Prima pubblicazione: In tedesco nel Sozialdemokrat del 22 marzo 1883.
Digitalizzazione: A cura di José Ángel Sordo per il Marxists Internet Archive, 1999.

Traduzione a cura della Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti, 2012

 

Il 14 de marzo, alle tre meno un quarto del pomeriggio, ha smesso di pensare la più grande mente dei nostri giorni. L’abbiamo lasciato solo appena due minuti, e quando siamo tornati, l’abbiamo trovato addormentato dolcemente nella sua poltrona, ma per sempre.

È impossibile calcolare completamente quello che il proletariato militante d’Europa e d’America e la scienza storica hanno perso con quest’uomo. Molto presto si farà sentire il vuoto che ha aperto la morte di questa figura gigantesca.

Così come Darwin ha scoperto la legge dell’evoluzione organica della natura, Marx ha scoperto la legge dell’evoluzione della storia umana: il fatto, tanto semplice, ma nascosto sotto erbaccia ideologica, che l’uomo ha bisogno, per prima cosa, di mangiare, bere, avere un tetto e vestirsi prima di poter fare politica, scienza, arte, religione, ecc.; che, pertanto, la produzione dei mezzi di vita immediati, materiali, e conseguentemente, la corrispondente fase economica di sviluppo di un popolo o di un’epoca è il punto di partenza da cui si sono sviluppate le istituzioni politiche, le concezioni giuridiche, le idee artistiche e persino le idee religiose degli uomini e in funzione di quella devono, quindi, esplicarsi, e non al contrario, come fin’ora s’è venuto facendo. Ma non è solo questo. Marx ha scoperto anche la legge specifica che muove l’attuale modo di produzione capitalista e la società borghese da esso creata. La scoperta del plusvalore ha improvvisamente illuminato questi problemi, mentre tutte le ricerche precedenti, tanto degli economisti borghesi come dei critici socialisti, brancolavano nel buio.

Due scoperte come queste dovevano bastare per una vita. Chi abbia la fortuna di fare anche solo una scoperta così, già può considerarsi felice. Ma non c’è stato un solo campo che Marx non sottoponesse a ricerca – e questi campi sono stati molti, e non si è limitato a toccarne solo di striscio neanche uno – inclusa la matematica, in cui non facesse scoperte originali. Tale era l’uomo di scienza. Ma questo non era, nemmeno lontanamente, la metà dell’uomo. Per Marx, la scienza era una forza storica motrice, una forza rivoluzionaria. Per grande che potesse essere il piacere che poteva procurargli una nuova scoperta fatta in qualsiasi scienza teorica la cui applicazione pratica a volte non poteva essere prevista in alcun modo, era ben altro il piacere che sentiva quando si trattava di una scoperta che esercitava nell’immediato un’influenza rivoluzionaria nell’industria e nello sviluppo storico in generale. Per questo seguiva passo passo il procedere delle scoperte realizzate nel campo dell’elettricità, fino a quelle di Marcel Deprez negli ultimi tempi.

Poi Marx era, prima di tutto, un rivoluzionario. Cooperare, in un modo o nell’altro, all’abbattimento della società capitalista e delle istituzioni politiche create da questa, contribuire all’emancipazione del proletariato moderno, a cui lui aveva trasmesso per la prima volta la coscienza della propria situazione e delle proprie necessità, la coscienza delle condizioni della propria emancipazione: tale era la vera missione della sua vita. La lotta era il suo elemento. E lottò con una passione, una tenacia e un successo come pochi. Prima Erste Rheinische Zeitung, 1842; Vorwarts Paris, 1844; Deutsche Brussel Gazete, 1847, Neue Rheinische Zeitung, 1848-1849, New York tribune, 1852-1861, e a tutto questo bisogna aggiungere un sacco di volantini di lotta, e il lavoro nelle organizzazioni di Parigi, Bruxelles e Londra, finché, infine, è nata come conclusione di tutto, la grande Associazione internazionale dei lavoratori, che era, in verità, un’opera della quale il suo autore poteva andare orgoglioso, anche se non avesse creato nessun’altra cosa.

Per questo Marx era l’uomo più odiato e più calunniato del suo tempo I governi, sia gli assolutisti che i repubblicani, lo espellevano. I borghesi, come i conservatori e i democratici radicali, competevano tra loro nel lanciare diffamazioni contro di lui. Marx sdegno’ tutto questo, non ci faceva caso; rispondeva solo quando un’imperiosa necessità lo esigeva. Ed è morto venerato, amato, pianto da milioni di operai della causa rivoluzionaria, come lui, sparsi per tutta l’Europa e l’America, dalle miniere della Siberia fino alla California. E posso dire senza paura che ha potuto avere molti avversari,  ma nessun nemico personale.

