Il 21 novembre scorso davanti al Club del Comune di Providencia si è svolta una “funa” (forma di protesta popolare quando lo Stato non fa giustizia) contro il sindaco Cristián Labbé, ex colonnello dell’esercito durante la dittatura di Pinochet, che ha avuto la bella idea di rendere omaggio nientedimeno che a Miguel Krassnoff Martchenko , figlio di cosacchi del Don che sono passati alle forze di occupazione nazista che invasero l’ex Unione Sovietica.

Questo soggetto, omaggiato come “eroe anticomunista” da Labbé, ha torturato personalmente un numero considerevole di persone, come si può anche leggere sulla lista Internet  “A mi me torturó Krassnoff”, che inizia con nomi noti come Marcia Scantlebury Elizalde, del direttivo della TVN, Gabriel Salazar Vergara, Premio Nazionale di Storia e Patricio Bustos Streeter, dell’istituto Medico Legale.

Anche dopo la fine del governo diretto del Generale Pinochet, l’esercito non ha mai smesso di avere un posto privilegiato nello Stato cileno. Non ci sono stati processi significativi ai vertici che comandarono la sanguinaria repressione degli oppositori politici e dei Mapuche, a cui Allende aveva restituito parte delle terre con la riforma agraria. Lo stesso Pinochet (salvo un quarto d’ora difficile passato a causa del giudice spagnolo Garzon) è serenamente morto di vecchiaia nel letto di casa sua. Il potere dei militari e di quanti sono stati parte attiva nella dittatura, anche se è meno vistoso, è rimasto però intatto.

Nessuno dei militari di alto comando ha mai pagato realmente per i crimini commessi dal 1973. Neanche durante gli anni dei governi presieduti dai democristiani Aylwyn e Frey o quelli dei “socialisti” Lagos e Bachelet, che hanno optato per “la giustizia per quanto possibile” e hanno costruito una democrazia senza “giudicare tutti i criminali”. Le leggi sono ancora quelle del tempo di Pinochet.  È ancora vigente l’aberrante Ley Antiterrorista, emanata da Pinochet e messa in pratica anche dalla Concertaciòn. I Mapuche che si riappropriano delle terre ancestrali sono considerati e giudicati dai tribunali “orali” come terroristi proprio in base a questa legge. La  Costituzione stessa è ancora quella dettata dal Generale nel 1980 e, malgrado i quasi 20 anni di governi post dittatura, nessuno vi ha mai rimesso mano in modo consistente. Un professore di storia dell’Universidad de Chile, Sergio Grez Toso, definisce la società cilena attuale come “semidemocratica e a cittadinanza ristretta”, cosa dimostrata, a suo parere, dal fatto che tutte le Costituzioni che ha avuto il paese sono sempre state frutto di “conciliaboli di piccoli gruppi” e “risultato di pressioni esercitate dalla forza militare.[*]  

È emblematico quello che sta succedendo in questi giorni a Hugo Marchant Moya, ex militante del MIR condannato a 25 anni di esilio (che sta ancora scontando in Finlandia),  il quale, lo scorso 30 novembre ha voluto rientrare in Cile, ma all’aeroporto di Santiago è stato arrestato e, malgrado un giudice della Corte d’Appello, Joaquín Billard Acuña,  abbia firmato, per ragioni umanitarie, un’autorizzazione che sospende per 15 giorni il suo divieto d’ingresso in Cile, la polizia l’ha respinto verso l’Argentina. È  sconcertante sapere che esistono ancora compagni che ad oggi stanno scontando in esilio pene comminate dalla dittatura per presunti reati confessati sotto tortura e che, considerato che esiste addirittura un vero e proprio  movimento che lotta per il rientro di questi prigionieri politici, il caso di Hugo Marchant Moya non è affatto unico. È evidente che tutti i governi post Pinochet  non hanno voluto veramente spezzare il cordone ombelicale con uomini, fatti , leggi e comportamenti della dittatura. Come è anche evidente che il potere delle istituzioni di polizia sopravanza quello delle istituzioni giudiziarie.

Con questi presupposti non è difficile capire che l’attuale governo di destra, insediatosi nel 2010 con il Presidente Piñera, sta perpetuando la migliore tradizione storica del paese e, fin da subito, ha spudoratamente riciclato impresentabili personaggi della dittatura mettendoli in posti chiave e di rappresentanza. Solo alcuni esempi: Sergio Romero, ambasciatore in Spagna; Alberto Labbé, fratello del sindaco Cristián, ambasciatore a Panama; Juan Bennet Urrutia, Direttore dell’Istituto di Previdenza Sociale.

Il governo di Piñera, però, più che nella tradizione squisitamente militare, si inserisce in quella che vede la diretta partecipazione in politica di personaggi del mondo imprenditoriale come un’opportunità per creare i presupposti a maggiori e consistenti arricchimenti. Le privatizzazioni hanno infatti avuto un incremento dall’inizio del suo governo, anche se, per lo più, erano già state avviate da Pinochet e proseguite dai governi della Concertaciòn (tutto il mondo è paese…).

Le privatizzazioni hanno toccato e stanno toccando tutti i settori:

-          le miniere di rame: oggi sono  per circa il 50% in mano a imprese nordamericane e giapponesi, che ne traggono enormi profitti (Mitsui Mining & Smelting Co Ltd., Nippon Mining & M℮tals Co., Ltd. Anglo American, Xstrata);

-          il mare:  con la Ley General de Pesca y Acuicultura le società salmoniere, che hanno sfruttato e distrutto le riserve delle zone costiere, possono darle in ipoteca alle banche creditrici. Regali milionari per le banche;

-          le foreste:  l’industria forestale è stata una delle attività simbolo dell’ultra neoliberalismo dello stato cileno. Sono principalmente due i gruppi che controllano circa il 70% dei suoli  usati per piantagioni: Matte (CMPC) ed Angelini (Copeco- Arauco- Celco). Sono gruppi economici che per la loro potenza controllano l’apparato pubblico statale e i loro interessi sono difesi con politiche repressive, con criminalizzazione della protesta sociale e addirittura con omicidi per chi mette a repentaglio il loro potere e quindi il loro profitto, come per esempio i giovani mapuche Alex Lemún e Matìas Catrileo, uccisi da forze di Carabineros che difendono gli interessi economici di questi gruppi di potere);

-          l’energia: l’enorme ricchezza idrica del Cile è stata messa al servizio ed alla speculazione di ENEL-ENDESA, Aguas Andinas , Esval, Essal, Essbio;

-          l’istruzione: con il CAE (Credito Avallato dallo Stato), che già risale al 2005, peggiorato dal GANE (Grande Accordo Nazionale dell’Educazione) imposto dal governo Piñera quest’anno, si fanno laute regalie alle Banche mediante un arzigogolato sistema di credito che indebita ancora di più, anche per il futuro, chi già non può pagarsi gli studi. Il tutto con considerevole perdita di fondi dello Stato che potrebbero essere dedicati ad altro.

Il popolo cileno, però, che non ha avuto giustizia per quanto ha dovuto  subire durante gli anni della dittatura, mal tollera anche quanto “non fatto” dai governi della Concertaciòn o di quanto, invece, ”è stato fatto” dagli stessi per incrementare la già radicata politica neoliberista che ha impregnato tutti i governi cileni dai tempi dei “chicago boys”,  che in Cile hanno trovato il loro primo laboratorio di sperimentazione dal vivo. La popolazione on vuole più estraniarsi dalla partecipazione (che è stata come una forma di autotutela per un lungo periodo) ed irrompe sulla scena territoriale (per ora, poi chissà forse anche politica…) esprimendo con decisione le sue istanze e rivendicazioni a tutto campo.

 Perciò ormai le richieste di partecipazione reale alla gestione delle risorse, della vita ecc … sono incontenibili. Si sono formati molti comitati e coordinamenti  cittadini/territoriali/tematici che si portano avanti istanze ed interessi di base che vanno dalle riappropriazioni delle terre ancestrali, all’assoluto rifiuto di privatizzazione delle risorse naturali, dall’esigenza di istruzione gratuita per tutti,  alla volontà di autodeterminare il testo della Costituzione.

Nel contesto dei vari movimenti popolari che richiedono spazi, giustizia, riappropriazione di beni comuni, gratuità dell’istruzione, ecc.,  c’è, infatti, anche un Movimento Cittadino per l’Assemblea Costituente che propone un processo costituente realmente democratico che crei i presupposti per una vera democratizzazione dello Stato.

Anche il mondo dell’istruzione, a seguito dell’inasprimento delle misure di privatizzazione, è  esploso e gli studenti (soprattutto gli universitari, ma anche i medi) sono ormai da tempo in mobilitazione permanente e non accennano a scendere a compromessi, neanche allettati da piccole concessioni (Borse di studio). Vedono molto più in là del loro naso e si pongono obiettivi molto più ampi delle semplici dimissioni di qualche ministro (cosa peraltro avvenuta).

Contro il megaprogetto Hydroaysen si sono viste, in maggio, le più grandi manifestazioni in Cile negli ultimi 20 anni ed hanno condannato senza remissione la stessa essenza del modello economico, sociale e culturale imposto dalla dittatura e mantenuto dalla Concertación e dalla destra dell’attuale governo. Il progetto è stato comunque approvato, ma le organizzazioni sociali hanno comunque bloccato la sua esecuzione interponendo ogni sorta di impedimenti giudiziari e non, che ancora sono in corso, inclusi gli studi d’impatto ambientale.

Quello che sta succedendo in Cile, con le sue peculiari caratteristiche, si inserisce in un fenomeno universale di messa in discussione del capitalismo neoliberale e di ricerca di forme di opposizione e rappresentanza significative e con sbocchi concreti. Questo tratto comune mostra la sentita necessità di un’alternativa al sistema sociale, politico, economico, globale vigente a livello mondiale (tranne le eccezioni, come l’ ALBA, che fortunatamente ci danno speranze concrete) che è ormai in coma, e che, però, proprio per questo, sta dando i suoi più forti e frenetici colpi di coda per cercare di sopravvivere.

Commisione internazionale della Rete dei Comunisti

 Varios Autores, Asamblea Constituyente. Nueva Constitución, Santiago, Editorial Aún creemos en los Sueños, 2009, págs. 35-58.

http://www.piensachile.com/secciones/opinion/9446-designios-del-duo-labbe-krassnoff?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Suscripciones%3A+piensachile+%28piensaChile%29

http://www.elcorreo.com/agencias/20101213/mas-actualidad/mundo/militar-chileno-trabaja-pentagono-acusado_201012131208.html

http://www.lemondediplomatique.cl/EL-HOMENAJE-A-MIGUEL-KRASSNOFF.html

http://www.youtube.com/watch?v=XylwruY3Dx8&feature=player_embedded

http://www.mapuche-nation.org/espanol/main/archivo/lemun.htm

http://www.yabasta.it/spip.php?article1222

http://www.chileact.org/2011/06/venta-de-agua-de-chile-corfo.html

http://www.ciudadglobal.cl/informacion/373/la-privatizacion-del-agua-en-chile.html

http://www.esval.cl/

Si sono svolte ieri le elezioni dei nuovi rappresentanti degli studenti universitari del Cile.

