affidamento su Giappone, Corea del sud, Australia, Filippine e Thailandia(molti dei quali hanno come primo partner commerciale proprio la Cina) come base della politica americana di ritorno in Asia, essa si basa sull'apporto alla strategia statunitense di paesi come l'India, con il recentemente paventato aumento di truppe ai confini con la Cina, e l'Indonesia, che ha recentemente firmato un maxi accordo da 22 miliardi di dollari per la fornitura di aerei Boeing alla più grande compagnia Indonesiana, la Lion Air.
Da parte loro i cinesi, apparentemente il target non dichiarato di questo cambio di strategia, dopo decenni di espansione della loro influenza nella regione, non sembrano molto preoccupati: già a inizio anno per bocca del vice ministro degli esteri Cui Tiankai avevano dichiarato che “circondare la Cina è impossibile”, e oggi secondo Ding Gang, sulla versione estera del Quotidiano del Popolo, si sostiene che“l'Asia non ha tempo per i giochi con gli Stati Uniti”: il commercio tra Cina, Giappone e Corea del Sud da e verso i paesi dell'Asean è aumentato di 37 volte in 20 anni e continua ad aumentare, sancendo un'integrazione economica dell'area oramai irreversibile rispetto alla quale l'azione americana risulta fuori tempo massimo. Solo il commercio cinese nei confronti dell'Asean è ulteriormente aumentato del 26 percento nei primi 7 mesi dell'anno. Sempre secondo Ding Gang, “Se i paesi asiatici non riducono la loro dipendenza dall'economia occidentale, l'area potrebbe diventare un area alluvionata ad ogni tempesta finanziaria”, e se gli Stati Uniti intendono giocare un ruolo costruttivo e pacifico in Asia lo facciano, basandosi innanzitutto sulla loro economia più che sulle esportazioni nell'area. “Se invece gli Usa intendono solo rafforzare la loro posizione dominante attraverso una strategia di calcolo, nessun paese asiatico avrà tempo di mettersi a giocare con loro al vecchio gioco del poker”.
Come a dire: se fate affidamento sulla nostra crescita e quella dell'area per riprendervi dalla crisi, fanfare a parte, almeno prima di entrare toglietevi il cappello.
Nota :
Degli stessi elementi di fondo richiamati dalla Clinton come base della superiorità del modello americano anche nel nuovo secolo: l'esercito più forte, la più grande economia, i lavoratori più produttivi del mondo, pare ormai sopravvivere solo il primo, che scricchiola quanto a sostenibilità delle spese militari sotto il crollo dei secondi due. Secondo alcuni calcoli relativi al valore reale dell'economia infatti, quella cinese avrebbe già superato l'economia americana facendo del paese la prima potenza economica mondiale già a fine decennio. Per non parlare della produttività dei lavoratori in settori fondamentali in cui gli Usa hanno ormai deindustrializzato.
Fonti:
http://www.foreignpolicy.com/articles/2011/10/11/americas_pacific_century?page=full
http://english.peopledaily.com.cn/90778/7651109.html
http://english.peopledaily.com.cn/90883/7651434.html
http://english.peopledaily.com.cn/90780/7651600.html
A cura della Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti
Germania, Francia e Inghilterra: le tensioni nel cuore dell’Euro zona
I negoziati, gli incontri, le tensioni, i “piani segreti”, stanno caratterizzando i rapporti quotidiani e permanenti tra i paesi centrali dell’Euro zona.
Il problema è che la crisi sistemica, che continua ad essere spacciata per “crisi del debito” non si arresta, e dopo aver investito Grecia, Portogallo, Irlanda, Italia e Spagna, minaccia ora anche i Paesi a tripla A dell'area euro come la Francia. Anche l’asse Parigi-Berlino, architrave del polo imperialista europeo, comincia a scricchiolare.
Berlino, ma ancor più la Bundesbank, respingono l'ipotesi che sarà la Bce a farsi «prestatore di ultima istanza» stampando moneta per comprare il debito del resto dell’Euro-polo.