Il suo nome vivrà nei secoli, e con lui la sua opera.

 



 

 

23 maggio 2012.

 

Commissione internazionale della Rete dei Comunisti

 

La recente tornata elettorale in alcuni paesi europei, pur con le evidenti differenze e poste in gioco, ha lanciato un messaggio forte e chiaro agli esecutori e sostenitori delle politiche di “austerità” imposte dalla troika (UE, BCE, FMI).

 

In Germania e in Italia sono per il momento segnali, dato il carattere parziale delle consultazioni, ma ben altro significato hanno avuto le votazioni in Francia con la deposizione del principale alleato della cancelliera tedesca, Nicolas Sarkozy e l’ascesa all’Eliseo del socialista François Hollande, diciassette anni dopo Francois Mitterrand..

 

In Grecia il 6 maggio scorso, gli elettori hanno frantumato le due principali formazioni politiche, ND e PASOK che hanno sottoscritto l’Accordo sul prestito imposto dai poteri forti dell’Eurozona e applicato le misure di massacro sociale contenute nel Memorandum. Il Partito Comunista (KKE) ha riconfermato la rappresentanza dello zoccolo duro della sinistra di classe con l’8,5%, ma il vincitore di questa tornata elettorale è stato il cartello di organizzazioni di sinistra, SYRIZA che è passata dal 5% delle precedenti elezioni del 2007 al 16,77%, diventando la seconda forza nel Parlamento greco. Oltre a questo, il voto del 6 maggio ha sancito l’ingresso in Parlamento dei neo-nazisti di Alba Dorata che sono passati dallo 0,23% del 2007 al 7% dei consensi, dopo che anche in Francia nel primo turno delle presidenziali, il partito di estrema destra di Marine Le Pen, il Front Nacional, ha raggiunto l’impensabile quota del 17.8%.

 

E’ probabile che in Francia come in Grecia dietro l’affermazione dell’estrema destra nazi-fascista ci sia anche un voto di protesta e che le scorciatoie xenofobe e razziste come via d’uscita dalla crisi possano aver avuto un peso, ma certo è che il fenomeno non può che preoccupare fortemente e fortemente va contrastato con un nuova, decisa e capillare ripresa del protagonismo sociale della sinistra di classe,anche perché la variabile fascista, è storicamente dimostrato, in mancanza di alternative può essere utilizzata proprio contro lo sviluppo di una affermazione delle organizzazioni della sinistra di classe.

 

In Grecia, come si usa dire, i giochi sono del tutto aperti e le pressioni interne ed internazionali si stanno moltiplicando in vista delle nuove elezioni convocate il 17 giugno, vista l’impossibilità di formare un qualsiasi governo.Al di là dei numeri elettorali e delle novità che hanno introdotto - sarebbe infatti politicamente miope pensare che Hollande e Sarkozy siano la stessa identica cosa, così come non faccia alcuna differenza se a vincere in Grecia sia Nea Democrazia o Syriza - pensiamo sia utile riprendere il ragionamento sulle caratteristiche della crisi in corso e sui possibili sviluppi a livello politico e sociale.

 

E’ utile fare una analisi corretta con i fondamentali marxisti per poter inquadrare correttamente le novità della crisi del capitale di questo ultimo periodo, come la rete dei comunisti ha sempre fatto , giungendo già negli anni novanta a studiare origine d effetti di una crisi che si configurava come sistemica. Per un approfondimento su questi temi e per conoscere il dibattito in corso e le proposte della Rete dei Comunisti sulla crisi che sta sconvolgendo il capitalismo mondiale, segnaliamo una recentissima intervista di Stefano Galieni al Prof Luciano Vasapollo uscita sul sito http://www.controlacrisi.org/notizia/Economia/2012/5/19/22702-la-lunga-storia-di-una-crisi-di-sistema-scenari-e-proposte/

 

La crisi in corso, che è esplosa con la bolla finanziaria del 2007, ma è iniziata già nei primi anni ’70, sta determinando uno scontro aperto tra blocchi politico-economici (Europa, USA e BRICS), e sta modificando le gerarchie e i rapporti di forze a livello internazionale.