Nell’Universidad de Chile ha vinto Gabriel Boric della lista “Creando Izquierda” (Creando Sinistra), studente di Diritto ed è diventato il nuovo presidente della FECH (Federación de Estudiantes de la Universidad de Chile) al posto di Camilla Vallejo (della JJCC- PC), che sarà vicepresidente. Segretario sarà Felipe Ramírez (del Frente de Estudiantes Libertarios FEL), rappresentante della lista  “Luchar, creando universidad popular” che è arrivato al terzo posto.

Boric ha ottenuto una grande maggioranza di voti, cosa molto soddisfacente anche in considerazione del fatto che c’è stata una altissima partecipazione degli studenti al voto (14.400 contro i circa 9.000 delle ultime elezioni).

La lista Creando Izquierda è composta da due collettivi: Izquierda Autónoma e il colectivo Arrebol. Quest’ultimo ha lunga esperienza di lavoro nell’istruzione popolare a livello di territorio, mentre la Izquierda Autónoma viene dalla SurDa degli anni ’90.

In un’intervista a Radio UChile, Boris dice con chiarezza che la loro sfida è quella di “diventare un referente nazionale, un’alternativa politica che renda conto del malessere che esiste nelle strade e che non si sente rappresentato dall’asse destra-Concertacion”. Costruire forza politica, non solo sociale è l’obiettivo della nuova presidenza.

Scopo della SurDa, da cui deriva, è quello di mettere in comunicazione e far interagire diversi attori sociali con lo scopo di non essere più costretti a delegare nulla ai politici di ieri. “Siamo arrivati per restarci” dice il SurDa nel suo Facebook e sul suo sito.

Il nuovo presidente FECH, pur dando atto del buon lavoro svolto da Camilla Vallejo, ci tiene a precisare che il loro modo di lavorare è diverso da quello del PC. È, piuttosto, necessario costruirsi nuovi referenti con chi crede nell’azione collettiva come strumento di trasformazione della realtà, e creare insieme alle altre realtà sociali, che hanno urgenza di partecipazione, l’opportunità di uno spazio politico. Spazio politico che non necessariamente è un partito, e che, sicuramente, non può essere rappresentato dai vecchi partiti e non può essere limitato agli studenti, ma vede l’unione di lavoratori, popoli originari, ecologisti ecc. insomma tutti quelli che lottano “contro l’ingiustizia, l’ineguaglianza, la discriminazione”.

Dichiarazioni analoghe a quelle di Boric aveva fatto anche Felipe Ramírez, eletto nella Fech con la lista “Luchar, creando universidad popular” sul sito http://www.sentidoscomunes.cl

Persino nell’Università Cattolica ha perso alla grande la lista “Solidaridad” che, malgrado il nome rassicurante,  è la rappresentanza universitaria del Partito della UDI (destra estrema legata a personaggi della dittatura). Gli studenti della Cattolica hanno detto no alle discriminazioni e all’anticomunismo terroristico dando il voto a Nueva  Acción Universitaria, movimento di sinistra, rappresentato da Noam Titelman  che continua sulla strada del predecessore Giorgio Jackson nella FEUC.

C’è già qualcuno che vuol vedere nella vittoria schiacciante delle sinistre universitarie un segnale per le prossime elezioni politiche che dovrebbero essere una catastrofe per la destra. Questo, forse al momento è un po’ troppo ottimistico e non ci sembra, peraltro, dalle dichiarazioni degli interessati, che prevedano di creare nell’immediato un partito per presentarsi alle prossime elezioni.

Quello che, invece, sembra emergere con chiarezza, è che gli studenti cileni  sanno di far parte di un insieme di realtà in lotta alle quali vogliono dar voce e quasi fare da raccordo, da ponte tra queste. Potrebbe essere una buona opportunità. E in questo ci sentiamo di fare il tifo per loro...!

 

Redazione di NUESTRA AMERICA

 http://elecciones.fech.cl/

http://www.elmostrador.cl/noticias/pais/2011/12/07/la-derrota-del-pc-camila-vallejo-pierde-la-reeleccion-en-la-fech/

http://radio.uchile.cl/noticias/133035/

http://www.eldivisadero.cl/noticias/?task=show&id=27865  

www.surda.cl

http://radio.uchile.cl/noticias/133054/

http://www.sentidoscomunes.cl/diario/2011/12/elecciones-fech-luchar-creando-universidad-popular-felipe-ramirez/

http://www.lanacion.cl/anarquista-en-la-fech-aboga-por-universidad-popular/noticias/2011-12-07/101847.html

 

7 -3 2012

 

Nel cuore dello storico comune di San Miguel, il Coordinamento della Solidarietà con Cuba ha organizzato, in solidarietà con i cinque cubani incarcerati negli Stati Uniti perché lottavano contro il terrorismo, una decisa ed emotiva manifestazione che fa parte della campagna internazionale che realizza manifestazioni tutti i 5 di tutti i mesi per esigere al governo nordamericano la loro immediata liberazione.

Alla manifestazione hanno presenziato l’ambasciatrice di Cuba in Cile, Liliana Díaz Arguelles, il sindaco del comune di San Miguel Julio Palestro, il presidente del Coordinamento della Solidarietà con Cuba, Carlos Lagos, autorità diplomatiche cubane, comunali e cileni e cilene solidali con questa nobile causa.

La diplomatica cubana nel suo intervento ha condannato l’incarceramento dei cinque patrioti cubani e ha ringraziato per la permanente solidarietà del popolo cileno per la loro liberazione. Il sindaco Palestro ha fatto notare nelle sue parole di appoggio che lui rappresenta un comune combattivo che è sempre stato a fianco delle giuste cause e che questa è una di quelle. Infine, Carlos Lagos, a nome del Coordinamento della Solidarietà con Cuba, ha ringraziato per la presenta quanti assistevano alla manifestazione ed ha invitato a continuare ad appoggiare questo proposito finché i Cinque siano liberati definitivamente.

I Cinque, come sono conosciuti i cubani René González, Gerardo Hernández, Antonio Guerrero, Fernando González y Ramón Labañino sono stati arrestati nel 1998 dalle autorità statunitensi a causa della loro attività di monitoraggio e denuncia di gruppi terroristi che agiscono liberamente in Florida e organizzano piani violenti contro Cuba da questo paese. Sono stati condannati in un processo celebrato a Miami con pene fino al doppio ergastolo. Uno di questi cinque combattenti antiterroristi, malgrado abbia ricevuto la libertà vigilata, deve restare contro la sua volontà in territorio nordamericano a rischio della vita.

Tutti i partecipanti hanno chiesto al presidente nordamericano, Barack Obama, di smettere la illegale politica contro i Cinque e di permettere il loro ritorno insieme a Cuba, e di concedere immediatamente a René González il suo diritto ad andare a L’Avana per fare compagnia a suo fratello che soffre di una grave malattia.

La giornata ha avuto una sorpresa particolarmente emotiva con la presentazione di “Esencias”, prima del documentario realizzato dal cubano Roberto Chile che fa vedere la recente visita del gruppo di bambini “La Colmenita” negli Stati Uniti per dare con la loro arte amore, affetto e solidarietà ai Cinque.

Questo gruppo, nato 22 anni fa a Cuba, ha come fondatore e attuale regista Carlos Alberto Cremata. È un luogo dove il teatro e l’arte si usano come strumenti per essere persone migliori, i bambini che ne fanno parte usano l’arte e la creatività al fine di sviluppare valori umani nel senso più ampio e profondo.

La creatività allegria e qualità umana dei piccoli attori sono un’esperienza meravigliosa per quelli che hanno il privilegio di apprezzare la loro arte d’amore ed appoggio portato nel cuore stesso degli Stati Uniti ai loro Cinque fratelli cubani. Loro sono stati degli ambasciatori di lusso.

Nel 2007 l’UNICEF ha dichiarato La Colmenita “Ambasciatrice di Buona Volontà”, l’unico gruppo teatrale al mondo con questa qualifica.

 ( traduzione a  cura della Commissione Internazionale Rete dei Comunisti)

 La nuova politica educativa inaugurata nello Stato Plurinazionale da Evo Morales mira ad applicare un nuovo modello di istruzione/educazione, in particolare nell’Educazione Alternativa e Speciale

  In Bolivia, a La Paz, è iniziato martedì 15 novembre il secondo Incontro Internazionale di Educazione Alternativa e Speciale con esperti invitati provenienti da Cuba, Colombia, Argentina, Equador e Bolivia.

Si sono aperti i lavori con un forum sull’Educazione Popolare, Comunitaria e Integrata secondo una prospettiva latinoamericana con la partecipazione di noti professionisti come Marco Raúl Mejía (Colombia), Fernando Lázaro (Argentina) e Alberto Guillén (Cuba).

Cuba, in particolare, ha ricevuto riconoscimenti da più parti circa la validità del suo modello educativo (in particolare quello relativo all’apprendimento di persone con disabilità o difficoltà) considerato superiore anche a quello degli USA.

L’Incontro Internazionale di Educazione Alternativa e Speciale è proseguito mercoledì con laboratori tematici contemporanei dedicati all’istruzione dei giovani e degli adulti, all’educazione Permanente, Speciale e all’alfabetizzazione e post alfabetizzazione.

Questo Incontro Internazionale punta a rafforzare la nuova politica educativa inaugurata nello Stato Plurinazionale da Evo Morales che mira ad applicare un nuovo modello di istruzione/educazione in particolare nell’Educazione Alternativa e Speciale. Il suo governo ha già permesso di rendere visibile la popolazione disabile e mira al pieno esercizio dei suoi diritti ed alla sua partecipazione nella comunità, nella famiglia e nella società. Prima del 2006 la stessa istruzione in Bolivia non era accessibile, mentre l’obiettivo che si pone l’attuale governo è quello di un’istruzione plurale, trasformatrice della società e integrata.

 A cura della Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti

22 Aprile 2010, Cochabamba, Bolivia

 ACCORDO DEI POPOLI

Oggi, la nostra Madre Terra è ferita ed il futuro dell’umanità è in pericolo.

Se il riscaldamento globale incrementasse di 2°C, eventualità a cui ci condurrebbe la cosiddetta “Intesa di Copenaghen”, esiste il 50% di probabilità che i danni provocati alla nostra Madre Terra siano totalmente irreversibili. Un numero compreso tra il 20 e il 30% delle specie sarebbe a rischio d’estinzione. Grandi estensioni di foreste sarebbero danneggiate, le siccità e le inondazioni colpirebbero differenti regioni del pianeta, si amplierebbero i deserti e si aggraverebbe lo scioglimento dei poli e dei ghiacciai nelle Ande e in Himalaya. Molti stati insulari sparirebbero e l’Africa soffrirebbe di un incremento della temperatura di più di 3ºC. Si ridurrebbe, allo stesso modo, la produzione di cibo nel mondo con effetti catastrofici per la sopravvivenza degli abitanti di vaste regioni del pianeta e aumenterebbe in maniera drammatica il numero degli affamati nel mondo, che già ha superato la cifra di 1020 milioni di persone.