Si torna a parlare degli eurobond, anche se le crescenti difficoltà della Francia, per non parlare degli Stati già declassati, mettono una seria ipoteca sul progetto. E prende quota anche l’ipotesi di un tandem Bce-Fmi per fornire un maxi-prestito, che l’attuale fondo salva-Stati non è in grado di garantire.
Circola anche un’altra ipostesi che viene definita azzardata e che vedrebbe, per far fronte alla crisi, i Paesi a “tripla A” dotarsi di «bond comuni», sapendo però che la misura sarebbe il preludio a una spaccatura dell'euro.
Ci sarebbe infine un piano segreto della Germania, rivelato dal Daily Telegraph per la creazione di un Fondo Monetario Europeo in grado di sostituirsi alla sovranità degli Stati membri in difficoltà. Il piano divulgato, scritto dagli uffici del ministro degli Esteri tedesco, rivela studi avanzati per una nuova istituzione europea, che sarebbe in grado di subentrare alle economie delle nazioni problematiche dell’eurozona.
Il fondo avrà il potere di portare i paesi in sofferenza verso l’amministrazione controllata per gestire le loro economie. Il documento, intitolato “Il futuro dell’UE: le migliorie alle politiche di integrazione richieste per la creazione di un’Unione di Stabilità”, dichiara che le modifiche al trattato sono in una prima fase “in cui l’UE potrà trasformarsi in un’unione politica”. “Il dibattito sul modo di arrivare a un’unione politica deve iniziare appena verrà fissato il percorso verso l’unione di stabilità”.
Ma lo scontro nell’Euro-zona non è tanto sulle “cure” da infliggere ai PIIGS, paesi che cominciano ad essere giudicati complessivamente troppo grandi per essere salvati, e per i quali non è affatto esclusa l’ipotesi della bancarotta, ma sul fatto che la bancarotta si estenderebbe a quel punto inevitabilmente all’intera Europa.
In Francia ad esempio, l’UE sia pure sotto il segno di Sarkozy e Merkel, comincia a piacere sempre meno, e riprende quota il mai sopito sentimento nazionalista. In un recente sondaggio il 48% delle risposte indica che le persone intervistate sono “stufe” della situazione economica della Francia, mentre il 30% afferma di essere “rassegnato”. Solo il 14 per cento ha fiducia o è entusiasta.
La categoria sociale dove predomina il sentimento di rivolta è quella degli operai (il 64%), seguiti degli artigiani e dai piccoli commercianti (il 55%) e dagli impiegati (il 52%). Il sentimento di rivolta è più debole nelle libere professioni e tra gli alti dirigenti, ma raggiunge comunque il 36%.
La schiacciante maggioranza dei francesi ritiene che l'apertura dell'economia ha avuto conseguenze nefaste ed infine la gran parte delle persone intervistate ritiene che l'Europa debba ripristinare politiche protezioniste (80%). Ma, nel caso ci fosse un rifiuto dei partner europei di acconsentire a queste iniziative, il 57% degli intervistati ha risposto che la Francia dovrebbe proseguire da sola.
Le cose non vanno meglio dall’altra parte della Manica. In un recente incontro con la cancelliera tedesca, seguito a settimane di polemiche tra i due paesi, il leader britannico David Cameron ha ribadito la sua fiducia nella capacità dell'eurozona di trovare una via d'uscita alla crisi del debito e ha dovuto dire che l'impegno della Germania per salvare l'euro ''è anche nell'interesse della Gran Bretagna''. Ma sul come, le distanze restano tutte. Cameron ha infatti chiesto con forza che la BCE sia utilizzata come un ''grande bazooka'' per difendere l'euro, potendo comprare titoli del debito pubblico su vasta scala e diventare acquirente di ultima istanza per gli stati in crisi, possibilità alla quale Berlino si oppone fermamente.
Ma è la stessa Germania, ad oggi indiscussa “titolare” dell’UEM, a non essere più sicura del proprio futuro. Jean-Claude Juncker, capo dell’Eurogruppo, ha ammonito che la Germania non è più un porto sicuro avendo un debito pari all’82 per cento del PIL. "Penso che il livello del debito tedesco sia preoccupante. La Germania ha più debiti della Spagna", ha detto. "È comodo dire che le nazioni meridionali sono pigre e che i tedeschi sono gran lavoratori, ma le cose non stanno così,"
Ed è ancora il Telegraph ad informare che gli investitori asiatici e le banche centrali hanno cominciato a vendere i bond tedeschi e a ritirarsi da tutta l’eurozona per la prima volta dall’inizio della crisi, ritenendo i dirigenti dell’UE incapaci di accordarsi su politiche coerenti.