 

In Europa è ormai evidente il declassamento dei paesi dell’area mediterranea (i PIIGS) e che la direzione “Carolingia” dell’Europolo ha imposto i tagli ai salari, alle pensioni e a quel che resta dello Stato sociale di mezzo continente, nella speranza di mantenere per questa via un peso nella competizione globale. I proventi della rapina sociale, infatti, sono serviti a garantire una rendita attraverso il sistema bancario e finanziario, ma non certo a far ripartire la produzione economica reale.Il ricatto della crisi del “debito sovrano” è stato usato per sferrare una durissima lotta di classe dall’alto contro i lavoratori europei con le controriforme del lavoro e della previdenza, con l’imposizione del pareggio in bilancio, sostituendo i governi recalcitranti con i tecnocrati del sistema bancario a garanzia di una corretta esecuzione dei diktat. Queste erano le condizioni, è stato da più parti spiegato, per tranquillizzare i “mercati” ed arginare la bomba ad orologeria per i debiti “sovrani” costituita dalla crescita dello spread.

 

Il tecnocrate bocconiano Mario Monti e il suo governo che rappresentano il governo di classe della borghesia italiana più servile agli interessi del polo imperialista euro-tedesco, solo qualche settimana fa assicuravano tutti che con le misure prese, almeno nel nostro paese, la minaccia dello spread era definitivamente debellata. Niente di tutto ciò, lo spread sale e scende all’occorrenza dei potentati economico-finanziari e le condizioni di vita e il potere d’acquisto dei lavoratori di buona parte dell’Europa sono precipitate indietro di oltre un secolo.

 

La realtà che si va delineando è che gli stessi piani di ristrutturazione imposti per la costruzione politica, dopo quella economico-monetaria,del sovrastato europeo assumono sempre più i connotati della vendetta di classe, ma non sono in grado di rilanciare un nuovo modello di accumulazione e non rappresentano una via d’uscita dalla crisi sistemica dei diversi capitalismi ma che intacca alcuni degli stessi meccanismi di fondo del modo di produzione capitalista.

 

I segnali inviati dalle recenti elezioni hanno fatto nascere qualche preoccupazione agli “apprendisti stregoni” della troika, che hanno coniato un nuovo ritornello, il rigore da solo non basta va accompagnato da una “ sufficiente “ crescita, cioè utile a qualche timida ripresa dei processi di accumulazione, e dagli investimenti a favore dell’occupazione, che certamente deve rimanere precaria e a bassissimi salari e diritti.

 

Che rigore e crescita non possano camminare insieme, soprattutto dopo aver obbligato diversi paesi a scrivere nella legge costituzionale il pareggio in bilancio, è cosa evidente a tutti ,tranne che alle forze della sinistra europea, comprese alcune formazioni che pure si dichiarano ancora di formazione e impostazione comunista e sorrette da quelche improbabile teorico che continua a sproposito ad autodefinirsi marxista, che pensano sia possibile riformare il capitalismo e renderlo dal volto “umano”, magari convincendo la BCE a comprare i titoli del debito pubblico dei paesi in difficoltà, o unificando il debito pubblico europeo con l’emissione degli Eurobond.

 

Proporre una cogestione ad indirizzo liberale della crisi , seppur con qualche spruzzata di apparente socialità, e pensare che questo sia realizzabile, significa non solo non aver compreso la natura e il significato del suo carattere sistemico ma muoversi sul piano di una esasperante tatticismo che diventa nel migliore dei casi immobilismo, ma che sempre più spesso invece nasconde la scelta di abdicare alla strategia di trasformazione socialista, praticando l’unica strada del consociativismo nelle compatibilità capitaliste, cioè in quello che è reputato l’ultimo orizzonte dell’umanità.

 

Gli sviluppi della situazione in Grecia per tutto questo vanno ben oltre il dibattito in corso su che fine farà il paese in caso di uscita o cacciata dall’euro La crisi sistemica sta producendo in tutto il mondo una fortissima crisi sociale e questo sta determinando , in forma diversificata e articolata,una ripresa del conflitto di classe che va organizzato ed esteso per arrivare a mutare i rapporti di forza, per contrastare la costruzione dell’Europa imperialista e il sempre più feroce sfruttamento capitalista.

 

L’esempio della sempre più indipendente costruzione dell’alleanza anticapitalista dell’ALBA sta a dimostrare che il non pagamento del debito e il rifiuto di sottostare allo strozzinaggio del sistema finanziario internazionale possono aprire la strada della ripresa di uno sviluppo economico autodeterminato che si muova nell’orizzonte del socialismo del e per il XXI secolo. Infatti la condizione dell’alternativa è possibile, come ben evidenziato nel 2011 nel pamphlet “Il risveglio dei maiali - PIIGS” ( di L. vasapollo, con J. Arriola e R. Martufi, edito da Jaca Book), a partire da un rafforzamento del protagonismo di classe che può avvenire solo nella lotta organizzata, a partire dalla difesa dei diritti fondamentali dei lavoratori, e sappia uscire dalle compatibilità del sistema e sappia rilanciare una alternativa in chiave anticapitalista attraverso il rifiuto del pagamento del debito, la nazionalizzazione delle banche e dei settori strategici dell’economia.