Le imprese e i governi dei paesi chiamati “più sviluppati”, in complicità con un segmento della comunità scientifica, si siedono a discutere del cambiamento climatico riducendolo a un problema di aumento della temperatura senza discutere la causa: il sistema capitalista.

Siamo di fronte alla crisi terminale del modello di civiltà patriarcale basato sulla sottomissione e la distruzione degli esseri umani e della natura, che ha subito un accelerazione dalla rivoluzione industriale.

Il sistema capitalista ci ha imposto una logica di concorrenza, progresso e crescita illimitata. Questo regime di produzione e consumo è alla continua ricerca di profitti, separando l’uomo dalla natura, stabilendo una logica di dominazione su questa, convertendo tutto in merce: l’acqua, la terra, il genoma umano, le culture ancestrali, la biodiversità, la giustizia, l’etica, i diritti dei popoli, la morte e la vita stessa.

Sotto il capitalismo, la Madre Terra è diventata fonte solo di materie prime e gli esseri umani mezzi di produzione e consumatori, persone che valgono per quello di cui sono in possesso e non per quello che sono.

Il capitalismo richiede una potente industria militare per il suo processo di accumulazione e controllo dei territori e delle risorse naturali, reprimendo la resistenza dei popoli. Si tratta di un sistema imperialista di colonizzazione del pianeta.

L’umanità è di fronte a un bivio importante: continuare per la strada del capitalismo, della depredazione e della morte oppure intraprendere il cammino dell’armonia con la natura e del rispetto della vita.

Vogliamo forgiare un nuovo sistema che riporti armonia con la natura e tra gli esseri umani. Ci può essere equilibrio con la natura solo se c’è equità tra gli esseri umani.

Proponiamo ai popoli del mondo il recupero, la rivalorizzazione e il rafforzamento delle conoscenze, le saggezze e le pratiche ancestrali dei Popoli Indigeni, affermati nel vissuto e nella proposta del “Buen Vivir”, riconoscendo la Madre Terra come essere vivo, con la quale intratteniamo una relazione indivisibile, interdipendente, complementare e spirituale.

Per affrontare il cambiamento climatico dobbiamo riconoscere la Madre Terra come fonte di vita e plasmare un nuovo sistema basato nei principi di:

- armonia ed equilibrio tra tutti e con tutto

- complementarietà, solidarietà ed equità

- benessere collettivo e soddisfacimento delle necessità fondamentali di tutti in armonia con la Madre Terra

- rispetto dei Diritti della Madre Terra e dei Diritti Umani

- riconoscimento dell’essere umano per quello che è e non per quello che possiede

- eliminazione di tutte le forme di colonialismo, imperialismo ed interventismo

- pace tra i popoli e con la Madre Terra.

 

Il modello che proponiamo non è di sviluppo distruttivo, né illimitato. I paesi hanno bisogno di produrre beni e servizi per soddisfare le necessità fondamentali della loro popolazione, ma in nessun modo possono continuare per questo cammino di sviluppo che porta i paesi più ricchi ad imprimere un’impronta ecologica 5 volte più grande di quella che il pianeta è in grado di sopportare. Attualmente, si è già superata del 30% la capacità del pianeta di rigenerarsi. A questo ritmo di iper-sfruttamento della nostra Madre Terra, si avrà bisogno di 2 pianeti nel 2030.

In un sistema interdipendente del quale noi esseri umani siamo una delle componenti non è possibile riconoscere diritti soltanto alla parte umana senza provocare uno squilibrio in tutto il sistema. Per garantire i diritti umani e ristabilire l’armonia con la natura è necessario riconoscere ed applicare effettivamente i diritti della Madre Terra.

Per questo proponiamo il progetto allegato di Dichiarazione Universale dei Diritti della Madre Terra nel quale si proclamano:

- Diritto alla vita e diritto ad esistere;

- Diritto a essere rispettata;

- Diritto alla continuazione dei propri cicli e processi vitali, liberi da manipolazioni da parte dell’uomo;

- Diritto a conservare la propria identità ed integrità come esseri differenziati, auto-regolati ed interrelati;

- Diritto all’acqua come fonte di vita;

- Diritto all’aria pulita;

- Diritto alla salute integrale;

- Diritto a essere libera dall’inquinamento, dai rifiuti tossici e radioattivi;

- Diritto a non essere alterata geneticamente e modificata nella sua struttura minacciando la sua integrità o funzionamento vitale e salubre

- Diritto a una riparazione piena e pronta delle violazioni, causate dalle attività umane, ai diritti riconosciuti in questa Dichiarazione.

 

La visione condivisa è la stabilizzazione delle concentrazioni di gas effetto serra per rendere effettivo l’articolo 2 della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico che sancisce “la stabilizzazione delle concentrazioni di gas effetto serra nell’atmosfera a un livello che impedisca le interferenze antropogeniche pericolose per il sistema climatico”. Noi esigiamo, sulla base del principio della responsabilità storica comune ma differenziata, che i paesi sviluppati s’impegnino prefissando delle mete quantificate per ridurre le emissioni e si possa, in questo modo, tornare a una concentrazione di gas effetto serra nell’atmosfera di 300 ppm e, così, limitare l’aumento della temperatura media globale a un livello massimo di 1°C.

Ponendo enfasi sulla necessità di un’azione urgente per raggiungere questo obiettivo e con il sostegno dei popoli, dei movimenti e delle nazioni, i paesi sviluppati dovranno impegnarsi ponendo mete ambiziose di riduzione delle emissioni che permettano di raggiungere gli obiettivi a breve termine, mantenendo la nostra visione a favore dell’equilibrio del sistema climatico della Terra, d’accordo con l’obiettivo ultimo della Convenzione.

La “visione condivisa” per la “Azione Cooperativa a Lungo Termine” non deve ridursi a negoziazioni sul cambiamento climatico per definire i limiti del riscaldamento globale e delle concentrazioni di gas effetto serra nell’atmosfera, ma deve comprendere in modo integrale ed equilibrato un insieme di misure finanziarie, tecnologiche, adattative, di sviluppo di capacità, di modelli di produzione, di modelli di consumo e altre misure essenziali come il riconoscimento dei diritti della Madre Terra per ristabilire l’armonia con la natura.

I paesi sviluppati, principali colpevoli del cambiamento climatico, assumendo la propria responsabilità storica e attuale, devono riconoscere e onorare il proprio debito climatico in tutte le sue dimensioni, come base per una soluzione giusta, effettiva e scientifica al cambiamento climatico. In questo ambito esigiamo che i paesi sviluppati:

- Ridiano ai paesi in via di sviluppo lo spazio atmosferico che è occupato dalle loro emissioni di gas effetto serra. Questo implica la decolonizzazione dell’atmosfera attraverso la riduzione e l’assorbimento delle loro emissioni.

- Assumano i costi e il bisogno di trasferimento tecnologico dei paesi in via di sviluppo per la perdita delle opportunità di sviluppo derivanti dal vivere in uno spazio atmosferico ristretto.

- Si rendano responsabili delle centinaia di milioni di persone che dovranno migrare a causa del cambiamento climatico da loro provocato ed eliminino le proprie politiche restrittive in materia di migrazione, offrendo ai migranti una vita dignitosa e con tutti i diritti nei loro paesi.

- Assumano il debito di adattamento legato agli impatti del cambiamento climatico nei paesi in via di sviluppo, provvedendo i mezzi per prevenire, minimizzare e facendo attenzione ai danni causati dalle loro eccessive emissioni.

- Onorino questi debiti come parte di un debito maggiore con la Madre Terra, adottando e applicando la Dichiarazione Universale dei Diritti della Madre Terra nelle Nazioni Unite.

 

L’approccio deve essere non soltanto di compensazione economica, ma principalmente di giustizia restauratrice – ossia di restituzione dell’integrità alle persone e ai membri che formano una comunità di vita nella Terra.

Deploriamo l’intento di un gruppo di paesi di annullare il Protocollo di Kyoto, l’unico strumento legalmente vincolante specifico per la riduzione delle emissioni di gas effetto serra dei paesi sviluppati.

Avvisiamo il mondo che nonostante le emissioni dei paesi sviluppati fossero vincolate legalmente, queste sono cresciute del 11,2% tra il 1990 e il 2007.

Gli Stati Uniti, a causa del loro consumo illimitato, hanno aumentato le proprie emissioni di gas effetto serra del 16.8% tra il 1990 e il 2007, emettendo in media tra le 20 e le 23 tonnellate annuali di CO2 per abitante, più di 9 volte le emissioni corrispondenti di un abitante medio del Terzo Mondo o più di 20 volte le emissioni di un abitante dell’Africa Sub sahariana.

Rifiutiamo in maniera assoluta l’illegittima “Intesa di Copenaghen” che permette a questi paesi sviluppati di contrattare riduzioni insufficienti di gas effetto serra, ricorrendo a impegni volontari ed individuali, che violano l’integrità ambientale della Madre Terra conducendoci a un aumento della temperatura di quasi 4ºC.

La prossima Conferenza sul Cambiamento Climatico, che avrà luogo alla fine dell’anno in Messico, deve provvedere all’approvazione della rettifica del Protocollo di Kyoto per il secondo periodo di impegno dal 2013 al 2017 durante il quale i paesi sviluppati dovranno conseguire riduzioni domestiche significative di almeno il 50% rispetto all’anno base del 1990 senza fare ricorso ai mercati del carbonio o ad altri sistemi di sviamento che mascherano l’inadempimento delle riduzioni reali di emissioni di gas effetto serra.

Vogliamo ristabilire, in primo luogo, una meta per l’insieme di paesi sviluppati per, successivamente, realizzare l’assegnazione individuale ad ogni paese sviluppato della propria meta nell’ambito di una comparazione degli sforzi tra ognuno di essi, mantenendo valido in questo modo il sistema del Protocollo di Kyoto per la riduzione delle emissioni.

Gli Stati Uniti d’America, nel loro ruolo di unico paese della Terra dell’Allegato 1 a non avere ratificato il Protocollo di Kyoto, hanno una responsabilità significativa davanti a tutti i popoli del mondo di ratificare il suddetto Protocollo e impegnarsi a rispettare ed eseguire gli obiettivi di riduzione delle emissioni in una scala comprensiva di tutta la sua economia.

Noi popoli abbiamo gli stessi diritti di tutela davanti agli effetti del cambiamento climatico e rifiutiamo la nozione di adattamento al cambiamento climatico intesa come rassegnazione agli effetti provocati dalle emissioni storiche dei paesi sviluppati, che devono adattare i loro stili di vita e consumo a fronte di questa emergenza planetaria. Noi ci vediamo forzati ad affrontare gli impatti del cambiamento climatico, considerando l’adattamento come un processo e non come una imposizione e, in più, come strumento per contrastare tali effetti, dimostrando che è possibile vivere in armonia attraverso un modello di vita diverso.

