Il circolo delle Jene
Written by nuestra america
La Santa Alleanza tra petro-monarchie e imperialisti europei e statunitensi ridisegna il mediterraneo e aggiorna il progetto del Grande Medio Oriente
In questo scorcio di secolo l’egemonia degli USA non è più scontata e le difficoltà del polo imperialista europeo non fanno che aumentare il livello di competizione tra i poli imperialisti. Questi elementi oggettivi, calati nel contesto della crisi sistemica del capitalismo, non fanno altro che aumentare la tendenza alla guerra e alla rapina per le risorse economiche. In questo contesto di competizione si sono affacciate le petromonarchie e la Turchia, che in questa area, come dire, giocano in casa.
Nel caso dei paesi del Golfo, si tratta di un pezzo di borghesia con un peso sovranazionale con un surplus finanziario considerevole, che ha investito nella guerra alla Libia e per sedare le rivolte in Bahrein, di cui “legittimamente” pretenderà i dividendi economici e politici.
La borghesia petrolifera e finanziaria della penisola arabica da tempo reclama un adeguamento nella gerarchia internazionale. E’ all’interno di questo settore di borghesia internazionale, in un costante equilibrio conflittuale con gli interessi imperialisti statunitensi ed europei, che nel recente passato si sono sviluppati settori quaedisti che “islamiche” hanno dato vita a forme di conflitto non convenzionali. Sono proprio queste opzioni jhadiste e qaediste ad essere “sacrificate” per avviare una stagione di dialogo tra petromonarchie e NATO.
Questo network di borghesia islamica centrata nei paesi del Golfo si è dimostrato capace di sviluppare un’egemonia culturale con una presa che va oltre la mezzaluna araba. E’ forte di mezzi economici, fondazioni benefiche, innovazione tecnologica e televisioni satellitari, e ha dimostrato di saper sviluppare consensi ben oltre gli aspetti culturali e religiosi. Insomma ha le risorse e gli strumenti per la competizione regionale ed internazionale.
E’ un network basato sulla Lega Araba ed il GCC (Consiglio dei Paesi del Golfo), cresciuto in guerra alle formazioni statali nate dal movimento panarabista e all’Iran, e sull’asse “Dio, petrolio, innovazione tecnologica e progresso”; ha sfidato il Fronte della Resistenza per l’egemonia politica sulle popolazioni arabo-musulmane.
La prima vittima delle supposte rivolte arabe è stato proprio il Fronte della Resistenza costituito da Siria, Iran, Hamas e Hezbollah, un fronte che si è contrapposto al progetto del Grande Medio Oriente sostenuto dagli imperialismi U.S.A e UE e da Israele, raccogliendo consensi in tutto il mondo arabo a detrimento dell’influenza delle petromonarchie. Il Fronte di Resistenza si è diviso sul giudizio e l’appoggio alle rivolte arabe e alle guerre civili in Libia e in Siria. Le organizzazioni come Hamas, legate ai Fratelli Musulmani, hanno sostenuto la guerra civile in Libia, si sono candidate a gestire la transizione compatibile in Tunisia ed Egitto. Nel caso della Siria la fratellanza musulmana fa parte del Consiglio Nazionale Siriano che si oppone al governo di Bashar al Assad e chiede l’intervento straniero per difendere la “popolazione civile”.
Intorno alla ridefinizione di tutta l’area mediterranea e del medio oriente, riprende corpo un’ alleanza tutt’altro che inedita, che, come per la guerra del Golfo, rimette insieme interessi diversi, dai poli imperialisti U.S.A e UE, ai paesi del GCC, passando per la Turchia, e utilizza le diverse filiazioni dell’Islam politico e pseudo-rivoluzionario per amplificare le contraddizioni realmente esistenti nei paesi dell’area.
Un’alleanza conflittuale che lavora per incanalare con le buone o con le cattive le proteste di piazza tunisine, egiziane o del Bahrein nell’alveo delle compatibilità più adatte ad una periferia produttiva, e che punta a scardinare paesi come Libia, Siria ed Iran.