E infine, "La domanda che tutti si fanno nei mercati del debito è se mollare la Germania. La Banca Centrale Europea ha un bilancio di 2 trilioni di euro e, se l’eurozona dovesse scivolare nell’abisso, la Germania ne subirà le conseguenze. Siamo davvero vicini al punto in cui i mercati si muoveranno in questa direzione, o forse già ci siamo", ha detto Andrew Roberts, responsabile dei tassi alla Royal Bank of Scotland.
In conclusione, e per tornare ai destini di noialtri PIIGS, ci sembra che le strategie che i poteri forti europei stanno dibattendo unite alle politiche sociali devastanti attuate dai governi del sud Europa posti sotto commissariamento dalla Troika (UE, BCE, FMI), rafforzino le nostre convinzioni.
Prima di essere cacciati e comunque sbriciolati economicamente dopo che è stata cancellata la sovranità dei paesi, rilanciamo con forza le lotte dei lavoratori e costruiamo l’uscita dei PIIGS dall’Unione Economica Monetaria, perchè come è stato scritto si può anche vivere da “maiali”, ma non essere tritati come mortadella.
Commissione internazionale della Rete dei Comunisti
L’UNIONE EUROPEA regala un impianto di desalinizzazione all’occupazione israeliana
Written by nuestra america
Mentre Israele e la comunità continuano ad imporre pesanti restrizioni economiche ai palestinesi in Cis Giordania e a Gaza, Israele riceve 120 milioni euro dalla Banca europea di investimenti per la costruzione di un impianto di desalinizzazione ad Ashod . Come sempre nella Palestina occupata la giustizia ed il suo contrario camminano una in faccia all’altro. La popolazione di Gaza vive tuttora sotto l’embargo imposto da Israele e sostenuto dalla comunità internazionale e non ha diritto ad importare tecnologia e meno che mai desalinatori, mentre l’UE non trova di meglio da fare che regalare fondi per un desalinatore ad un paese occupante che per di più produce disastri ambientali. In seguito all’intenso sfruttamento delle risorse idriche effettuato per decenni dai coloni israeliani Gaza ha le falde acquifere infiltrate dall’acqua salmastra . Nonostante lo stillicidio di crimini, d’ingiustizie, di risoluzioni calpestate, anziché ricevere sanzioni l’occupazione israeliana, riceve compensi e premi ad ogni tappa . E’ come se la comunità “internazionale”, o meglio gli USA e l’UE staccassero un assegno al manutentore del progetto coloniale al raggiungimento di una determinata milestone .
Se ci sono dei fondi per l’acqua chi più dell’assetata terra di Palestina ne avrebbe diritto ?
La divisione dell’acqua secondo i principi che ispirano la democrazia sionista lasciano ai palestinesi 100 metri cubi d’acqua a cranio, mentre ad un israeliano per preminenza sociale ne spettano tra i 400 ed i 1500. Nonostante l’economia palestinese sia ancora fortemente agricola e l’agricoltura israeliana tocca solo il 2% del PIL, nelle terre dei nativi palestinesi arriva solo 5 % di
acqua contro il 70% che spetta ai figli delle colonie .
La Banca di investimenti europea ha siglato il contratto con la Banca Hapoalim, che poi prestera' i fondi alla Ashdod Desalination Ltd, una controllata di Mekrot Development and Enterprise Ltd.. Qui l’arbitrio ride in faccia ai palestinesi, e già perché l’accesso all’acqua viene per loro deciso appunto dalla società idrica Mekrot. Sempre questa combriccola di tagliagole in giacca e cravatta rivende a prezzo maggiorato ai palestinesi l’acqua pompata via dalle loro terre sotto occupazione israeliana. Giustamente un evangelico sudafricano nel film “Hebron This is may land “ sentenziava inorridito questo è peggio dell’apartheid degli Afrikaner !