È necessario costituire un Fondo di Adattamento, un fondo esclusivo per affrontare il cambiamento climatico come parte di un meccanismo finanziario amministrato e gestito di maniera sovrana, trasparente ed imparziale dai nostri stati. In questo Fondo si devono valutare: gli impatti, i costi  e i bisogni che derivano da questi impatti nei paesi in via di sviluppo, registrando e monitorando il sostegno da parte dei paesi sviluppati. L’amministrazione di questo fondo deve includere anche un meccanismo per il risarcimento dei danni per gli impatti avvenuti o futuri, per la perdita di opportunità ed il ristabilimento dagli eventi climatici estremi e graduali, e costi addizionali che potranno presentarsi se il nostro pianeta supera le soglie ecologiche o per quegli impatti che stanno frenando il diritto al “Vivir Bien”.

La “Intesa di Copenaghen” imposta ai paesi in via di sviluppo da alcuni Stati, oltre ad offrire risorse insufficienti, pretende dividere e mettere a confronto i popoli e danneggiare i paesi in via di sviluppo condizionando l’accesso alle risorse di adattamento in cambio di misure di mitigazione. In aggiunta, è inaccettabile che nei processi di negoziazione internazionale si voglia categorizzare i paesi in via di sviluppo in base alla loro vulnerabilità al cambiamento climatico generando dispute, diseguaglianze e divisioni tra loro.

L’immensa sfida che affrontiamo come umanità per limitare il riscaldamento globale e raffreddare il pianeta si vincerà solo portando avanti una profonda trasformazione dell’agricoltura verso un modello sostenibile di produzione agricola contadina ed indigena/originaria e altri modelli e pratiche ancestrali ecologiche che contribuiscano a trovare una soluzione al problema del cambiamento climatico e assicurino la Sovranità Alimentare, intesa come il diritto dei popoli a controllare le proprie sementi, terre, acqua e produzione di cibo, garantendo, attraverso una produzione in armonia con la Madre Terra, locale e culturalmente appropriata, l’accesso dei popoli ad un’alimentazione sufficiente, variata e nutriente in accordo con la Madre Terra ed aumentando la produzione autonoma (partecipativa, comunitaria e condivisa) di ogni nazione e popolo.

Il cambiamento climatico sta già producendo impatti profondi sull'agricoltura e le abitudini di vita dei popoli indigeni/originari e dei contadini del mondo e tali impatti andranno aggravandosi nel futuro.

L'agroindustria attraverso il suo modello sociale, economico e culturale della produzione capitalista globalizzata e la sua logica di produzione degli alimenti per il mercato e non per soddisfare il diritto all'alimentazione, è una delle cause principali del cambiamento climatico. I suoi mezzi tecnologici, commerciali e politici non fanno altro che rendere più profonda la crisi climatica e incrementare la fame sul pianeta. Per questa ragione rifiutiamo i Trattati di Libero Scambio e gli Accordi di Associazione e qualsiasi forma di applicazione dei Diritti di Proprietà Intellettuale sulla vita, gli attuali pacchetti tecnologici (agrochimici, transgenici) e quelli che vengono offerti come false soluzioni (agro combustibili, geoingegneria, nanotecnologie, tecnologia Terminator e simili) che serviranno soltanto ad acuire la crisi attuale.

Allo stesso tempo denunciamo questo modello capitalista che impone megaprogetti di infrastrutture, invade i nostri territori  con progetti estrattivi, privatizza e mercifica l'acqua e militarizza i territori espellendo i popoli indigeni e i contadini dai loro territori, impedendo la Sovranità Alimentare e rendendo più profonda la crisi socio ambientale.

Esigiamo il riconoscimento del diritto di tutti i popoli, degli esseri viventi e della Madre Terra ad accedere e godere dell'acqua e appoggiamo la proposta del Governo boliviano di riconoscere l'acqua come un Diritto Umano Fondamentale.

La definizione di bosco usata durante i negoziati della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, che include le piantagioni, è inaccettabile. Le monocolture non sono boschi. Pertanto, esigiamo una definizione nei negoziati che riconosca i boschi nativi, la foresta e la diversità degli ecosistemi della terra.

La Dichiarazione dell'Onu sui Diritti dei Popoli Indigeni deve essere pienamente riconosciuta, implementata e integrata nei negoziati sui cambiamenti climatici. La strategia e l'azione migliori per evitare la deforestazione ed il degrado e proteggere i boschi nativi e la foresta, è riconoscere e garantire i diritti collettivi delle terre e territori  dato che la maggior parte dei boschi e delle foreste si trovano nei territori dei popoli e delle nazioni indigene e delle comunità contadine e tradizionali.

Condanniamo i meccanismi di mercato, come il meccanismo REDD (Riduzione delle emissioni della deforestazione e degrado forestale) e le sue versioni + e ++, che viola la sovranità dei Popoli ed il loro diritto al consenso libero, previo ed informato, così come la sovranità degli Stati nazionali, e viola i diritti, gli usi e i costumi dei Popoli ed i Diritti della Natura.

I paesi inquinatori sono obbligati a trasferire in maniera diretta le risorse economiche e tecnologiche per pagare il ristabilimento ed il mantenimento dei boschi e delle foreste, in favore dei popoli e delle strutture ancestrali indigene, originarie e campesine. Questa sarà una compensazione diretta ed addizionale rispetto alle fonti di finanziamento promesse dai paesi sviluppati, al di fuori del mercato del carbonio e non costituendo mai compensazione di carbonio (offset). Chiediamo ai paesi di fermare le iniziative locali nei boschi e nelle foreste basati su meccanismi di mercato che propongono risultati inesistenti e condizionati. Esigiamo dai governi un programma mondiale di restaurazione dei boschi nativi e delle foreste diretto e amministrato dai popoli, attraverso l'implementazione di semi fruttiferi e di flora autoctoni. I governi devono eliminare le concessioni forestali e appoggiare il mantenimento del petrolio sotto terra, fermando lo sfruttamento degli idrocarburi nelle foreste.

Esigiamo che gli Stati riconoscano, rispettino e garantiscano l'effettiva applicazione degli standard internazionali dei diritti umani e dei diritti dei Popoli Indigeni, in particolare la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni e l'Accordo 169 dell'OIL, tra gli altri, nel quadro di negoziati, politiche e misure atte a risolvere le sfide determinate dai cambiamenti climatici. In particolare, chiediamo agli Stati di riconoscere giuridicamente la preesistenza del diritto sui nostri territori, terre e risorse naturali per rendere possibile e per rafforzare le nostre forme di vita tradizionali e contribuire efficacemente alla soluzione del problema del cambiamento climatico.

Chiediamo la piena e reale applicazione del diritto alla consultazione, la partecipazione ed il consenso previo, libero ed informato dei Popoli Indigeni in tutti i processi di negoziazione così come nel disegno delle misure relative al cambiamento climatico.

Il degrado ambientale ed i cambiamenti climatici raggiungeranno livelli critici ed avranno come una delle conseguenze principali, la migrazione interna ed internazionale. Secondo alcune stime, nel 1995 c'erano circa 25 milioni di migranti climatici, mentre oggi sono circa 50 milioni e le proiezioni per il 2050 vanno dai 200 ai 1.000 milioni di persone che saranno costrette a spostarsi a causa di situazioni generate dai cambiamenti climatici.

I paesi sviluppati devono assumersi la responsabilità dei migranti climatici, accogliendoli nei loro territori e riconoscendo i loro diritti fondamentali, attraverso la firma di accordi internazionali che contemplino la definizione di migrante climatico in modo tale che tutti gli stati la rispettino.

Costituire un Tribunale Internazionale di Coscienza per denunciare, dare visibilità, documentare, giudicare e sanzionare le violazioni dei diritti di migranti, rifugiati/e e sfollati nei paesi d'origine, transito e destinazione, identificando chiaramente le responsabilità di Stati, imprese e altri attori.

L'attuale finanziamento destinato ai paesi in via di sviluppo per i cambiamenti climatici e la proposta dell'accordo di Copenaghen sono esigui. I paesi sviluppati devono impegnarsi ad un nuovo finanziamento annuale, in aggiunta all'Aiuto Ufficiale allo Sviluppo e di provenienza pubblica, di almeno il 6% del PIL per fare fronte ai cambiamenti climatici nei PVS. Tutto ciò è fattibile se si pensa che tali paesi spendono una cifra simile per la difesa nazionale e che hanno destinato una cifra 5 volte superiore per salvare banche e speculatori dalla banca rotta, cosa che mette seriamente in discussione le loro priorità mondiali e la loro volontà politica. Questo finanziamento deve essere diretto, senza condizioni e non deve mettere in pericolo la sovranità nazionale né l'autodeterminazione delle comunità e dei gruppi coinvolti.

A causa dell'inefficienza del meccanismo attuale, alla Conferenza che si terrà in Messico, si dovrà stabilire un nuovo meccanismo di finanziamento che funzioni sotto l'autorità della Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, rendendo conto alla stessa, con una rappresentazione significativa dei paesi in via di sviluppo per garantire il compimento degli impegni di finanziamento dei paesi, Allegato 1.

E' stato constatato che i paesi sviluppati hanno incrementato le loro emissioni nel periodo 1990-2007, nonostante avessero manifestato che la riduzione sarebbe stata coadiuvata con meccanismi di mercato.

Il mercato del carbonio si è trasformato in un affare lucrativo, che mercifica la nostra Madre Terra e non rappresenta un'alternativa per affrontare il cambiamento climatico, dato che saccheggia, devasta la terra, l'acqua e la vita stessa.

La recente crisi finanziaria ha dimostrato che il mercato è incapace di regolare il sistema finanziario, che è fragile e insicuro davanti alla speculazione e all'entrata in scena di agenti intermediari, pertanto, sarebbe assolutamente irresponsabile lasciare nelle sue mani la cura e la protezione dell'esistenza umana stessa e della nostra Madre Terra.

Consideriamo inammissibile che i negoziati in corso pretendano di creare nuovi meccanismi che amplino e promuovano il mercato del carbonio benché tutti i meccanismi già esistenti non abbiamo mai risolto il problema del Cambiamento Climatico né si siano mai trasformati in azioni reali e dirette per la riduzione dei gas serra.

È indispensabile sia esigere l'attuazione degli impegni assunti dai paesi sviluppati nella Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici in materia di sviluppo e trasferimento di tecnologie, sia rifiutare la “vetrina tecnologica” proposta dai paesi sviluppati che commercializzano soltanto la tecnologia. È fondamentale stabilire delle linee per creare un meccanismo multilaterale e multidisciplinare per un controllo partecipativo, la gestione e la valutazione continua dello scambio di tecnologie. Tali tecnologie devono essere utili, pulite e socialmente adeguate. Allo stesso modo è fondamentale stabilire un fondo di finanziamento e inventario di tecnologie appropriate e libere dai diritti di proprietà intellettuali, in particolare, di brevetti che debbano passare da monopoli privati a dominio pubblico, di libero accesso e basso costo.