Come per la guerra del Golfo del ‘90 e del ’91, è la Lega Araba a spingere verso l’intervento militare, ieri in Iraq oggi in Siria. L’espulsione di Damasco dalla Lega Araba del 12 novembre è un atto di aperta ostilità. La composita opposizione siriana è cresciuta a seconda dei filoni di pensiero e delle relazioni, a Londra tanto quanto a Parigi, intessendo relazioni con ambienti occidentali e con l’attivissima diplomazia del Qatar. Allo scopo di mantenere l’egemonia sull’area confinante, il governo di Ankara ha via via accelerato la sua azione all’interno della guerra civile in Siria, ospitando diversi incontri ufficiali e relazioni informali con l’opposizione siriana legata alla fratellanza musulmana. Stiamo assistendo ad una escalation interventista tra Qatar e Turchia, che, insieme alla Giordania, si propongono come protettrici dell’opposizione siriana e come retrovia logistico dell’Esercito di Liberazione Siriano. Con simili mentori non saranno le armi e l’appoggio politico che mancheranno all’Esercito di Liberazione Siriano. Le basi U.S.A in Qatar e Arabia Saudita e la forza militare turca sono in grado di foraggiare e sostenere un conflitto di vaste proporzioni.
La recente aggressione alla Libia conferma che le guerre imperialiste sono volte a smantellare quegli Stati nazione che anche in maniera spuria si oppongono agli appetiti del mercato globalizzato, rifiutandosi o ostacolando la messa a profitto delle ricchezze nazionali, opponendosi alla creazione dei corridoi per il transito di merci e risorse energetiche.
La Siria, governata dal Fronte Nazionale Progressista, una compagine di forze di ispirazione socialista in cui sono presenti anche i due Partiti Comunisti, guidata dal BAAS, rappresenta un obiettivo importante economicamente e politicamente .
Negli ultimi anni all’interno del Fronte Nazionale Progressista due schieramenti si sono scontrati duramente sul tema delicatissimo delle privatizzazioni e sulle linee di indirizzo di politica economica. Da una parte la borghesia mercantile, quella del settore edile e i ceti “professionali”, dall’altra i Partiti Comunisti ed una parte del Baas. Il cuore dello scontro è la privatizzazione dei settori bancario ed energetico, quest’ultimo fonte di forti introiti per le casse dello stato, e la politica di controllo dei prezzi di prima necessità. La privatizzazione, e la conseguente vendita alle grandi compagnie straniere dell’industria energetica, metterebbe a rischio la politica economica dello stato e quindi la capacità di coesione sociale, dichiaravano solo undici mesi fa i comunisti siriani sui loro siti. Nel frattempo la crisi economica globale ha investito anche la Siria, rafforzando il malcontento sociale, che si è saldato alle ferite generate dalla politica di privatizzazioni, dalla farraginosità della macchina statale e dalla differenza tra le città e la periferia di un paese che vede il 53 % dei suoi cittadini concentrati nei grandi centri urbani.
La Siria negli ultimi decenni ha rappresentato un ostacolo ai progetti egemonici dell’imperialismo e delle petromonarchie, ed è stata in grado di mantenere uno scontro di bassa intensità con Israele attraverso il sostegno ai movimenti come Hamas, Hezbollah e l’alleanza con l’Iran. L’alleanza tra potenze imperialiste e Vandea islamica serra nuovamente le fila: l’obiettivo è normalizzare il medio oriente, e la Siria del Fronte Nazionale Progressista, il Fronte di Resistenza e l’Iran sono ostacolo da rimuovere per normalizzare l’area, secondo una strategia già rodata nelle diverse guerre contro gli stati nazione ritenuti oramai superflui, come Jugoslavia, Iraq, e più recentemente Libia. In tutto questo, Israele la piccola Prussia incastrata in mezzo ai paesi arabi, scruta un orizzonte con troppe incognite ed attori e non può adottare altra scelta che rimanere ferma nelle sue posizioni aspettando in occasione favorevole.
Non abbiamo certezze ma il governo siriano ed i suoi alleati hanno una base di consenso interno ed internazionale, e con tutta probabilità Damasco proverà a resistere all’aggressione militare. Rimangono poi le incognite di Hezbollah e dell’Iran: gli ingredienti per una guerra regionale ci sono tutti.
A cura della Commissione internazionale della Rete dei comunisti
“La Primavera Araba e la situazione del Golfo Persico”, di Ahmad Abdul Malek, direttore degli affari dell’informazione del Gulf Cooperation Council (GCC); è stato inoltre direttore del quotidiano qatariota “al-Sharq”.