Lo scempio della giustizia sembra essere l’attività preferita degli amministratori israeliani, infatti non solo hanno pompato acqua salata dal Lago di Tiberiade dentro il Giordano inquinandolo ai palestinesi, ma poi hanno presentato il progetto per farsi finanziare dall’Unione Europea l’impianto di desalinizzazione di Ashdod !
Ashod una cittadina portuale di 200 mila anime, rifugio della marina militare israeliana dopo l’arrembaggio alla Freedom Flottilla, è sorta sulle ceneri del villaggio Palestinese di Isdud (سدود) distretto di Gaza, raso al suolo ed etnicamente ripulito 23.052 giorni fa dalle milizie sioniste .
Che perle di orrore è capace di regalare la piccola colonia israeliana in appena 70 anni di storia.
L’acqua è un elemento della pulizia etnica, togliere l’acqua, la terra, il lavoro per costringere i palestinesi ad andarsene.
Un ultima ma efficace annotazione ce la regala l’articolista di ANSA med ……. “L'arrivo di questa nuova struttura avra' un impatto diretto sulla vita quotidiana dei cittadini: la miscela di acqua dissalata con quella fresca potabile del sistema di approvigionamento nazionale migliorera' la qualita' dell'acqua fornita ai consumatori, riducendo la durezza e la concentrazione di sali, nitrati e boro” …..per quanti ancora negano la natura egemonica dell’Unione Europea e la sua osmosi con il progetto coloniale e suprematista del sionismo .
A cura del Forum Palestina
(ANSAmed)
(sintesi di un resoconto del prof. Danilo Zolo della conferenza sull’’acqua a Ramallah,maggio 2005)
http://www.palestineremembered.com
Il vero asse del Male
Written by nuestra america
La strategia americana di ritorno in Asia orientale annunciata negli scorsi mesi da Hillary Clinton e sulla quale ci siamo soffermati in un recente articolo, oltre ad essere stata analizzata in quanto tale, ovvero come riposizionamento asiatico delle priorità statunitensi, suscita una riflessione da parte nostra di più ampio respiro.
Se vista infatti nell'ambito delle vicende decennali dall'undici settembre 2001, o ventennali dal crollo dell'Unione Sovietica, essa delinea l'ultimo tassello di una strategia americana volta non solo ad un riposizionamento tattico dopo le esperienze di guerra in Iraq e Afghanistan, ma completa una strategia alla quale probabilmente gli Usa lavorano da più di vent'anni.
Il controllo del continente euroasiatico ne sembra l'obiettivo non dichiarato.
Ebbene l'idea che la guerra al terrorismo islamico, le guerre in Libia e la destabilizzazione della Siria, l'aumento della pressione su Iran e Corea del Nord, nonché l'attuale riposizionamento americano in chiave anticinese nel continente asiatico, siano pezzi sostanzialmente separati di una strategia guidata solamente da esigenze regionali non appare credibile ai nostri occhi. Da qui tuttavia non discenderebbe automaticamente il contrario, ovvero che siano parte di una strategia definita in un periodo di tempo che comprende al suo interno le amministrazioni di Bush padre, Clinton, Bush Junior e di Obama, e di cui la guerra al terrorismo islamico è stata sostanzialmente un elemento di distrazione ideologica.
Se tuttavia guardiamo ai passi compiuti dagli statunitensi in questi anni il quadro appare più chiaro: tali guerre sono state scatenate contro due paesi di un asse del male che al di là dei soli paesi inclusi dagli americani nella sua definizione formale - Iran, Iraq, Corea del Nord, comprende nella realtà un'area territoriale senza soluzione di continuità che include oltre a questi paesi la Cina, la Russia, la Siria e il Libano, che si sviluppa dalle coste del Mediterraneo a quelle del Pacifico.
E' questo il vero asse del male per gli americani.
Si tratta di un blocco di paesi e di sistemi economico-sociali e politico-culturali profondamente diversi tra loro che pur non rappresentando un'area omogenea, occupa una posizione che gli consente di mettere una seria ipoteca sul progetto americano di controllo dell'Eurasia, basato sull' impiando di petromonarchie/borghesie compradore sul modello saudita.