La conoscenza è universale e per nessun motivo può essere oggetto di proprietà privata e di uso privato, così neanche le sue applicazioni in forma tecnologica. È dovere dei paesi sviluppati condividere le loro tecnologie con i paesi in via di sviluppo, creare centri di ricerca per lo sviluppo di tecnologie e innovazioni proprie, così come difendere e promuovere il loro sviluppo e applicazione per il Vivir Bien. Il mondo ha bisogno di recuperare, imparare di nuovo i principi e gli approcci del patrimonio ancestrale dei popoli indigeni per fermare la distruzione del pianeta, così come le conoscenze e le pratiche ancestrali e il recupero della spiritualità nella riabilitazione del Vivir Bien in collegamento con la Madre Terra.

Considerando la mancanza di volontà politica dei paesi sviluppati di soddisfare in maniera effettiva i loro obblighi e impegni assunti nell’ambito della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico e il Protocollo di Kyoto, e a fronte della mancanza di un organo giuridico internazionale che prevenga e sanzioni tutti i delitti e crimini climatici e ambientali che attentano ai diritti della Madre Terra e dell’umanità, chiediamo la creazione di un Tribunale Internazionale di Giustizia Climatica e Ambientale che abbia la capacità giuridica vincolante di prevenire, perseguire e punire gli Stati, le Imprese e persone che per azione o omissione contaminano e provocano il cambiamento climatico.

Sostenere gli Stati che presentano domanda presso la Corte Costituzionale di Giustizia contro i paesi sviluppati che non rispettano i loro impegni nell’ambito della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico e il Protocollo di Kyoto, inclusi gli impegni a ridurre le emissioni di gas serra.

Invitiamo i popoli a proporre e promuovere una profonda riforma delle Nazioni Unite (ONU), in modo che tutti gli Stati Membri rispettino le decisioni del Tribunale Internazionale di Giustizia Climatica e Ambientale.

Il futuro dell’umanità è in pericolo e non può accettare che un gruppo di governanti di paesi sviluppati decidano per tutti i paesi come hanno cercato infruttuosamente di fare durante la Conferenza delle Parti di Copenhagen. Questa decisione spetta a noi, tutti i popoli. Per questo è necessaria la realizzazione di un Referendum Mondiale sul cambiamento climatico nel quale tutti siamo consultati su: il livello di riduzione delle emissioni che i paesi sviluppati e le imprese internazionali devono rispettare, il finanziamento che devono emettere i paesi sviluppati; la creazione di una Corte Internazionale di Giustizia Climatica; la necessità di una Dichiarazione Universale dei diritti della Madre Terra e la necessità di cambiare l’attuale sistema capitalistico.

Il processo del Referendum Mondiale, plebiscitario o consultazione popolare, sarà frutto di un percorso di preparazione che garantisca lo sviluppo positivo dello stesso.

Al fine di coordinare le nostre attività internazionali e implementare i risultati di questo “Accordo dei Popoli” chiamiamo a dare vita ad un Movimento Mondiale dei Popoli per la Madre Terra che si basi sui principi di complementarietà e rispetto per le diverse origini e visioni dei suo membri, costituendosi come uno spazio ampio e democratico di coordinamento e articolazione delle azioni a livello mondiale.

A tale fine adottiamo il piano di azione mondiale perché in Messico i paesi sviluppati dell’Annesso 1 rispettino il quadro giuridico esistente e riducano le loro emissioni di gas effetto serra del 50% e assumano le differenti proposte contenute in questo Accordo.

Infine, siamo d’accordo a realizzare la 2ª Conferenza Mondiale dei Popoli sul Cambiamento Climatico e i Diritti della Madre Terra nel 2011 come parte di questo processo di costruzione del Movimento Mondiale dei Popoli per la Madre Terra e per reagire ai risultati della Conferenza sul Cambio Climatico che si realizzerà alla fine di questo anno a Cancún in Messico.

 

(traduzione da sito A-sud)

Di Atilio A. Boron

(TRADUZIONE A CURA DELLA COMMISSIONE INTERNAZIONALE DELLA RETE DEI COMUNISTI)

14 marzo 2012

 

In un giorno come questo, 129 anni fa, moriva serenamente a Londra, a 65 anni d’età, Karl Marx. Ha avuto la stessa sorte di tutti i grandi geni, sempre incompresi dalla mediocrità imperante e dal pensiero legato al potere ed alle classi dominanti. Come Copernico, Galileo, Servet, Darwin, Einstein e Freud, per nominarne solo pochi, è stato vituperato, perseguitato, umiliato.

E' stato ridicolizzato da nani intellettuali e burocrati accademici che non gli arrivavano neanche alle caviglie, da politici compiacenti con il potere di turno ai quali ripugnavano le sue concezioni rivoluzionarie. L’accademia ha fatto molta attenzione a sigillare le sue porte, e né lui né il suo amico ed eminente collega, Friedrich Engels, hanno mai avuto accesso ai chiostri universitari.

Per di più, Engels, di cui Marx avrebbe detto che era “l’uomo più colto d’Europa” non aveva neanche studiato all’università. Invece Marx e Engels hanno prodotto un’autentica rivoluzione copernicana nelle scienze umane e sociali: dopo di loro, malgrado sia difficile separare le loro opere, possiamo dire che dopo Marx, né le scienze umane né quelle sociali sarebbero tornate ad essere quelle di prima.

L’ampiezza enciclopedica delle loro conoscenze, la profondità della loro prospettiva, la loro testarda ricercadelle evidenze che confermavano le loro teorie, hanno fatto sì che Marx, date tante volte per morte le loro teorie e la loro eredità filosofica, sia più attuale che mai.

Il mondo di oggi somiglia in modo sorprendente a quello che lui ed il suo giovane amico Engels avevano pronosticato in un testo stupefacente: Il Manifesto Comunista. Questo sordido mondo di oligopoli rapaci e predatori, di guerre di conquista, degradazione della natura e saccheggio dei beni comuni, di disintegrazione sociale, di società polarizzate e di nazioni separate da abissi di ricchezza, potere e tecnologia, di plutocrazie travestite per sembrare democrazie, di uniformità culturale tarata sull’American way of life, è il mondo che hanno anticipato in tutti i loro scritti.

Per questo sono molti quelli che ormai, nei capitalismi sviluppati, si chiedono se il ventunesimo secolo non sarà il secolo di Marx. Rispondo a questa domanda con un sì senza esitazioni, e già lo stiamo vivendo: le rivoluzioni in marcia nel mondo arabo, le mobilitazioni degli indignati in Europa, la potenza plebea degli islandesi che si scontrano e sconfiggono i banchieri, e le lotte greche contro i sadici burocrati della Commissione Europea, del FMI e della Banca Centrale Europea, il sentiero di polvere dei movimenti Occupy Wall Street che ha coinvolto più di cento città statunitensi, le grandi lotte che in America Latina hanno sconfitto l’ALCA, e la sopravvivenza dei governi di sinistra nella regione, cominciando dall’eroico esempio cubano, sono tante altre dimostrazioni del fatto che l’eredità del grande maestro è più viva che mai.

Il carattere decisivo dell’accumulazione capitalista, studiata da nessun altro come neIl Capitale, era negata da tutto il pensiero borghese e dai governi di questa classe che affermavano che la storia era mossa dalla passione dei grandi uomini, dai credo religiosi, dai risultati di eroiche battaglie o impreviste contingenze della storia. Marx ha tirato fuori l’economia dalle catacombe e, non solo ha segnalato la sua centralità, ma ha anche dimostrato che tutta l’economia è politica, che nessuna decisione economica è scevra di connotazioni politiche.

Anzi, che non c’è sapere più politico e politicizzato di quello dell’economia,  andando contro i tecnocrati di ieri e di oggi che sostengono che i loro piani regolatori e le loro assurde elucubrazioni econometriche obbediscono a meri calcoli tecnici e che sono politicamente neutri. Oggi ormai nessuno crede seriamente a queste favole, neanche i personaggi di destra (anche se si astengono dal confessarlo).

Si potrebbe dire, provocando il sorriso furbetto di Marx dall’aldilà, che oggi sono tutti marxisti però comeMonsieur Jordan, quel personaggio de Il Borghese Gentiluomo di Molière, che parlava in prosa senza saperlo. Perciò quando è esplosa la nuova crisi generale del capitalismo tutti sono corsi a comprare Il Capitale, cominciando dai governanti dei capitalismi metropolitani.

È che la situazione era, ed è, molto grave per stare a perdere tempo con le sciocchezze di Milton Friedman, Friedrich von Hayek o le monumentali stupidaggini degli economisti del FMI, della Banca Mondiale o della Banca Centrale Europea, tanto inetti quanto corrotti e che a causa di entrambe queste cose, non sono stati capaci di pronosticare la crisi che, come uno tsunami, sta spazzando i capitalismi metropolitani. Per questo, per meriti propri e per vizi altrui, Marx è più vivo che mai e il faro del suo pensiero espande una luce ogni volta più chiarificatrice sulle tenebrose realtà del mondo attuale.

"Più che mai è necessario ripensare la nostra America Latina a partire dalle esperienze dei nostri paesi, e le sfide che pongono i processi di integrazione, della crisi e la necessità della stessa trasformazione di questi popoli” Jorge Lara Castro, Ministro degli Esteri del Paraguay.

18 marzo 2012 della Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti

 

 

Si è svolta sabato  17 marzo ad Asunción, Paraguay, la Riunione ordinaria del Consiglio dei Ministri degli Esteri dell’UNASUR-Unione delle Nazioni Sudamericane, preceduta da tre sessioni del Consiglio dei Delegati e Delegate  che si sono riunite dal mercoledì al venerdì.

Inaugurando la riunione ministeriale, il Ministro degli Esteri del Paraguay Jorge Lara Castro ha detto che la crisi internazionale esistente è conseguenza del potere egemonico di una minoranza su una maggioranza indifesa.

Ci sono milioni di esclusi dalle possibilità economiche e sociali, per questo è necessario superare ogni frammentazione politica e recuperare spazi per preservare le risorse e la cultura latino americana.

Per Jorge Lara Castro è necessario che la "America Latina abbia sufficiente intelligenza e progetti strategici per contribuire al nuovo ordine economico internazionale, e preservare le risorse vitali di cui disponiamo, risorse energetiche, risorse della terra, risorse degli alimenti, risorse dei nostri talenti, e su questa base possiamo continuare a risolvere gradualmente la trasformazione dei nostri paesi, superando queste differenze, queste brecce che abbiamo ereditato e fortificando la capacità e le iniziative dei nostri governi e dei nostri paesi".

Per il Ministro degli Esteri del Paraguay solo l’indipendenza e la sovranità permetteranno ai paesi latinoamericani di coltivare un futuro diverso.