“L’influenza “fuori misura” del Qatar nella politica araba”, di Anthony Shadid, New York Times; Anthony Shadid è un giornalista americano di origini libanesi.
“In Siria è guerra – in maniera strisciante, ma sempre più rapida”, di Abd al-Bari Atwan, giornalista palestinese residente in Gran Bretagna; è direttore del quotidiano panarabo “al-Quds al-Arabi”.
“Le vere ragioni della guerra in Libia” diJean-Paul Pougala,scrittore di origine camerunese, direttore dell’Istituto di Studi Geostrategici e professore di sociologia all’Università della Diplomazia di Ginevra, Svizzera.dahttp://www.asteclist.com/
“In Siria si parla di pluralismo politico”di Sami Moubayed, analista politico siriano; è direttore della rivista Forward; risiede a Damasco.
“Libia. Non è una rivolta popolare ma una guerra civile. I dovuti distinguo” diSergio Cararo analista politico e direttore di contro piano on line www.contropiano.org
“Libia. Dalla guerra civile alla guerra del petrolio” diSergio Cararo ibidem
Cina: prove di stato sociale
Written by nuestra america
I paradossi che contano: in una fase di crisi economica mondiale in cui l'indirizzo dei governi occidentali è quello di tagliare lo stato sociale per ridurre il deficit pubblico e scongiurare un crollo di fiducia dei mercati sulla solvibilità del debito sovrano, in Cina si discute di come costruire uno stato sociale che serva a sostenere la domanda interna. Obiettivo: liberare il grande potenziale ancora non sfruttato dell'economia del paese, ovvero una percentuale di risparmio delle famiglie arrivata attorno al 50 percento del Pil negli ultimi anni, un punto percentuale sopra quello di ogni altro paese del mondo1.
Per un paese che ha più volte ribadito di voler ridurre la dipendenza dalle esportazioni per la crescita economica e di volersi basare gradualmente più sulla domanda interna ai fini dello sviluppo economico, la costruzione di uno stato sociale che riduca la percentuale di risparmio delle famiglie per bisogni previdenziali cui in precedenza sopperivano direttamente le unità produttive “dalla culla alla tomba”, trova una necessità economica oggettiva.
La differenza nella direzione di marcia rispetto alle politiche europee, pienamente in azione, e quelle americane – recentemente in una fase di stallo proprio su punti che riguardano il welfare – appare tanto stridente quanto la differenza tra i tassi di crescita economica delle tre macroaree.
Già nel maggio scorso Zhou Xiaochuan, governatore della Bank of China, aveva messo in guardia rispetto alla possibilità che un tasso di risparmio delle famiglie troppo elevato potesse portare ad un eccesso di investimenti che avrebbe avuto come effetto il surriscaldamento dell'economia e l'esplosione di bolle inflattive su vari mercati2, in particolare sui prezzi delle case .
La stretta governativa sull'inflazione e il raffreddamento dei prezzi delle case dovuto ai piani governativi di espansione dell'edilizia popolare hanno in parte mitigato il problema, ma senza uno stato sociale più robusto3 che riduca gli incentivi per il risparmiatore medio cinese a mettere da parte il denaro necessario a coprire le spese per la sanità, la pensione, l'affitto o l'acquisto della casa, la scuola per i figli ed altri bisogni di natura sociale, fenomeni inflattivi tenderanno a ripresentarsi e una buona parte del potenziale dell'economia non verrà sfruttata a pieno.
Le politiche governative stanno andando in questa direzione, ma qual'è attualmente lo stato dell'arte?
Uno dei settori nei quali il trasferimento di fondi è stato più consistente è quello sanitario. Dal 2009 al 2011 per la riforma del sistema sanitario nazionale verranno investiti 850 miliardi di yuan, di cui 331 dal governo centrale.
In Cina il sistema sanitario nazionale non è universale e gratuito sul modello europeo, ma prevede un sistema di assicurazione sanitaria pubblica obbligatoria sulla base di un fondo nazionale, che copre una percentuale media attorno al 70-80 percento delle spese sanitarie e ospedaliere. Il sistema assicurativo inoltre prevede un rimborso, il che implica il pagamento immediato da parte del paziente delle relative spese per cure e farmaci.