Le guerre scatenate in seguito appaiono un tentativo di erodere questo blocco a partire dall'aggressione dei suoi anelli più deboli, e la strategia va avanti almeno dai tempi della prima guerra del Golfo.
La guerra in Iraq ha impiantato un cuneo militare statunitense tra la Siria e l'Iran, danneggiando i collegamenti con la Siria e accerchiandola completamente, e quella in Afghanistan ha stabilito truppe e basi americane a Occidente del confine iraniano, con l'obiettivo di circondare l'Iran da est e da ovest e di stabilire un punto da cui controllare le zone ex sovietiche dell'Asia centrale.
Nonostante gli alti costi materiali e le morti tra le truppe di occupazione occidentale, queste guerre hanno infatti raggiunto almeno alcuni dei loro obiettivi: hanno sostituito due regimi anti americani con regimi fantoccio composti da borghesie compradore asservite agli interessi degli Usa, occupato territori strategici per il controllo del petrolio in Medioriente e del gas in Asia, e interrotto la continuità di un blocco che avrebbe potuto anche solo potenzialmente, costituire un ostacolo ai progetti americani di controllo del continente.
La crisi economica capitalista è insieme prodotto e causa di accelerazione di tale disegno, e probabilmente attaccare gli anelli deboli della catena, compresa anche la Libia, o il Sudan – vedi vicenda del Darfur e finanziamenti ai gruppi cristiani del Sud del paese fino all'indipendenza, oltre ad Iraq ed Afghanistan, ha come obiettivo finale il contenimento della crescita cinese, in parte dipendente dalle esportazioni di materie prime dalla regione. E' anche in questo senso che va letta la forte spinta interna alla rivoluzione dell'industria verde ecocompatibile della Cina, come modo per tentare di affrancarsi dalle importazioni petrolifere di cui gli americani controllano le fonti, ma si tratta di un processo che richiederà ancora molto tempo per essere realizzato.
Mentre i venti di guerra che spirano in tutto il mondo, Asia compresa, con il recente aumento di pressione sulla Corea del Nord tramite esercitazioni militari e la possibile creazione di una Nato dell'Asia Orientale come teorizzato da anni da alcuni think tank americani, ci dicono che questa strategia è già in pieno dispiegamento.
Stiamo assistendo ad una guerra mondiale asimmetrica o ad una nuova guerra fredda, di cui la crisi economica ha messo in evidenza e fatto saltare i nervi scoperti? Il ricompattamento tra Usa e India – che fa passare in secondo piano il momento caldo delle relazioni Usa Pakistan seguito agli attacchi americani contro le postazioni dell'esercito pakistano, e il tentativo di riallineare perfino la Birmania-Myanmar all'asse occidentale – vedi visita della Clinton, sono tutti elementi di questa preoccupante strategia che fa il pari con la costruzione di nuove basi Usa in Australia, il rinnovo della cooperazione militare con le Filippine, oltreché le citate esercitazioni militari con la Corea del Sud e il via libera al riarmo del Giappone.
L'obiettivo è quello di mettere a frutto le ricchezze naturali e la manodopera di questi paesi nel tentativo di uscire dalla crisi economica capitalistica mondiale, il cui presupposto è il rovesciamento interno di tali regimi sul modello delle rivoluzioni colorate, e nel caso dei paesi più piccoli e più vulnerabili, sul modello libico-afghano di appoggio militare ad una guerra civile incoraggiata da pressioni esterne.
Il gruppo di paesi cui facciamo riferimento ha da anni intessuto relazioni anche con i paesi del continente africano e dell'America Latina, il che ne ha accresciuto la pericolosità agli occhi degli strateghi dell'Occidente, basti pensare ad i rapporti tra Cina ed Iran e Cuba, Venezuela, Ecuador, Congo, Zimbabwe, il citato Sudan ed altri. In particolare l'aumento delle esportazioni africane di materie prime verso il paese fabbrica del mondo ha messo in allarme le cancellerie occidentali e i prestiti cinesi ai paesi Africani hanno fortemente ridimensionato ruolo di pressione del Fondo Monetario Internazionale nel continente.