L’Unasur si è consolidata come punto di incontro per le soluzioni dei conflitti  e la difesa degli interessi dei popoli sudamericani davanti alla crisi che colpisce il modello economico neoliberista.

María Emma Mejía, la Segretaria Esecutiva dell’Unasur  nella sua relazione ha sottolineato i progressi fatti nell’ultimo anno in tema di Difesa, Infrastrutture e Telecomunicazioni.

A maggio sarà presentato il Registro Sudamericano delle Spese in Difesa che per la prima volta permetterà di rendere trasparenti le erogazioni dei dodici Stati Membri dell’Unasur.

Ha definito ”una decisione storica” l’approvazione di una Agenda Prioritaria di Progetti di Integrazione (API) che comprende 88 opere di infrastruttura che connetteranno il subcontinente  con un investimento di 15 miliardi di dollari e che sarà conclusa entro il 2022.

Altro fatto concreto, l’approvazione lo scorso 9 marzo da parte dei ministri delle Telecomunicazioni di una tabella di marcia per implementare in un periodo di 18 mesi la “Rete di Connessione Sudamericana per l’Integrazione”, che comprende connessioni in fibra ottica per via terrestre e sottomarina che permetterà di ampliare l’accesso e di ridurre i costi di Internet.

Ha sottolineato anche i progressi nella creazione di un Osservatorio Sudamericano sul problema mondiale della droga e la decisione di creare un’istanza che affronti il tema della Delinquenza Organizzata Internazionale; tema che sarà definito in una riunione dei Ministri della Difesa, della Giustizia e degli Interni che si terrà a Cartagena, Colombia il 3 e 4 maggio.

Come ha sottolineato il venezuelano  Alí Rodríguez Araque, che sostituirà a maggio la colombiana María Emma Mejía nella Segreteria Esecutiva, “L’Unasur persegue giustamente la complementarietà  economica, la cooperazione, la solidarietà, al posto dell’imposizione di condizioni”.

I Ministri degli Esteri dei 12 Stati Membri dell’Unasur  hanno deciso con questa riunione di affrontare congiuntamente le sfide della crisi economica e finanziaria mondiale e di preservare le economie della regione nella rotta della crescita. In una dichiarazione congiunta hanno segnalato che la crescita deve essere coniugata con l’uguaglianza e la giustizia per avanzare nell’integrazione economica,  e per realizzare la piena ed effettiva integrazione politica, economica, sociale, culturale, energetica, ambientale e di infrastruttura della regione è fondamentale consolidare la nuova architettura regionale, utilizzando gli sforzi e i progressi realizzati dai  Consigli Settoriali e Gruppi di Lavoro dell’Unasur.

Questa riunione ha ribadito, inoltre, prese di posizioni politiche su argomenti di importanza fondamentale per il futuro e lo sviluppo dell’integrazione regionale, quali l’occupazione neocoloniale delle Malvinas o l’esclusione di Cuba dall’OEA-Organizzazione degli Stati Americani e il blocco economico contro Cuba.

I cancellieri dei paesi membri di Unasur hanno condannato la presenza militare britannica nelle Isole Malvinas, considerandola contraria alla politica regionale di ricerca di una soluzione pacifica della disputa per la sua sovranità; hanno ribadito il loro ripudio delle attività unilaterali del Regno Unito nella zona che includono anche l’esplorazione e lo sfruttamento di risorse naturali dell’Argentina, così come la realizzazione di esercitazioni militari, violando le risoluzioni dell'ONU; hanno riaffermato il richiamo al Regno Unito affinché, in risposta alla piena disponibilità dell'Argentina a riannodare negoziazioni per mettere fine alla disputa di sovranità – in conformità alle risoluzioni dell’ONU – si decida ad aprire un tavolo di  trattative; hanno sottolineato la disponibilità del governo argentino a raggiungere per via negoziale una soluzione definitiva di questa anacronistica situazione coloniale sul suolo sud-americano.

Da parte sua il Ministro degli Esteri venezuelano, Nicolás Maduro, ha affermato che i paesi partecipanti all’Alba - Alleanza Bolivariana per i Popoli di Nuestra America, esigeranno nel Vertice delle Americhe, che si riunirà tra il 14 ed il 15 aprile a Cartagena (Colombia), la cessazione immediata del blocco statunitense contro Cuba.

Maduro ha lamentato, inoltre, l’abituale esclusione di Cuba dal prossimo Vertice delle Americhe per il solito veto degli Stati Uniti e ha sottolineato che l’Alba sta svolgendo consultazioni non solo tra i suoi membri, ma anche tra altre nazioni,  per raggiungere una decisione definitiva sulla presenza al vertice delle Americhe e sulla posizione da assumere.

L’Alba è stata molto chiara in riferimento all’esclusione di Cuba ed esige quello che l’ONU ha già approvato numerose volte, ma che gli Stati Uniti hanno sempre ostacolato ponendo  il veto, ossia che cessino le vessazioni contro Cuba, tra cui il blocco commerciale.

Proprio in questi giorni La Santa Sede ha condannato il blocco statunitense contro Cuba, in una dichiarazione che precede la visita del Papa Benedetto XVI nell’Isola. In una conferenza stampa Federico Lombardi, il portavoce del Vaticano, ha evidenziato come siano le persone coloro che soffrono le conseguenze dell’ingiunzione statunitense di un blocco economico, commerciale e finanziario imposto da più di mezzo secolo. “La Santa Sede non crede che questa sia una misura positiva e utile”.

Riguardo a questa importante riunione, crediamo che sia di grande rilievo l’esortazione del Ministro degli Esteri venezuelano Maduro che reputa auspicabile che tutti gli Stati  dell’America Latina, e non soltanto quelli dell’Alba, abbandonino quell’atteggiamento da colonizzati che ancora qualcuno nutre nei confronti degli Stati Uniti e sappiano scrivere il loro diverso destino fatto di emancipazione, di cooperazione e solidarietà.

Già in precedenza, durante l’XI Vertice dell’ALBA tenutosi a Caracas il 5 febbraio, il Presidente dell’Ecuador Rafael Correa aveva rivendicato il ruolo dell’ALBA come incontro di popoli e governi che condividono l’idea di un’America Latina e Caraibica come una unica Grande Nazione e che uniti affrontano insieme le sfide del presente e del futuro. E in tale spirito aveva proposto ai paesi dell’ALBA di rivedere la propria partecipazione al 6° Vertice delle Americhe, perché “non ha senso parlare di vertice delle Americhe senza la partecipazione di Cuba”.  

La scorsa settimana Evo Morales a Vienna, dove ha partecipato all'apertura del plenaria della Commissione Stupefacenti dell'ONU per difendere l'uso tradizionale e culturale della foglia di coca, ha affermato “in nome del governo e del popolo boliviano” che “è inammissibile” che gli Stati Uniti non accettino la presenza di Cuba al Vertice delle Americhe ed ha definito tale posizione come “discriminatoria ed antidemocratica”.

Per il Presidente della Bolivia, gli Stati Uniti vogliono imporre di autorità al resto dei paesi del continente il loro veto alla partecipazione di Cuba all’appuntamento in Colombia. Questo atteggiamento per Evo Morales esacerba la posizione antimperialista nei paesi e nei popoli dell’America Latina.

Proprio a ridosso della Riunione dei Ministri degli Esteri, in una conferenza stampa congiunta svoltasi a Sao Paulo (Brasile), sia il cancelliere argentino Hector Timerman che il suo omologo brasiliano Antonio Patriota hanno manifestato il loro proposito che il Vertice delle Americhe di aprile dovrà essere l’ultimo senza la partecipazione di Cuba.

Patriota ha aggiunto che già nel vertice precedente l’allora presidente brasiliano, Luiz Inacio Lula da Silva, aveva manifestato la sua intenzione che Cuba partecipasse all’incontro. Il ministro ha ribadito che la presenza dell’isola caraibica all’appuntamento è necessaria affinché “finalmente sia davvero il Vertice delle Americhe.”

Ángela Holguín, il Ministro degli Esteri della Colombia ha segnalato che da parte di diversi paesi, tra i quali Perù, Argentina e Nicaragua è stata avanzata la richiesta che a  Cartagena si parli dell’esclusione di Cuba e del blocco che gli Stati Uniti mantengono contro l’Isola.

Crediamo sia questo un momento molto importante per i paesi dell’America Latina nel cammino che hanno intrapreso consapevolmente e liberamente verso l’autodeterminazione sociale, economica e politica.

L’Unasur, la Celac, l’Alba sono tutte espressioni diverse della volontà del continente latino americano di liberarsi di secoli di colonialismo e di decenni di politiche neoliberiste che lo hanno deprivato, non solo di materie prime, ma soprattutto di dignità, di libertà e di sovranità nazionale; espressioni anche del rifiuto del ruolo di   “patio trasero” degli Stati Uniti.

Tutti i paesi anche se con accenti diversi, anche se alcuni più timidamente come il Perù, e altri più coraggiosamente come i paesi partecipanti dell’Alba, vogliono l’integrazione senza la tutela degli Stati Uniti.

Anche la Chiesa - che ha avuto in America Latina rappresentanti coraggiosi come il Cardinale Romero o i padri della Teologia della Liberazione, ma anche personaggi a dir poco discutibili e vigliacchi come quelli che sono stati complici del potere durante le terribili dittature militari - oggi assume una posizione di critica verso la politica americana di blocco contro Cuba.

Crediamo che nei prossimi mesi si giocheranno partite molto importanti, in America Latina, per la definizione di un nuovo organismo continentale con l’integrazione senza la tutela degli Stati Uniti e nel rispetto della diversità, in un contesto di solidarietà, cooperazione e complementarietà.

 

http://www.alianzabolivariana.org/modules.php?name=News&file=article&sid=8401

http://unasursg.org/index.php?option=com_content&view=article&id=566:secretaria-general-destaca-avances-en-defensa-infraestructura-y-telecomunicaciones&catid=66:noticias-unasur

http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&id=488648&Itemid=1

http://it.cubadebate.cu/notizie/2012/03/13/non-piu-vertici-senza-cuba-esigono-i-cancellieri/

http://it.cubadebate.cu/notizie/2012/03/11/la-bolivia-definisce-inammissibile-lesclusione-di-cuba-dal-vertice-delle-americhe/

http://www.granma.cu/italiano/nuestra-america/9mar-Il%20tema.html

Nasce la ULAN Unione Latinoamericana Agenzie di Notizie. La sua storia inizia nell’ottobre del 2010 a Buenos Aires dove si erano riuniti rappresentanti delle agenzie pubbliche di notizie dell’America Latina per discutere della costruzione di un blocco regionale di produzione informativa. A seguito ci sono stati altri incontri e, alla fine, il 2 e 3 giugno di quest’anno, a Caracas, è nata la ULAN.

A questa Unione partecipano Télam dell’Argentina, ABI della Bolivia, la  Agencia BrasilPrensa Latina di Cuba, l’Agenzia Pubblica di Notizie dell’Ecuador e Sudamerica (ANDES), l’Agenzia Guatemalteca di Notizie (AGN), l’Agenzia di Notizie dello Stato Messicano (Notimex), l’Agenzia d’informazione pubblica del Paraguay (IP) e l’Agenzia Venezuelana die Notizie (AVN).