Si capisce facilmente come la previsione di pagamenti che incidono enormemente sul tenore di vita di una famiglia cinese media contribuiscono alla spinta al risparmio.
Questo modello è stato pesantemente aggiornato dal 2009 ad oggi, con l'obiettivo di estendere a tutti il sistema di assicurazione e l'aumento della percentuale di rimborso.
Nel 2009 il comitato centrale e il consiglio di stato ponevano l'obiettivo per il 2011 dell'estensione del sistema assicurativo sanitario alla totalità della popolazione cinese, e la creazione di un sistema sanitario di base nelle aree rurali. A distanza di tre anni Li Keqiang, membro del comitato permanente dell'ufficio politico del Pcc, in un recente articolo sulla riforma del sistema sanitario ci ricorda che quei due obiettivi sono stati sostanzialmente raggiunti: l'assicurazione sanitaria obbligatoria copre il 95 percento della popolazione cinese, che copre 1.280 miliardi di persone, e alzato il massimale a 5 milioni di yuan. Sono stati costruiti più di 2000 ospedali a livello di contea e 30000 strutture sanitarie a livello nazionale.
Il piano prevede entro il 2020 il completamento del sistema sanitario nazionale di base sia in città che in campagna.
Gli Stati Uniti spendono il 16 percento del Pil in spesa sanitaria, di cui una parte consistente svanisce in spese legali per cause relative ai rimborsi assicurativi. Alcuni paesi in via di sviluppo spendono tra il sei e l'otto percento, mentre in Cina la spesa sanitaria non arriva al 5 percento del Pil, meno della metà della spesa cubana in proporzione al Pil(11,2%).
Anche se in questo campo le politiche cinesi pongono l'accento sulla natura pubblica della salute come bene primario, i privati possono anche investire in strutture ospedaliere ma senza fini di lucro.
Tuttavia, finché il sistema di assicurazione pubblica non sarà esteso al restante 5% di popolazione che ne rimane scoperto, nonostante I grandi progressi ottenuti, e la percentuale di rimborso non salirà al 100% e verrà effettuata direttamente dal fondo, iscrivendo le spese assicurative all'interno del sistema di fiscalità generale, non si potrà parlare di evoluzione completa in senso universalistico e gratuito del sistema.
Nelle campagne invece si è dato vita ad un nuovo tipo di sistema sanitario di base in forma cooperativa, “cooperativa sanitaria di nuovo tipo, appunto”, che in pochi anni dal 2008 al 2010, è stato completato e che copre la quasi totalità della popolazione(81%già a fine 2009), un sistema basato su un contributo da parte del lavoratore, del governo locale e di quello centrale. In questo modo si è assicurata a tutta la popolazione rurale una forma minima di assistenza di base.
Se si aggiunge questo ai redditi minimi per I cittadini urbani e rurali introdotti dal 2008 e ai contributi previdenziali di anzianità, compresa la nuova forma di pensione per I contadini, I progetti di estensione da 90 a 98 giorni del periodo di maternità per le donne e l'impulso deflattivo prodotto dall'espansione dell'edilizia popolare, gli indicatori mostrano che la direzione presa dal paese è quella dell'ampliamento della spesa nel settore sociale e dell'estensione del sistema di garanzie e sicurezze ad un orizzonte d'attesa sempre più vasto ed esigente.
In un articolo sulla principale agenzia di stampa nazionale del 23 novembre, firmato a tre mani da Liu Min, Huang Shengang eYao Yujie, si riporta tralaltro l'opinione di un ricercatore dell'Accademia delle Scienze Sociali Cinesi, Tien Dewen, secondo cui “l'alto livello dello stato sociale europeo è stato anche una delle ragioni della stabilità e dello sviluppo economico dell'Europa” nel lungo periodo.
Com un rapporto debito Pil al 18 percento e prospettive da locomotiva del mondo, l'ampliamento della quota di spesa sociale in rapporto al Pil sembra solo questione di tempo.
I risultati si trovano già nelle statistiche economiche.
Recentemente infatti è stato pubblicato un Libro Bianco sul tema della povertà, che mostra come in dieci anni quella relativa sia scesa da 94 milioni di persone nel 2000 a 26.8 milionila fine 2010.
Il tasso della povertà rurale è sceso dal 10 percento nel 2000 al 2.8 percento a fine 2010.