 

L’auspicio è che la sinistra di classe greca, a partire dal patrimonio di organizzazione e di lotta costruito in primo luogo dal KKE e dal sindacato PAME, possa porsi come punto di riferimento per l’unificazione del conflitto sociale e di classe in Europa, a partire dai paesi dell’area mediterranea, riportando lo scontro dal terreno economico a quello politico, per rilanciare una strategia politica che , seppur utilizzando momenti tattico-rivendicativi , per il cosiddetto “accumulo delle forze” si diriga sempre nei percorsi per il superamento del modo di produzione capitalistico, nella pratica del socialismo possibile

 

Commissione internazionale della Rete dei Comunisti

 

 

( Si veda sui suddetti argomenti e proposte, l’ intervista di Stefano Galieni al Prof Luciano Vasapollo uscita sul sito http://www.controlacrisi.org/notizia/Economia/2012/5/19/22702-la-lunga-storia-di-una-crisi-di-sistema-scenari-e-proposte/ )

 

 

 

Gli avvenimenti che negli ultimi otto mesi hanno attraversato i paesi arabi dalla Tunisia alla Siria vanno valutati all’interno del processo politico profondo che sta ridisegnando equilibri e Stati del Mediterraneo fino al Vicino Oriente. Siamo forse di fronte alla versione aggiornata del Grande Medio Oriente, che sintetizza i nuovi equilibri tra U.S.A e UE da una parte e petromonarchie e Turchia dall’altra.

Questa vasta area a tutti gli effetti costituisce la periferia industriale innanzitutto dell’UE. E’ un’area di forte contesa e ostilità tra le aree valutarie del dollaro, dell’euro e dello yuan cinese. Oltre alla ricchezza di idrocarburi e fosfati, è un importante quadrante commerciale su cui si affacciano i mercati europei, dell’ Africa, del Vicino Oriente e dell’Asia. Le sponde nord-africane e mediorientali hanno subito la secolare rapina di ricchezze iniziata con l’epopea colonialista, che si è aggiornata con le ricette liberiste del FMI imposte da governi corrotti e privi e ormai del necessario consenso. Una miscela esplosiva che la crisi economica ha fatto detonare travolgendo i regimi di Ben Alì e Mubarak, talmente corrotti da costituire un ostacolo per l’attuale fase economica. Ma l’anelito di libertà e il desiderio di trasformazione sociale, espressi dallo slogan “dignità, lavoro e democrazia” gridato nelle proteste di Tunisi e di piazza Tahrir, al momento sono scivolati nelle mani dei partiti legati ai filoni dell’Islam politico: Enhada in Tunisia , il Partito Giustizia e Sviluppo in Marocco, i Fratelli Musulmani nell’Egitto gestito dal consiglio dei Generali. Prendendo a riferimento la Turchia di Racyp Erdogan, i partiti islamici si propongono come forza di cambiamento perfettamente compatibile con un modello islamico parlamentare basato sul libero mercato, in continuità con l’ordinamento sociale capitalista preesistente. Non c’è nessuna rivoluzione nei rapporti sociali, nessun interesse di classe riconosciuto; è quindi più corretto parlare di avvicendamenti di potere anziché di rivoluzioni, anche se la situazione è tutt’altro che pacificata.

Piuttosto sbrigativamente, nello scenario della presunta “primavera araba" si è fatto di tutta l’erba un fascio, mettendo sullo stesso piano le vicende di Libia, Tunisia, Egitto ecc. In Libia il livello di vita era tra i più alti della regione, tanto che l’industria ed i servizi libici si avvalevano di una fortissima immigrazione straniera. Dobbiamo ricercare le ragioni della guerra civile che ha portato alla caduta di Gheddafi nelle contraddizioni politiche interne legate alla sclerotizzazione autoritaria del governo Gheddafi e nella contrapposizione innanzitutto agli interessi francesi in Africa e nel Mediterraneo . Una volta eliminato brutalmente Gheddafi, le iene della strana alleanza anti-libica si sono spartite il bottino costituito dalle riserve auree libiche congelate nelle banche occidentali, dalle royalties sull’estrazione del petrolio e dal primato politico da dividere tra ex funzionari della rivoluzione verde libica e la Vandea dell’Islam politico.