L’obiettivo dichiarato della ULAN è la promozione della democrazia e della comunicazione in America Latina per arricchire l’integrazione regionale dei popoli. E, di fatto, i paesi che vi collaborano hanno sicuramente politiche e prospettive diverse, ma sono avvicinati dal comune interesse a collaborare in questa Unione perché, come dice Héctor Villarreal,  direttore del messicano Notimex “il legame con agenzie Latinoamericane e caraibiche è di vitale importanza dal punto di vista sociale, geografico ed economico”.

Il 13 dicembre scorso il presidente dell’ULAN, Sergio Fernández Novoa,  ha inaugurato l’inizio della programmazione anche sul primo canale della TV pubblica del Paraguay auspicando, insieme al Ministro dell’Informazione e Comunicazione di quel paese, Augusto Dos Santos, “una comunicazione più plurale, democratica e diversa”.

E, sempre nel campo dell’informazione e delle comunicazioni dell’America Latina, c’è da segnalare che, durante l’illustrazione del bilancio annuale dell’UNASUR (Unione delle Nazioni Sudamericane), la Segretaria Generale  María Emma Mejía ha presentato la nuova pagina web dell’organizzazione, www.unasursg.org, che mette insieme tutta l’informazione dei Consigli e Istituzioni di questo organismo, le notizie che si pubblicano sulle attività svolte, l’agenda ecc.

La Colombia è stata l’ultimo paese dell’area a ratificare, il 14 novembre scorso a Quito, il legame con quest’altro strumento (UNASUR) che i paesi dell’America Latina si stanno dando per  rafforzare il processo di consolidamento economico/culturale che ormai da qualche tempo stanno portando avanti in maniera unitaria su base regionale, a prescindere dai governi che sono in capo ai singoli stati (e che non si possono certamente dire omogenei tra loro).

Questi paesi credono tutti in un processo d’integrazione che porterà dialogo “produttivo e fruttifero” in tutti i campi, e, durante la ratifica del trattato, la ministra degli esteri colombiana María Ángela Holguín ha apertamente ricordato l’importanza dell’incontro previsto per il 30 novembre a Brasilia (in cui sono stati poi presi accordi e fatti progetti per reti fluviali, viarie e ferroviarie che unificano strutturalmente la regione) ed ha sottolineato che “una sola voce ha più forza”, probabilmente riferendosi anche al fatto che tutto questo crea enormi opportunità di profitto al capitale regionale affrancandolo dallo sfruttamento delle multinazionali statunitensi, giapponesi, ecc. che hanno da sempre fatto il bello e il cattivo tempo.

L’UNASUR, del resto, già da prima della ratifica colombiana stava seguendo un suo percorso di riconoscimenti e consolidamento (è stato approvato il suo stato di Osservatore presso l’Assemblea Generale dell’ONU) e si è data una serie di organismi (Consigli) che coprono parecchi campi:

·       Consejo de Salud Suramericano (CSS) (Salute)

·       Consejo Suramericano de Desarrollo Social (CSDS) (Sviluppo)

·       Consejo Suramericano de Infraestructura y Planeamiento (COSIPLAN) (Infrastrutture e Pianificazione)

·      Consejo Suramericano de Educación, Cultura, Ciencia, Tecnología e Innovación (COSECCTI)(Istruzione, cultura, scienze, tecnologia e innovazione)

·      Consejo Suramericano sobre el Problema Mundial de las Drogas (Problema droghe)

·      Consejo de Defensa Suramericano (CDS) (Difesa)

·      Consejo Suramericano de Economía y Finanzas (CSEF) (Economia e Finanza)

·      Consejo Energético Suramericano (Energie)

Già dal semplice elenco delle materie d’interesse dell’UNASUR, si capisce come questa sia specchio di necessità ed intenzioni ormai definite, determinate e, soprattutto, strategiche da parte di tutti gli Stati dell’area Latino Americana e Caraibica che si stanno riprendendo spazi, risorse e potere che sembravano ormai da tempo ad unico appannaggio degli USA.

Tutti questi organismi, che a vari livelli si sta dando l’area Latino Americana e Caraibica (dalla CELAC all’UNASUR, all’ULAN e l’ALBA) stanno di fatto precludendo il perpetuarsi della politica spudoratamente imperialista degli Stati Uniti del nord America, che, forse anche per questo, stanno ormai palesemente cercando di trasferire la loro influenza imperiale in Asia: non c’è più abbastanza posto per loro nell’ex  “cortile di casa”.

 

http://agenciasulan.org/2011/12/hector-villarreal-america-latina-es-parte-de-nuestra-nacionalidad/http://agenciasulan.org/historia/

http://agenciasulan.org/2011/12/unasur-balance-2011-y-nueva-pagina-web/

http://unasursg.org/index.php?option=com_content&view=article&id=416:una-sola-voz-tiene-mas-fuerza-subrayo-canciller-de-colombia-al-depositar-ratificacion-al-tratado-constitutivo-de-unasur&catid=66:noticias-unasur

a cura della Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti

di  Nuestra America - R.d.C

I processi di integrazione regionale latinoamericano procedono in modo significativo. Dall’Alba a Unasur al Celac che si sta riunendo in Venezuela, i paesi dell’America Latina rafforzano la cooperazione e si   rendono indipendenti dal Washington Consensus. Una rivoluzione praticamente.

La prima riunione della Cupola dell’America Latina e dei Caraibi (CALC) che lanciò l’idea di creare la Comunità degli Stati Latino-Americani e Caraibici (CELAC), si tenne nel 2008 a Salvador de Bahia, Brasile. Nel 2010 a Cancún in Messico, si è tenuta la seconda riunione nella quale i leader politici decisero di creare la CELAC, a partire dalla fusione della CALC e del Gruppo di Rio, entità che inglobavano i leader politici disposti a cercare un’integrazione della regione, per liberarsi dell'influenza statunitense.

L’America Latina e i Caraibi concretizzeranno il sogno del Libertador Simon Bolivar, cioè il progetto storico di unità della Patria Grande, per garantire al popolo “la maggior somma di felicità possibile, la maggior somma di sicurezza sociale e la maggior somma di stabilità politica”(1) , quando  si celebrerà a Caracas il 2 e 3 dicembre la nascita della CELAC, la Comunità degli Stati dell'America Latina e Caraibi, alla presenza di 33 presidenti e capi di governo, esclusi USA e Canada. “È il progetto di Bolívar contro Monroe. È il sogno dell'unità continentale contro le interferenze dei paesi imperialisti. Il sogno di  seppellire l'OSA, l’Organizzazione degli Stati Americani, ottemperando nel bicentenario indipendentista a un ideale di complementarità, di solidarietà, di sovranità e di giustizia sociale.” (2)

Il presidente dell’Ecuador Rafael Correa ha dichiarato che il paese parteciperà all’evento con molte aspettative e con l’aspirazione che la CELAC sostituisca l’OSA di cui ha stigmatizzato diverse azioni a favore degli interessi statunitensi e contro la sovranità dei popoli latino-americani, come il caso della guerra delle Malvinas, quando gli Stati Uniti non appoggiarono l’Argentina, uno dei suoi stati membri, ma la Gran Bretagna, un paese extra-continentale, violando il Trattato Interamericano di Protezione Reciproca.

 Il segretario generale dell’Associazione Latinoamericana di Integrazione (Aladi), Carlos Álvarez, ritiene che la CELAC rappresenti “il simbolo più potente e più forte della volontà politica di costruire autonomie nazionali e regionali….Non vogliamo essere più il patio trasero di nessuno. Le politiche dell’America Latina le risolvono i latinoamericani e questo è un avanzamento straordinario”. Soprattutto in un momento come quello che stiamo vivendo oggi, in cui assistiamo al crollo, sotto tutti i punti di vista, di un mondo iniziato negli anni settanta, basato sulla concentrazione della ricchezza e la diseguaglianza, e all’affermarsi sullo scenario mondiale di nuovi paesi, come l’America Latina che per la prima volta cominciano a costituirsi non più “come oggetto della storia, ma come soggetti di un divenire e di una intenzione di costruire una globalizzazione dal volto umano e più giusta.” (3)    

In un interessantissimo articolo su AVN Agencia Venezolana de Noticias - Dalla crisi globale alla CELAC - Sergio Rodriguez Gelfenstein si chiede se la crisi che stiamo vivendo sia la crisi del sistema capitalista che governa il mondo da poco più di 150 anni, oppure sia la crisi del modello di civiltà occidentale nato in Europa più di 25 secoli fa e che poi si è diffuso a prezzo di conquiste, guerre, schiavitù e sterminio di centinaia di milioni di persone. Il capitalismo e l’imperialismo in fin dei conti sono solo le ultime due fasi di questo modello.

Siamo arrivati a un punto tale di declino e decadenza dei principi costituzionali e del diritto internazionale, che questi stessi sono sottomessi al beneficio del profitto: la Carta delle Nazioni Unite e la Dichiarazione dei Diritti Umani Universali sono diventati carta straccia, per cui assistiamo impotenti alle dimostrazioni di forza muscolare degli Stati Uniti contro Afghanistan e Iraq, della Nato contro la Libia, o alle minacce di aggressione contro la Siria e l’Iran per esportare la democrazia occidentale in Medio Oriente.

In Europa la crisi sistemica del capitalismo non solo induce i governi di destra e di sinistra ad accelerare i processi di trasformazione del debito privato in debito pubblico a prezzo di impressionanti tagli al welfare, lasciando esenti da qualsiasi sacrificio le grandi ricchezze finanziarie e patrimoniali; ma addirittura, con coercizioni che rasentano i colpi di stato, induce la Banca Centrale Europea e la UEM a imporre banchieri per sostituire i politici nella guida dei governi, come è successo in Grecia e in Italia.

Oggi alle negoziazioni di Durban assistiamo al seppellimento del Protocollo di Kioto, e anche dello spirito della Convenzione dell’ONU sul cambiamento climatico, perché anche questo è sacrificato al profitto.

In questo desolante panorama, appare evidente che “la crisi che stiamo affrontando è molto più profonda di un semplice stato comatoso dell'economia e del sistema capitalistico mondiale, per profonda che sia. La crisi è di civiltà e questo ci obbliga alla scelta di salvarsi e salvare tutti oppure perire incarcerati dalla bestialità senza limiti ostentata dal potere mondiale…..Il prossimo vertice a Caracas della CELAC farà in modo che si smetta di parlare di "sogno del Liberatore Simon Bolivar" per iniziare a parlare del "Piano del Liberatore Simon Bolivar". Questo piano deve concretizzarsi partendo dalle nostre asimmetrie, dalle nostre differenze e distanze, sia geografiche che politiche. Questa è la sfida per progredire e vincere.