Tutta una serie di fondi sono stati destinati a garantire l'accesso all'acqua potabile(pozzi e reti idriche), e all'educazione, portando il tasso di scolarizzazione rurale dai 7 ai 15 anni al 97.7 %, vicino alla media nazionale, comprendente città e campagna.
Fonti:
China's savings rate to remain high
By Wang Chong (China Youth Daily)15:02, November 21, 2011
http://english.people.com.cn/90882/7651388.html
67m beat poverty in past decade: white paper(Xinhua)10:36, November 16, 2011
http://english.peopledaily.com.cn/90785/7646468.html
Corriere della sera: Cina, prove di Welfare
http://leviedellasia.corriere.it/2011/11/cina_prove_di_welfare_maternit.html
La Cina deve evitare gli errori dell'Europa
http://www.china.org.cn/opinion/2011-11/23/content_23986178.htm
Risoluzioni rispettivamente del comitato centrale, del consiglio di stato e articolo di Li Keqiang, sulla riforma sanitaria (in cinese)
http://www.gov.cn/jrzg/2009-04/06/content_1278721.htm
http://www.gov.cn/zwgk/2009-04/07/content_1279256.htm
http://www.qstheory.cn/zywz/201111/t20111116_124101.htm
a cura della Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti
1Wang Chong, China Youth Daily del 21/11/2011
2Secondo quanto riportato dall'agenzia Xinhua, ripresa dal People Daily del 20/05/11
3Secondo Wang Chong del China Youth Daily, che riprende l'analisi effettuata sulle colonne di un giornale di Singapore, il Lianhe Zaobao, il passaggio da un economia pianificata ad una di mercato in Cina sarebbe la principale causa degli alti tassi di risparmio nel paese
In principio erano i PIGS
Written by nuestra america
Ai tempi (2007/2008), si diceva che la crisi era finanziaria e passeggera, dovuta in primo luogo all’ingordigia di qualche banchiere che aveva giocato troppo con i titoli “tossici”, e che quindi con un risoluto intervento degli Stati a ripianare le falle del sistema bancario e confidando nelle capacità regolatrici del mercato, la questione con qualche sacrificio si sarebbe risolta.
La crisi era inoltre il prodotto di condotte sciagurate di Governi che non rispettavano i “parametri” europei e di popoli che si ostinavano a vivere al di sopra delle loro possibilità, sperperando risorse nell’acquisto di merci che non potevano permettersi.
Questa la ragione delle difficoltà dei greci, poi degli irlandesi, dei portoghesi e degli spagnoli.
In tempi non sospetti dicemmo che al gruppo di Stati “maiali”, i PIGS, mancasse una “I”, quella del nostro paese, ma (ancora l’altr’anno) si affermava da più parti che l’Italia era un paese troppo grande e con i “fondamentali” a posto per poter essere coinvolto nella crisi.
Anche sulla natura e le origini della crisi siamo stati una voce fuori dal coro, perché abbiamo indicato come il crollo di carattere finanziario dovuto allo scoppio delle bolle speculative fosse solo la punta dell’iceberg di una crisi del modello di accumulazione, partita già negli anni ’70, che sta mettendo in discussione, forse in modo irreversibile, il modo di produzione capitalistico.
Le politiche neo-liberiste, le privatizzazioni, la finanziarizzazione dell’economia attuate da più di un ventennio sono servite a contenere la crisi internazionale del capitale, che oggi esplode e dilaga a livello globale mostrandone i caratteri di strutturalità e sistemicità.
Ma tornando a noi, nessuno più dubita che oggi siamo a pieno titolo facenti parte degli Stati “maiali”, i PIIGS, ma la novità è che la “porcilaia” si va ogni giorno allargando e anche per gli stessi proprietari dell’allevamento, le cose non vanno più tanto bene.
La Francia è anch’essa entrata nel mirino della speculazione finanziaria e le differenze nell’asse Sarkozy-Merkel sul ruolo della UE e della Banca centrale crescono e incrementano le tensioni nell’Euro-polo.