Il ruolo della Russia e dei Brics in questo senso non è poi secondario: il progetto americano mira a erodere il network economico e commerciale di questi paesi con i paesi dell'America Latina, dell'Africa e del Medioriente, in modo da indebolirli e, nel caso di Russia e Cina, preparare un assalto finale ai loro regimi economici e politici.
In particolare nei confronti della Cina, il riposizionamento strategico americano in Australia consentirebbe in un futuro non molto lontano agli americani, di tentare un blocco dello stretto di Malacca, che unitamente alla chiusura della finestra birmana sull'oceano indiano potrebbe paralizzare i traffici di materie prime e merci da e verso la Cina e l'Europa, primo partner commerciale del paese asiatico.
Per quanto riguarda il suo alleato strategico, la Russia, se guardiamo all'attacco espresso dalla Clinton al regime putiniano uscito di poco vincitore dalle elezioni politiche di inizio mese in Russia, dove i comunisti che raddoppiano i voti fanno sempre più riferimento al modello cinese, mentre le navi russe attraccano ai porti siriani, risulta ancora più evidente come gli americani vogliano farla finita con il regime di Putin per riportare la Russia ad una condizione eltsiniana di asservimento e ritrasformare il paese in un mero esportatore di materie prime. Per fare questo occorre utilizzare le spaccature interne a tutti questi paesi che pure esistono, ed utilizzare la strategia del cuneo per aprire sempre di più contraddizioni interne fino a destabilizzarli completamente. In Russia ed in Siria in particolare questi cunei sono di rispettivamente di natura economico-sociale, ed etnico-religiosa. In particolare in Russia il regime putiniano non è stato in grado di garantire uno sviluppo economico sociale per la grande maggioranza della popolazione e le offerte iraniane alla Siria di entrare nel network finanziario sino-iraniano per emanciparsi dalle banche occidentali - ed il possibile congelamento degli assets come nel caso libico, oltre ai citati scambi militari con la marina russa, sembrano indicare che sulla partita della Siria si siano concentrate e si stiano affrontando l'area occidentale e i paesi di questo neonato blocco in formazione. In questo senso si è arrivati ad un'internazionalizzazione della crisi pur evitando finora risoluzioni di condanna della Siria in sede Onu, difesa da Russia e Cina, a differenza di quanto avvenuto per la guerra in Libia. Vedremo quale delle due aree e blocchi riuscirà a d avere la meglio in questa partita. Se questo porterà ad un ulteriore rafforzamento delle alleanze da noi evidenziate nel blocco asiatico oppure alla perdita di “pezzi”e al riallineamento all'Occidente. Sicuramente la sostituzione delle classi dirigenti di questi paesi con borghesie compradore legate mani e piedi ai diktat occidentali, sul progetto del Grande Medioriente, non sarà motivo di emancipazione dei popoli e delle classi lavoratrici di questi paesi. Anzi la capacità di redistribuzione interna della ricchezza in questi paesi, come nel caso della distribuzione delle rendite del petrolio alla popolazione avvenuto in parte in Iran, e una crescita economica altrettanto elevata ma più equilibrata nel caso della Cina ma soprattutto della Russia, potrebbero essere elementi di rafforzamento del consenso interno a questi paesi e giocare un ruolo importante proprio nel confronto attualmente in corso.
A cura della Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti.
Fonti:
http://www.foreignpolicy.com/articles/2011/10/11/americas_pacific_century
http://www.korea-dpr.com/users/italy/page19/files/58519bf121a732ea99d40d8816a75fd8-205.html
http://www.korea-dpr.com/users/italy/page19/files/fc23ecae0605a419278a93d789718974-201.html
http://www.korea-dpr.com/users/italy/page19/files/269f0e68d537835f84e05829445d7f58-199.html
http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=20425
http://www.lettera43.it/attualita/32850/cina-usa-la-birmania-contesa.htm
http://www.globaltimes.cn/NEWS/tabid/99/ID/686292/US-moves-test-China-Myanmar-ties.aspx