Solo così, cittadini di questa nostra America, avremo un futuro e potremo superare questa profonda crisi di civiltà che ha nel capitalismo e l'imperialismo, la sua ultima fase terminale.” (4)

(1) http://www.alianzabolivariana.org/modules.php?name=Content&pa=showpage&pid=2080

(2) M. Forti  http://www.alianzabolivariana.org/modules.php?name=Content&pa=showpage&pid=2080

(3) http://www.granma.cubaweb.cu/2011/11/30/interna/artic24.html

(4) http://www.avn.info.ve/node/88710 Traduzione a cura di www.resistenze.org   

 A cura della Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti

 

Lo storico Vertice della CELAC, la Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici, rappresenta uno spartiacque nella vita del continente latino americano, dopo secoli di colonialismo e politiche neoliberiste che hanno spogliato e depredato il continente, non solo delle materie prime, ma anche della libertà e sovranità nazionale soffocata nel sangue dalle dittature militari sostenute e finanziate dagli Stati Uniti, o comunque sottoposta a ogni tipo di pressioni, ingerenze politiche ed economiche da parte di una potenza che ha considerato sempre il continente latino americano il suo “patio trasero”.

La formazione di un nuovo organismo continentale con l’integrazione senza la tutela degli Stati Uniti e nel rispetto della diversità è stato, infatti, uno dei punti sui quali i mandatari riuniti a Caracas sono stati tutti d’accordo: bisogna approfondire l’integrazione in un contesto di solidarietà, cooperazione complementarietà e concertazione politica, come hanno messo in risalto vari leader politici.

Tra gli interventi dei capi di stato che hanno caratterizzato questo vertice, registriamo quello del  Presidente della Bolivia Evo Morales ha manifestato la sua soddisfazione, perché dopo 500 anni di resistenza i paesi storicamente oppressi si sono riuniti per cercare la loro liberazione attraverso l’integrazione. Morales ha sottolineato il fatto che il Vertice sia realizzato “quando il modello neoliberale sembra attraversare una crisi terminale del capitalismo... E’ importante identificare i responsabili della povertà, della diseguaglianza e dell’ingiustizia; dibattere, analizzare e progettare la grande unità dei paesi d’America, senza Stati Uniti, per liberare i nostri popoli”.

Il Presidente cubano Raul Castro nel suo intervento ha denunciato i tentativi delle potenze imperialiste di destabilizzare l'ordine costituzionale nei paesi dell'America Latina e dei Caraibi, ricordando l’interferenza degli USA nel golpe del 2002 in Venezuela, nel tentato colpo di stato in Bolivia nel 2008, nel colpo di stato in Honduras nel 2009 e di nuovo il tentato colpo di stato in Ecuador nel 2010. Tutti questi paesi sono membri dell’Alba. Tutte queste interferenze si sono verificate “in complicità con le organizzazioni imprenditoriali, con i potenti gruppi editoriali e pubblicitari dell’America Latina”. Raul Castro ha affermato, inoltre, che "le politiche imperialiste che hanno distrutto nazioni e massacrato migliaia di civili" devono finire, reclamando un futuro di pace e la sovranità per l’America Latina e i Caraibi.

Il Presidente dell’Uruguay, Pepe Mujica, per il quale “nessun capitale è più prezioso di quello di andare avanti insieme oltre le differenze”, ha sottolineato che la parola autodeterminazione è sparita dalla lingua delle cancellerie del mondo ricco e che in America Latina e nei Caraibi esiste una lotta tra l’essere e il non essere, e per questo ha sollecitato i governanti a lavorare con tutti i settori della popolazione latinoamericana senza distinzione di classe: “Se non abbiamo  l’appoggio di quelli che vanno a piedi, degli indigeni, dei neri, non avremo la forza necessaria per conseguire la nostra indipendenza”.  Per il Presidente uruguaiano  “La necessità che i paesi dell’America Latina e dei Caraibi si uniscano è imposta dalla natura dei fatti”.

Nella stessa linea, il Presidente del Nicaragua Daniel Ortega ha sottolineato che il processo di unità dei paesi dell’America Latina e dei Caraibi deve essere soggetto soltanto “alla sovranità e agli interessi della nostra comunità”. Ortega ha denunciato il governo degli Stati Uniti, perché non solo esercitano il veto di opporsi a che alcuni organismi concedano crediti e finanziamenti ai popoli anti-imperialisti, ma si sentono anche i proprietari di tutti gli organismi internazionali. Il Presidente del Nicaragua propone anche di identificare quali sono gli elementi che più uniscono e potenziano i gruppi sub-regionali come l’Alba (Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America), l’Unasur (dell’Unione delle Nazioni Sud-Americane), il Caricom (Comunità degli Stati Caraibici) o il Petrocaribe (Organizzazione intergovernativa di cooperazione energetica), per applicarli alla Celac: “Sono sicuro che così possiamo convertirla in una potenza”. Daniel Ortega suggerisce alla nascente Comunità degli Stati Latino Americani e Caraibi di guardare alla crisi che colpisce attualmente l’Unione Europea, per non commettere gli stessi errori che hanno originato il caos e per non sottomettere l’unità latino americana al dettato del libero mercato e del capitale finanziario speculativo. “La nostra unità dobbiamo sottometterla ai principi della sovranità”.

Il vertice si è concluso con la presentazione da parte del  Presidente Hugo Chavez  dei comunicati, dei documenti e degli accordi approvati all’unanimità dai 33 paesi  partecipanti, tra i quali emergono “La Dichiarazione di Caracas”, “il Piano di Azione di Caracas 2012”, “Il procedimento per il funzionamento organico della CELAC”, “la Dichiarazione Speciale sulla Difesa della Democrazia nei paesi della CELAC”, un comunicato per il mettere fine al Bloqueo di Cuba imposto da parte degli Stati Uniti ed un comunicato sui legittimi diritti dell’Argentina nella disputa sulla sovranità sulle isole Malvinas.

Nella Dichiarazione di Caracas , documento che definisce la Celac come  “ la più alta espressione della nostra volontà di unità nella diversità”, si possono leggere affermazioni come:

 “è necessario approfondire la cooperazione e l’attuazione di politiche sociali per la riduzione delle diseguaglianze sociali interne al fine di consolidare nazioni capaci di compiere e superare gli obiettivi di sviluppo del millennio”.

è necessario che questo nuovo blocco regionale “si converta in uno spazio che rivendichi il diritto all’esistenza, alla conservazione e alla convivenza di tutte le culture, razze ed etnie che abitano nei paesi della regione, così come il carattere multiculturale dei nostri popoli”;

è necessario unificare gli sforzi per “dar impulso allo sviluppo sostenibile della regione”, per “contribuire con il consolidamento di un mondo pluripolare e democratico, giusto ed equilibrato, e in pace, spogliato dal flagello del colonialismo e dall’occupazione militare.

Tutte affermazioni queste che dovrebbero suonare come musica per le orecchie dei lavoratori europei, sottoposti invece ai diktat della Troika che vorrebbe risolvere la crisi sistemica del modo di produzione capitalistico con le ennesime ed inutili ricette neoliberiste che servono solo a massacrare ed impoverire i soliti noti, cioè la classe lavoratrice.

Sono stati approvati, inoltre, molti documenti tra i quali spiccano la dichiarazione speciale sulla difesa della democrazia e dell'ordine costituzionale dei paesi membri della CELAC; il sostegno alle strategie di sicurezza del Centroamerica; l'eliminazione totale di armi nucleari; il saluto al ventesimo anniversario dell'agenzia brasiliano-argentina di Contabilità e Controllo dei Materiali Nucleari (ABAC);  l'appoggio alla lotta contro il terrorismo, in tutte le sue forme e manifestazioni; la lotta sulla questione mondiale della droga e del narcotraffico.

Ma rivestono un rilievo politico particolare il comunicato sulla fine del Bloqueo contro Cuba e quello sulla legittimità dei diritti dell’Argentina sulle Malvinas, soprattutto perché sono un segnale di discontinuità nei confronti della politica attuata fino ad ora dall’OSA (Organizzazione degli Stati Americani) che al riguardo ha sempre mantenuto un atteggiamento di pedissequa accondiscendenza a favore degli interessi statunitensi e contro la sovranità dei popoli latino-americani, meritandosi a pieno l’appellativo di “ministero delle  colonie”.  

Si è manifestata, infatti, la necessità di porre fine al blocco economico, commerciale e finanziario degli Stati Uniti contro il popolo cubano, al cui benessere provoca danni ingiustificabili e che “ mina la pace e la convivenza tra le nazioni americane”. Si esige inoltre da Washington il rispetto delle successive risoluzioni adottate dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite così come la risposta ai ripetuti appelli che hanno fatto i paesi dell'America Latina e dei Caraibi per porre fine a questo blocco.

Ricordiamo per inciso che in una informativa presentata recentemente dal vice cancelliere cubano, Abelardo Moreno, si è dichiarato che i danni causati dall’imposizione statunitense, fino al 2010, arrivano a 975 miliardi di dollari.

Per quanto riguarda il comunicato a favore dell’Argentina, si è ribadito il sostegno per i legittimi diritti del paese latino americano nella disputa sulla sovranità delle isole Malvinas, e si è sollecitato che con i governi di Gran Bretagna e Irlanda, nel più breve tempo possibile, si  trovi una "soluzione pacifica e duratura" del conflitto e che i negoziati devono procedere secondo le dichiarazioni fatte dalle Nazioni Unite (ONU).

Per questo è necessario che il Presidente pro tempore della Celac chieda al segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, la ripresa dei negoziati per risolvere " questa anacronistica situazione coloniale sul suolo americano" questa anacronistica pretesa di continuare lo sfruttamento delle risorse rinnovabili e non rinnovabili del territorio argentino, la cui sovranità è riconosciuta dall’ ONU.

Durante la chiusura del Vertice, il Capo di Stato venezuelano Hugo Chavez  ha consegnato la presidenza pro-tempore della Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici al mandatario cileno, Sebastian Piñera, che ha assicurato che è arrivato il tempo dell’America Latina e dei Caraibi. “Lavoreremo con unità e speranza per adempiere il compito assegnatoci”. Il Presidente cileno sarà affiancato dal Venezuela in quanto attuale paese ospitante e da Cuba che ospiterà invece il vertice nel 2013, scelta questa approvata per acclamazione e ulteriore  segno di discontinuità con l’OSA che ha sempre escluso la partecipazione di Cuba.

Commissione Internazionale della Rete dei Comunisti

 

Fonti

http://www.vermelho.org.br/noticia.php?id_noticia=170165&id_secao=7

http://www.vermelho.org.br/noticia.php?id_noticia=170128&id_secao=9

http://www.celac.gob.ve

http://www.avn.info.ve/contenido/celac-ratifica-declaracion-caracas-voluntad-ntegracion

http://www.avn.info.ve/contenido/celac-condena-bloqueo-estadounidense-al-pueblo-cubano

http://www.avn.info.ve/contenido/celac-respalda-derechos-argentina-sobre-islas-malvinas

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