La novità degli ultimi giorni è che anche la Germania comincia a pagare i prezzi della sua stessa politica. Per la prima volta, mercoledì scorso, i mercati hanno snobbato i titoli tedeschi. Solo due terzi dei bund sono stati venduti nell’asta del 23 novembre. Per la cronaca il tasso d’interesse sui bund, titoli tedeschi a scadenza decennale è dell’1,98%. Sempre per la cronaca nell’ultima asta dei Bot semestrali italiani del 25 novembre (offerti 8 miliardi, richiesti 10), il rendimento è schizzato al 6,504% quasi il doppio dell'emissione del mese precedente.
La crisi dunque si estende e si allarga, e oltre all’economia investe direttamente la questione della democrazia, avendo già prodotto la cessione di sovranità e il commissariamento da parte dei “vigilantes” europei (UE,BCE) di alcuni Stati dell’Europa del sud, Italia e Grecia su tutti.
E comunque i “mercati”, come stiamo vedendo, non prendono di mira solo gli Stati fortemente indebitati, quelli alle prese con il debito “sovrano”, ma ormai sono a tiro tutti, compresi l'Austria, i Paesi Bassi e la vasta area neo-colonizzata dell’ex Europa dell’ est nella quale dopo l’89 si sono riversati gli interessi del capitalismo occidentale.
“L'autorità austriaca dei mercati finanziari e la banca nazionale tirano il freno sui crediti nell'est Europa”, titola il Die Presse, mentre l'agenzia di rating Moody's sta esaminando le prospettive del debito austriaco. Il quotidiano viennese teme "un fallimento dello stato provocato dalle banche sul modello dell'Irlanda", perché le banche austriache dopo diversi "anni di euforia" hanno investito quasi 300 miliardi di euro – una cifra superiore al Pil del paese – in Europa centrale e orientale. Crediti che fra il 6 e il 40 per cento dei casi sono diventati degli attivi difficilmente esigibili.
"La decisione della banca centrale austriaca chiude la fase attuale della crisi e apre probabilmente la prossima", osserva un editoriale di Romania Libera da Bucarest. "Gli effetti concreti saranno pesanti – ulteriore pressione sulla moneta nazionale, tassi di interesse in aumento, difficoltà per lo stato a ottenere crediti.”
Stessa sorte per "paesi come l'Ungheria, la Romania, la Serbia o l'Ucraina che saranno obbligati ad affrontare – quanto meno per quanto riguarda le banche austriache – un improvviso 'credit crunch', cioè una repentina difficoltà a ottenere crediti", afferma il giornale ceco Respekt.
Sugli sviluppi nel versante Est, quello che abbiamo definito la IV Europa, andrà prestata molta attenzione perché se da un lato, nonostante la fortissima crisi economica e sociale prodotta dall’introduzione del modello capitalista, ancora non si stanno esprimendo con forza le istanze di lotta e di cambiamento, dall’altro i loro destini sembrano incrociarsi sempre più con quelli della declassata e commissariata Europa mediterranea.
In chiusura, a proposito di Europa, crisi e democrazia, alleghiamo un comunicato stampa del Partito Comunista d’Irlanda del 17 novembre che è assolutamente consonante con la situazione del nostro e di altri paesi:
La democrazia in Europa è minacciata - Chi guida l'Irlanda?
La rivelazione che oggi (17 novembre) sono stati trovati documenti relativi al prossimo bilancio (irlandese) nel Bundestag tedesco, con politici tedeschi intenti a studiarne attentamente il contenuto, mentre né Dáil Éireann (Camera bassa irlandese), né, soprattutto, il popolo irlandese hanno visto o letto cosa questi documenti riservano loro, è quasi incredibile.
Le opinioni del popolo irlandese contano poco, perché è ormai chiaro che ciò che la Germania vuole, Merkel prende, e il popolo irlandese pagherà il prezzo. Sembra chiaro che, nonostante le smentite, Taoiseach Enda Kenny (premier irlandese) ha consegnato questi documenti durante la sua recente visita a Berlino.
I lavoratori e le loro famiglie non solo sono costretti a pagare un debito che non è loro, ma adesso devono pure liquidare la democrazia per mantenere a galla le banche tedesche e francesi.
La democrazia è ora in grave pericolo: gli eventi in Grecia, Italia e ora Irlanda mostrano il vero potere al centro dell'Unione europea. Siamo stati testimoni di due sostanziali colpi di stato, in Grecia e in Italia: con la rimozione dei due governi compiacenti, e la sostituzione in Italia da un governo composto da "tecnocrati" rappresentativi solo delle imprese, e in Grecia da un governo non eletto dal popolo.