Lungi dal sostenere la tesi che siano i complotti internazionali a guidare le rivolte arabe e le guerre civili in Libia e Siria, crediamo piuttosto che sia necessario comprendere il ruolo che giocano le forze organizzate come gli Stati, i movimenti politici e le alleanze militari nelle contraddizioni esistenti nei paesi in questione.

Dobbiamo domandarci se questi movimenti assumano indirizzo politico progressista o reazionario e di quali interessi sociali siano portatori.

A nostro avviso a direzione di movimenti come i Fratelli mussulmani o di Enhada è di carattere reazionario e non solo sottomette le discriminati sociali alla religione, ma piega la resistenza sociale a favore delle compatibilità capitaliste.

A cura della commissione internazionale della Rete dei Comunisti





















 

 

Mentre l’OLP raccoglie consensi e successi intorno all’iniziativa diplomatica tornando protagonista nella scena politica internazionale , Israele vive un momento di isolamento politico e di forti difficoltà economiche . Il progetto sionista comincia ad imbarcare acqua, lo dicono i numeri del rapporto annuale della Bank of Israel .

La crisi sistemica comincia a farsi sentire anche in questa bellicosa propaggine coloniale che vive in maniera simbiotica con l’economia statunitense . La crisi del mercato finanziario mondiale si è riflessa con un calo del 17% delle transazioni alla borsa di Tel Aviv. Ma questo non è il solo dato negativo che ha colpito l’economia israeliana, impressionano i numeri legati alla bilancia commerciale , con crollo dei profitti relativi export di 4.2 bilioni di Shekel e con un deficit del budget nazionale , crediti esclusi, di circa 7,9 bilioni di Shekel.

Un calo delle esportazioni che non risparmia il settore ad alta tecnologia dove lavorano aziende come la Intel e dove Israele punta molto . L’alta tecnologia è un settore che grazie agli investimenti sulla ricerca e sul capitale umano consente anche a paesi relativamente piccoli di acquisire un posizione di primato. Il settore dell’alta tecnologia è strategico per l’economia israeliana, per le ricadute sui sistemi di sicurezza e militari, ma anche perché consente all’apparato scientifico sionista di garantirsi un posto al sole in questo settore a livello internazionale.

Il calo dell’export ha corrisposto ovviamente il calo della produzione, compresa quella di carattere militare, il solo settore in crescita è stato quello delle costruzioni. Rimane il dubbio che si tratti delle colonie, del muro dell’apartheid e della TAV che l’azienda italiana Pizzarotti sta costruendo nella Palestina occupata.

Sempre il rapporto della Bank of Israel riporta che i salari sono in caduta e con essi i consumi, insomma l’economia sionista è in perdita e non c’è niente di sovrannaturale o di biblico in questa crisi economica .

Gli scambi commerciali sono principalmente con USA, Cina, Germania Italia , mentre la Turchia è l’unico paese dell’area con cui ha notevoli scambi con una complessivo di circa 4 miliardi .

Nessun altro paese dell’area ha scambi commerciali di un certo peso con Israele E’ un economia isolata dal contesto con l’esclusione dei rapporti economici legati agli accordi trilaterali sulle Zone Industriali Qualificate (QUIZ) , nate in seguito agli armistizi con Giordania ed Egitto . Queste zone prevedono lo sviluppo di compagnie congiunte (Israele Egitto / Israele Giordania) che esportano verso gli USA con forti agevolazioni finanziarie .

Israele sopravvive al disopra delle sue possibilità e al disopra delle compatibilità ambientali.

Si tratta infatti di un economia energivora che si saccheggia le risorse dell’area come acqua , terra e risorse energetiche e lo fa per buona parte con l’uso della forza.

Prova ne sia il furto dell’acqua nelle terre palestinesi e nella valle del Giordano, l’occupazione del Golan siriano e delle fattorie di Sheba in Libano, terre fertili e ricche d’acqua.

Nella spasmodica ricerca di fonti energetiche Israele è in conflitto con Libano, Turchia e con i palestinesi perché si vuole accaparrare l’esclusiva del giacimento di gas “Leviatano” a largo di Gaza..

Quanto a lungo Israele potrà mantenere il livello della competizione militare con un economia asfittica e con gli alleati USA e UE in crisi economica ?.

 

A cura della Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti

 

Fonte : Bank of Israel Recent Economic Development report 131 May Agust 2011 

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