La democrazia viene accantonata nell'interesse e per le esigenze dei monopoli e dei grandi interessi commerciali europei. La volontà e le opinioni dei popoli all'interno dell'Unione europea sono messi da parte: grandi pericoli sono di fronte a tutti i democratici.
www.communistpartyofireland.ie
A cura della Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti
La Russia ha intensificato nei giorni scorsi i suoi sforzi per difendere la Siria
Written by nuestra america
Damasco, 20 novembre. 2011,Tribuna Popolare TP .-
Navi da guerra russe sono entrate nelle acque territoriali di Siria, in una mossa aggressiva progettata per evitare qualsiasi attacco della NATO contro la Siria con il pretesto di un “intervento umanitario”, come si è verificato nei massacri e nella distruzione della Libia.
“Navi da guerra russe arriveranno in acque territoriali siriane, ha detto un agenzia di stampa siriana il Giovedì, indicando che il provvedimento rappresenta un chiaro messaggio per l’Occidente che Mosca potrebbe opporsi a qualsiasi intervento straniero per i disordini civili nel paese”, riferisce Haaretz.
La Russia ha intensificato nei giorni scorsi i suoi sforzi per difendere la Siria, il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, inquadrando la violenza nel paese come una guerra civile, a dispetto delle accuse mosse dalle potenze occidentali al presidente Bashar al-Assad reo di aver condotto una sanguinosa repressione contro i manifestanti innocenti.
Come abbiamo visto prima dell’attacco alla Libia, anch’esso inquadrato come un “intervento umanitario”, le potenze della NATO sono disposte a demonizzare il governo di Assad, attraverso la caratterizzazione degli attacchi e delle atrocità compiuti dalle sue forze, ignorando in gran parte attacchi simili compiuti da parte delle forze dell’opposizione, come quello di questa settimana, dove in un complesso d’inteligence della forza aerea siriana, 20 poliziotti sono rimasti uccisi o feriti.
Il portavoce del Dipartimento di Stato degli Stati Unit , Mark Toner, ha respinto l’affermazione della Russia che la Siria si trovi in una guerra civile, dicendo: “Crediamo che sia in gran parte il regime di Assad che ha effettuato una campagna di violenza, intimidazione e repressione contro manifestanti innocenti.”
Naturalmente, abbiamo ascoltato una retorica simile, anche quando ribelli di Al-Qaeda sostenuti dalla NATO hanno pilotato aerei da combattimento e sparato granate e razzi a propulsione in Libia, queste azioni erano fatte da “innocenti manifestanti”, come si disse in quel momento.
Come abbiamo riferito in precedenza, nonostante la grande speculazione sul fatto che l’Iran sarà il prossimo bersaglio di un attacco militare, La Siria è l’obiettivo più probabile per il prossimo cambiamento di regime appoggiato dalla NATO.
Il presidente Barack Obama ha messo di nuovo la palla in gioco nel mese di agosto, quando ha invitato il presidente al-Assad a dimettersi. L’ONU ha già ritirato tutto il suo personale non essenziale dal paese.
Senza l’aiuto della Russia, la Siria, sarebbe in gran parte indifesa di fronte a un attacco da parte della NATO.
“Non vedo alcun problema puramente militare. La Siria non ha nessun sistema di difesa contro i sistemi occidentali ... [Ma] sarebbe più rischioso che in Libia. Sarebbe una pesante operazione militare”, ha detto l’ex capo delle forze aeree francesi, Jean Rannou .
Dato che la stampa occidentale ha dimostrato di essere esperta nella fabbricazione di menzogne per giustificare interventi militari, se le azioni del regime di Assad rappresentano atrocità reali, o condotte legittime in mezzo a una guerra civile, rimane poco chiaro. Alcuni hanno sostenuto che gli abusi sono truccati, mentre l’ex agente della CIA Robert Baer e l’ex agente MI6 Alastair Crooke suggeriscono che il popolo siriano sicuramente vuole un cambiamento, ma non nella forma di un assalto “umanitario” della NATO.
TRADUZIONE A CURA DELLA COMMISSIONE INTERNAZIONALE DELLA RETE DEI COMUNISTI